Una fredda giornata invernale come tante altre, chiusi nel tepore dello studio, circondati da vinili… un paio di sigarette ed i racconti di Memoryman aka Uovo aka Cristiano Rinaldi. Si è chiacchierato di tutto: Bologna, i Pastaboys, Manocalda, le origini e i suoi progetti. Un salto nel passato, di sicuro, ma visto con gli occhi di un uomo che l’onda l’ha cavalcata eccome… fino a domarla e che ha lo sguardo fisso al futuro. Da sempre eclettico e capace di reinventarsi, questo è Cristiano.
Partiamo dal presente. Cosa stai facendo adesso?
Partendo dalle ultime cose, la novità assoluta del momento è la creazione di questo nuovo booking management che nasce dall’esigenza di essere rappresentati in Italia in modo professionale. I promoter sono abituati a lavorare bene con gli stranieri ma spesso sorgono degli equivoci quando hanno a che fare con i dj italiani. Per dare un minimo di regola e il buon esempio, si è fatta strada questa l’idea di lavorare assieme. Ralf è la fonte di tutto e ha chiesto a me e Carola Pisaturo di seguirlo nell’impresa, scegliendo poi anche le persone per gestire questa operazione. E’ iniziato tutto 2 mesi fa ma abbiamo intenzione di espandere questo progetto. Di cose da fare ce ne sono tante perché l’obbiettivo è quello di valorizzare in toto l’artista, esserne al suo servizio, tenendo in conto la sua opinione prima di tutto. Ad oggi poi ho la residenza al Titilla del Cocoricò di Riccione, al Pathfinder di Modena e il We love Echoes di Bologna.
A proposito del rapporto dei dj italiani con l’estero, qual è il tuo punto di vista?
Il problema dell’estero riguarda la maggior parte dei dj che abitano e lavorano in Italia. Di solito i dj italiani che lavorano all’estero è perché già abitano all’estero. All’estero c’è un sistema di lavoro ‘internazionale’. I management vivono in realtà grosse ed organizzate. In Italia manca organizzazione, mentalità, struttura, i media che seguono questo panorama. All’estero, di magazine come Soundwall o Dj Mag ce ne sono molti di più, ognuno con il proprio taglio ed opinione. Ci sono strutture che ti organizzano i festival, gestiscono etichette… e così si crea una rete. L’Italia è un po’ tagliata fuori e poi, noi in primis siamo esterofili e pensiamo che tutto ciò che viene da fuori sia bello.
Quindi è anche un problema che riguarda il pubblico?
Certo, è la mentalità dell’italiano. Pensa solo a quando si parla dell’italiano a Berlino, che ormai è diventato un luogo comune: non lo fanno entrare ai party della serie meno ce ne sono meglio si sta. Noi facciamo gli snob, i colti del clubbing e siamo sempre pronti a sparare sentenze ma fondamentalmente siamo un branco di ignoranti. Questa è la realtà.
Noti molto questa ‘ignoranza’ quando suoni in giro nel club?
Beh credo che questo sia un aspetto riscontrabile non solo qui in Italia anche all’estero. Soprattutto quando il club va di moda o quando c’è la curiosità di sentire un tal dj famoso l’intruso si trova sempre… a parte nei club super underground dove c’è una selezione o un certo tipo di mentalità. Anche se vai a Ibiza, quanti inconsapevoli trovi? Alla fine fa parte del gioco ed è anche normale che una persona si appassioni a un dj o ad un determinato club in modo naturale e non nel modo fazioso in cui lo facciamo noi: noi scegliamo a priori la festa più bella o l’evento cool senza neanche esserci mai stati perché abbiamo visto il video su internet o qualcuno ce ne ha parlato.
Se tu dovessi farmi qualche esempio dei party più belli ad oggi qui in Italia?
E’ difficile per me, io penso che bisogna andarci per poterlo dire. Le feste sono fatte dal pubblico, dalla musica, dal soundsystem, dall’accoglienza, dai servizi… è una miscela, che quando s’infiamma rende l’evento efficace. Ho visto feste bellissime con 30 persone e feste orribili con 3000. Quindi? Qual è la verità? Dipende dai punti di vista e da cosa si cerca. Ci sono alcuni party poi che hanno preso piede, come poteva essere quello che abbiamo fatto noi al Black Box: una festa di nicchia che con 300/400 persone dove si creavano situazioni bellissime e la gente partecipava con energia senza nemmeno magari sapere chi fosse l’artista in questione ma si faceva trasportare da un’idea e quindi la festa riusciva. Ci sono feste belle a Bologna, Firenze, Milano, Roma, Perugia… si sa quelle che sono ma poi, a volte, io penso che sia più l’hype a far da padrone che la sostanza.
Facciamo un passo indietro… raccontami come sono stati i tuoi inizi!
I ragazzi di adesso non potrebbero mai partire come sono partito io e questo grazie alle tecnologie. Io mi sono trovato in casa un giradischi di mio fratello che ai tempi ascoltava rock… poi, non so perché ma aveva una selezione di album black: da James Brown a Bob Marley, niente di esageratamente ricercato. Io ne sono sempre stato incuriosito ed ereditai questo impianto. Iniziai a comprare un po’ di cassette in Piazzola a Bologna, in cui c’erano le bancarelle che vendevano le compilation pirata con le hit del momento. Erano numerate e ogni settimana ce n’erano di nuove… quindi ci si trovava in piazza, si andava al Burghy o a mangiare la pizza da Altero. Da qui è nata l’esigenza di farmene io. Avevo un paio di piastre e cercavo di mixare, non so nemmeno in che modo, e mi facevo le cassette mixate tagliando i mix di quelle della Piazzola. Il risultato era una porcheria. Poi ho iniziato ad uscire la sera, andavo al Matis il giovedì e lì potevo ascoltare Marco Trani, Ricky Montanari e Flavio Vecchi, i dj della Riccione inn! In poco tempo è nata la passione, poi un giorno per il mio 17esimo compleanno, convinsi mia madre a comprarmi una coppia di giradischi e da lì ho iniziato a farmi la mia collezione: invece di andare a scuola aprivo un negozio di dischi gestito da amici che la notte facevano i dj e la mattina faticavano a svegliarsi presto. Mi avevano dato le chiavi e io andavo ad aprire, mi ascoltavo i dischi poi iniziai a venderli come commesso non in regola.
Hai poi finito la scuola?
No, io volevo fare quello a tutti i costi. Io vivevo per il dischi, è stato amore a prima vista! Facevo lavoretti, anche in estate, per guadagnare qualche soldo solo per comprarli. Poi stando in negozio avevo l’opportunità di conoscere tutti i personaggi del giro, i dj.
E’ in quella occasione che hai conosciuto Rame e Dino?
Rame lo conoscevo da prima perché abitavamo vicini, in America si sarebbe detto nello stesso block. Da piccoli non eravamo amici ma ci siamo avvicinati in un secondo momento. Lui metteva già dischi la notte e mi chiese poi di lavorare con lui il sabato pomeriggio all’Euforia. Io ho avuto anche la residenza al pomeriggio al Controsenso, dove mettevo house misto alla musica commerciale del tempo tipo Lisa Stansfield o i Soul to Soul. Allora si metteva la cosiddetta ‘down beat’ a inizio serata. Era la musica che mi piaceva, ovviamente dovevo scendere un po’ a compromessi per dimostrare di essere degno di suonare nel club. Con Dino si, ci siamo conosciuti nel negozio di dischi. Quindi io e Rame lavoravamo il pomeriggio, Dino stava iniziando a fare il dj al Kinki. Da lì, nel ‘91 facevo il mercoledì sera all’Art club che ora non esiste più. Era il mercoledì di tendenza, un misto di arte, musica ed era frequentato da omosessuali, che sono quelli che di solito lanciano le mode. Era un locale nuovo ed era tutto magico, erano le origini della house, stavamo facendo la storia! Suonando lì una sera venni scoperto dal proprietario del Peter Pan di Riccione. Proprio quella settimana aveva litigato con il suo resident e ne stava cercando uno nuovo. La fortuna ha voluto che, per una serie di circostanze, mi ha sentito e gli sono piaciuto e mi volle fare un provino. Un altro dj storico del Peter, dopo avermi sentito, Renzo Master Funk avvallò la mia presenza. Quindi tramite il permesso del dj esperto mi ritagliai questo spazio e iniziai a fare la parte centrale del serata e avevo la responsabilità di un club di tendenza a soli 19 anni. Fu una grande occasione e il mio nome iniziò a girare perché ero il dj del Peter Pan. L’anno successivo dovetti partire per il militare e riuscii a inserire Rame al mio posto. Tornato a casa iniziò la spola fra il Bunker, poi l’Ecu a Rimini e infine l’Echoes di Riccione.
Quando nascono i Pastaboys?
I Pastaboys si sono formati innanzitutto perché ci frequentavamo in amicizia, poi facemmo serate insieme a Bologna per caso, io e Dino ci appassionammo allo studio e provammo ad emulare i Masters at Work… mi piaceva l’idea del collettivo che insieme produceva dei brani. C’erano i primi Atari, i primi programmi per il computer, prendemmo questo garage in campagna, senza riscaldamento, ci mettemmo una tastiera, un computer, solo gli strumenti basilari, perché ci volevano i soldi allora. Rame inizialmente non era molto presente perché aveva la fidanzata a Bari e quando tornò in pianta stabile a Bologna, noi avevamo già lo studio dentro ad Irma Records. Noi eravamo molto intraprendenti, abbiamo conosciuto un sacco di gente e andavamo a bussare alle porte di tutti fino a che conoscemmo questi due tecnici, con cui poi negli anni abbiamo sempre lavorato a fasi alterne: Guido Cagliandro e poi Riccardo Rinaldi. Nel ‘94 è uscito il primo disco dei Pastaboys “The Tortellini” EP su la nostra etichetta, fondata insieme a Irma Records, che si chiamava Instinctual. Questa etichetta era una cosa nuova, davvero figa. Era un progetto fatto da giovani che facevano dischi, allora non andava molto di moda fare dischi, pochi dj ne facevano. Il dj che aveva un’etichetta era davvero avanti. Noi avevamo la voglia di fare le cose e dare il nostro materiale agli altri dj, farlo circolare. Ogni lunedì, per esempio, andavamo al Magic Mondays all’Echoes dove suonavano i dj numeri uno al mondo tipo Tony Humphries, Frankie Knuckles, Roger Sanchez.
Il nome Pastaboys?
In nome venne in mente a Umbi Damiani, il boss della Irma che ci disse: “Siete di Bologna! Per cosa sono conosciuti gli italiani all’estero? Per la pasta!”
Negli anni questo nome è mai stato frainteso?
Si, ci fu anche il caso eclatante con un giornale di Modena che ci diffamò dicendo che il nome era legato alle pastiglie. Proprio noi che non ci siamo mai drogati! Rimanemmo scandalizzati, così li denunciammo perché non volevamo che il nostro nome fosse legato a questo e che quindi fossimo compromessi. Il nostro nome voleva rappresentare la fierezza di essere italiani.
E se dovessi attribuire un aggettivo ad ognuno dei Pastaboys?
Mah non lo so, ce ne sono milioni… dopo tante battaglie e 20 anni di storia insieme è come quando hai una moglie da tempo: la ami alla follia e nel mentre non la sopporti più, è quel dualismo amore e odio. Fra noi c’è sempre un rispetto di base che vince su tutto, siamo davvero amici e siamo capaci di mettere da parte il lavoro per tornare alle origini dell’amicizia.
Qual è la tua più grande soddisfazione in carriera?
Sicuramente realizzare un sogno: fare il mestiere che ho scelto di fare. Se devo dirne una però di certo è l’uscita di ‘Soul Heaven’ su Ocean Trax l’etichetta di Bini e Martini con la voce di Lisa Millet; quello è stato un disco di successo assoluto. Ci ha consolidati fra i più importanti produttori italiani, eravamo presenti nelle chart annuali di dj come Morales o Knuckles. Ha venduto 20.000 copie di vinile in tutto il mondo, in un periodo in cui c’erano già i cd. Fu una grande soddisfazione, soprattutto in un periodo in cui è venuto a mancare un nostro grande amico, giovane promessa del basket, morto a 23 anni in un incidente stradale, Enrico ‘Chicco’ Ravaglia. A lui l’abbiamo dedicato.
E invece collaborazioni importanti che ti sono rimaste dentro?
Sicuramente i remix per Masters at Work, sai, quando vivi con loro come modello: noi siamo cresciuti con la loro musica e la loro influenza… jazz, latin soul, black ed anche la conoscenza personale con loro. Facemmo alcuni remix di Roy Hayes e Jody Watley, artisti degli anni ‘70 che rappresentavano un po’ le nostre radici. Dopo il 2001 fummo richiesti anche dalla Strictly Rhythm.
Memoryman è per i delay analogici?
Esattamente! Il nome è nato appunto da questo multi effetto che, per provarlo, feci un singolo su Manocalda, insieme a Guido Nemola, ed uscì come Memoryman invece di Uovo. Dopo 10 anni, quando decisi di fare qualcosa da solo, rispolverai questo nome perché Uovo era da sempre associato ai Pastaboys: era un modo per dare una dimensione nuova ad un progetto più funk, downtempo e re-edit, per distinguere l’house/techno di Uovo dalla visione più a 360 gradi, eclettica e più personale di Memoryman.
E’ da qualche anno che a Bologna organizzi il party OH…CRISTO! Cos’è esattamente?
È un progetto che mi sta nel cuore perché mi ha dato molto e nasce da un’idea di Chicco Nanni, un mio amico che nella vita fa tutt’altro. Eravamo partiti con una festa in Capannina a Bologna, che era una sintesi della musica che ci piaceva + i nostri amici. Era una situazione composta da 100 persone, un po’ come le feste che da piccolo facevi in casa per il compleanno. Poi la cosa è cresciuta, è andata di moda e abbiamo iniziato a fare eventi grossi, anche al roBOt. Il denominatore comune però è Peace&Love&Music. Siamo tutti lì per ballare, per la passione e senza per forza dover fare del business. Poi c’è Luca Trevisi e Ricky L del Red Zone che spesso suonano. È una versione italiana dei party dei Soul Clap, una versione del Loft di Mancuso misto al party commerciale e alla musica da matrimonio! Si suona soul, funky, house, un mix di stili con groove non ossessionante e friendly. Musica seria ma sdrammatizzata, senza la necessità del riempipista. Tutto è permesso. Quello che conta è l’atmosfera e non il disco in sé… un ambiente in cui la gente si fa trasportare senza accorgersene, in modo naturale.
Pastaboys è sinonimo anche di Manocalda, la vostra label…
Si, è la nostra etichetta. Nell’ultimo paio di anni abbiamo un po’ rallentato, abbiamo cambiato distributore e abbiamo smesso di uscire in vinile, ma poi in un futuro ci piacerebbe reinserirlo e smettere di fare il digitale. Chissà! C’è questo combattimento fra business ed etica! Non siamo sempre presenti sul mercato ma stiamo lavorando… abbiamo del materiale fresco. Per esempio è appena uscito ’Fire’ di Dino Angioletti con Kaysand con il remix dei Dirty Channels. Uscirà un mio singolo ‘Love’ con un remix di Simoncino, un ragazzo piace un sacco all’estero che suona al Fabric, Panorama bar, suonerà al Circo Loco, lui ha influenze early ‘90, Chicago Trax, New Groove ed anche il remix di Javier Carballo che lavora con Subb-an nella sua etichetta One Records. Poi seguirà un singolo di Rame + una release sempre di Rame con Francesco Bonora con remix di dj Rolando e anche un singolo di Pastaboys cantato da Osunlade. Ci sarà anche un singolo di Speaking Minds, giovani ragazzi toscani, che sono appena usciti anche su My Favorite Robot, remixato dalla Manocalda crew e Igor Vicente.
Il segreto di vent’anni di successo?
La passione, l’amore per quello che uno fa, la coerenza, fare sacrifici. Essere se stessi non è mai facile ma bisogna avere l’approccio giusto, cercarsi le opportunità ma sempre con l’atteggiamento umile, bisogna dimostrare le cose senza avere paura dei risultati, sai quanti dischi mediocri ho fatto io che nessuno ha mai considerato? Ma non ho smesso! Ci si può scoraggiare ma un’opportunità si trova sempre se ci si crede. Ci vuole anche un po’ di fortuna chiaro, è una componente fondamentale della vita di tutti noi.
Ti lascio con una provocazione, visto che ne abbiamo sempre parlato.. cosa ne pensi dei dj pulmino?
Quali sono i dj pulmino diventati famosi? I locali diventati famosi per i dj pulmino? Non ce ne sono… Ci sta che uno inizialmente vuoi per intraprendenza o seguito naturale, per carattere o per esuberanza abbia un giro e lo sfrutti anche facendo il dj pulmino. Ma poi se quando suoni sei un cane, non sei umile e vuoi solo avere la tua ora di gloria, non curante dell’andamento della festa il risultato è che si rovinano le serate! Il warm up è il ruolo più difficile ed è una grande responsabilità. Se ha l’opportunità di dimostrare quello che vale è giusto che poi diventi famoso ma di solito non vanno da nessuna parte.