E niente, non manca mai quello che salta fuori dicendo “Basta parlare di gossip, date spazio alla musica”. Lo si riconosce di solito sempre da un particolare. Ovvero, non vedi mai apparire i suoi commenti quando si parla veramente solo di musica nuova, o non mainstream: (forse) legge e (di sicuro) commenta solo quando si scrive di Peggy Gou, di Amelie Lens, di Drumcode, di Joseph Capriati, di Marco Carola, per far sentire chiara e forte la sua voce leonina contro l’establishment. Per il resto, è silente. Nulla vieta che ascolti davvero musica interessante, che abbia davvero una grande cultura d’ascolti, che sul serio non pascoli solo fra i “soliti noti” come interessi: ci mancherebbe. Ma sta di fatto che però, per far sentire la propria voce e la propria opinione sul web, prediliga attaccarsi agli articoli dove si parla di argomenti mainstream. Chissà, magari perché sono quelli a più alta visibilità, e c’è la speranza di farsi notare di più per la propria opinione controcorrente. Però allora c’è da chiedersi quanto ormai tutti si sia vittima dello stesso meccanismo – in primis coloro che questo meccanismo lo vogliono denunciare.
Ora. Lo sappiamo bene che questo articolo se va bene catturerà un centesimo (non è un modo di dire, eh) delle view raccolte dalla scoppiettante lite di condominio fra Daniel Wang e Peggy Gou, tra corrieri che recapitano pacchi dono di Luis Vuitton e mensole da montare. Lo sappiamo bene; e ne siamo molto dispiaciuti. Ecco, speriamo sempre che le cose cambino – nel nostro mondo ideale infatti le “baruffe chiozzotte” tra asiatici sono un piccolo divertissement che raccoglie la curiosità di un manipolo di lettori in cerca di una parentesi di relax, mentre ci si accapiglia attorno a chi crea la musica più avventurosa, più visionaria, più immaginifica, più coraggiosa, più ricca di riferimenti preziosi, più in grado di evocare un mondo “alieno”: ovvero tutto quello che la musica elettronica, per suo DNA costitutivo, dovrebbe fare quando è al suo meglio.
Con la scusa di una uscita per la raccolta per il suo venticinquesimo anno di vita (ehi: venticinque!), una risposta attorno a questa questione saremmo tentati di darvela. Anzi, prima ve la facciamo sentire:
La Planet Mu veramente al suo meglio. In un mirabile equilibrio fra nomi storici, nomi consolidati (almeno nella nicchia), nuovi talenti. Ital Tek è un conclamato fuoriclasse, tra eleganza e visionarietà, Skee Mask segue a ruota, e tanto per percorrere sempre il sentieri IDM Gabor Lazar è qui presente con un gioiello windowlickeresco che fa piena giustizia al suo talento. E’ molto interessante ed inusuale sentire Luomo, alias Ripatti, entrare in un filone per la label di Paradinas è stato cruciale fin dall’inizio, quello footworkiano, filone celebrato anche con la presenza dei “pesi massimi” RP Boo e Dj Nate. Ecco, la footwork è un discorso davvero interessante: un genere sporco, grezzo e cattivo, ma così sporco, grezzo e cattivo da non esser mai stato accettato – o non essere mai stato in grado di “pettinarsi” – come è successo alla trap, con tutto che fra le due cose c’è più di una parentela. La footwork è musica urban che volente o nolente continua ad essere sotterranea, esclusa, scontrosa, e questo non fa che aumentare il suo fascino per tutti coloro per cui la musica è scoperta e non rincorsa alle classifiche, ai play di Spotify, al trending ‘staminchia. Non è solo questione di suono, è anche questione di attitudine.
Non mancano come dicevamo anche le scoperte un po’ più recenti, perché per un Raczynski – nome davvero storico – ci sono tanti act più freschi come avvento sulle scene. Act non convenzionali, come l’iper-intellettualizzazione di Speaker Music; act che partono dal footwork ma lo trasportano su una dimensione più astratta, Jana Rush; e a proposito di astrazione, la bravissima Meemo Comma confeziona davvero un gioiellino celestiale, e non fa di meno Alfonso Ferreira alias Farmworth andando invece su terreni più ambient da un lato ma molto più spigolosi dall’altro; e a proposito di spigoli, Rian Treanor porta avanti l’eredità morale dei Pan Sonic, e lo fa bene.
Sinceramente: questa è la musica elettronica più bella, quella più vicino al suo senso costitutivo. Poi ognuno può e deve avere i suoi gusti, le sue preferenze; ognuno può e deve decidere se preferisce fruire la musica elettronica solo come arma da dancefloor, o ama pure strade alternative. Non deve esistere una dittatura da “pensiero unico”. Ma analizzando razionalmente suoni, idee, suggestioni ed approcci analitici, questa raccolta della Planet Mu è un gioiello assoluto, e racconta come una delle label più importanti e al tempo stesso storicamente più sottovalutate – a parte una fiammata qualche anno fa, quando a Resident Advisor ne hanno voluto adottare la causa per una breve stagione – della scena sia ancora in grandissima forma. Certo, si promuove male e alla cazzo, Paradinas ogni tanto pare faccia le cose tanto per fare (e sia orgoglioso di farle così) come pubbliche relazioni; ma esserci ancora dopo venticinque anni, ed esserci così (ehi: comprate questa raccolta su Bandcamp), non è da tutti. No, proprio per nulla.
E dirlo non è gossip.