Certo, sono sicuro che alla sola vista del nome del festival avrete pensato, “ma cosa è questa cosa?” e probabilmente vi sarà pure passata la voglia di leggere quanto segue. Ma francamente, chi coltiva un minimo di interesse per la musica che conta, se ne frega altamente di questo aspetto secondario e, come è logico che sia, bada al sodo concentrandosi sulla lineup. I nomi per chi ha anche un minimo di esperienza per tali occasioni, non sono nuovi e non sono certo quelli che fanno pensare al classico festival d’avanguardia proiettato già ai talenti del futuro; nonostante ciò è sempre un piacere (vi sfido ad affermare il contrario) ritrovare lo sguardo soddisfatto del buon vecchio Ricardo, godere alle ripartenze di Marco Carola, essere travolti dal groove di Reboot e seguire la classe immensa di Zip, solo per citarne alcuni.
Così, con pochi giorni di anticipo, decido di prenotare il volo direzione Francoforte, una delle realtà più floride in materia di musica elettronica. Sì, perchè oltre alla città dell’ex muro, c’è molto altro da scoprire specie in questi periodi meno gettonati vista la concorrenza ibizenca. Ovvio, il paragone non regge nemmeno un secondo, siamo di fronte ad una realtà molto più legata a banche e affari, meno artistica, più urbana. Tuttavia tra un grattacielo ed un altro con un minimo di propositi e giuste idee si riesce a cogliere anche il lato più oscuro e sottopelle, lì dove pulsa il cuore dei veri club, soprattutto nella zona di Offenbach. Ecco dunque che un salto al Robert Johnson, da molti considerato come uno dei migliori club al mondo, diventa quasi un obbligo, specie se ti ritrovi nel giro di 48 ore gente del calibro di Zip, Shackleton, Ame e Dixon i quali tra i pochi metri quadrati a disposizione, i sei schermi tv proiettati sopra la console e di fronte ad una quantità di pubblico molto ristretta e a dir poco selezionata, sono in grado di dare una spinta certamente diversa rispetto alle varie ospitate alle quali siamo soliti partecipare nei maggiori club italiani, ve lo assicuro. Questo, assieme ad un’infinità di altri motivi, mi convince ogni anno ad affrontare una nuova sfida in terra tedesca ad osservare e seguire il flusso, per capire cosa e come si stia muovendo questo micro mondo. L’occasione del festival mi si presentava quindi come oro colato, per questo già bello carico, sale “la febbre del sabato sera”, giorno appunto del festival. In realtà tutto parte dalle ore 12, quando ci sarebbe già l’opportunità di godere dei primi beats con chi ormai “ha già fatto il callo” per questa evenienza, parlo di Dorian Paic e Federico Molinari, impegnati entrambi per circa 2-3 ore in due dei tre stage a disposizione. Qui, parte il mio primo dei tanti ragionamenti: considerando che la festa si sarebbe protratta per una giornata intera, preferisco distribuire le forze al meglio decidendo di posticipare il mio arrivo di qualche ora, già memore anche dei tanti set passati dei due ragazzi residenti a Francoforte. Timetable in tasca, sempre a portata di mano per ottimizzare al meglio orari e spostamenti tra i vari stage, decido di fare il mio ingresso non prima delle 16:30 e così dopo qualche piacevole fermata di metro arrivo finalmente alla location desiderata. Come la maggior parte dei festival, mi ritrovo in una zona periferica, poco raccomandabile, ma il fatto di percorrere il tragitto che porta all’ingresso in pieno giorno mi offre le dovute rassicurazioni. Convinto di seguire il grande flusso, mi ritrovo però spiazzato dalle poche persone dirette verso la stessa direzione, tant’è che ad un certo punto ritengo opportuno domandare chiarimenti a dei passanti. Sì, è la direzione giusta, metto il cuore in pace e percorro il lungo tragitto sabbioso che conduce alla spiaggia di Kamehameha con la speranza di sentire la cassa risuonare. Ci sono, intuisco i primi battiti e avanzando comincio a notare un maggiore afflusso. Arrivo all’ingresso, passo il doveroso controllo, e taaac. Dal purgatorio si passa in brevissimo tempo al paradiso! Migliaia di ragazzi e ragazze ovunque, distribuiti con grande ordine all’interno della struttura. Il loro atteggiamento disteso e rilassato mi fa capire la loro già maturata esperienza (d’altronde siamo arrivati alla undicesima edizione del Merkwuerdiges Verhalten). C’è chi infatti sembra quasi più occupato a fare quattro chiacchere in compagnia di amici, chi a fare nuove conoscenze, mentre altri bevono semplicemente e perchè no, si abbronzano pure, tra un tiro e l’altro sul campetto di beach volley e qualche passaggio con il frisbee.
Analizzato il pubblico (target dai 24 in su), decido di passare i primi minuti facendo il classico sopralluogo. Altra precisazione, non ho mai amato i club troppo affollati, al contrario ho sempre espresso la mia preferenza per gli open air; ancora una volta confermo la mia tesi, potrebbero esserci state anche seimila persone (pochissimi italiani), ma almeno riesco a respirare, cosa da non sottovalutare assolutamente. L’area da battere è davvero vasta, ma non importa, sono lì apposta per scoprire ogni angolo. Riesco dunque a svincolarmi passando oltre il primo stage (CircusStage) dove Christian Burkhardt stava già allietando qualche animo surriscaldato da diverse birre. Tra i vari stand che offrivano la possibilità di mangiare, mi imbatto a poco a poco al secondo stage (SubsonicStage) dove Alex Azary, giovante talento di casa, mostrava al pubblico di meritare tale occasione. Qualche minuto flash, giusto per assaporare anche quel tipo di atmosfera e poi mi spingo ancora avanti. Pochi metri e davanti a me si apre una voragine, capisco di ritrovarmi nel MainStage, lì nell’ultimo tratto di spiaggia all’orizzonte scorgo centinaia di anime pie muoversi al ritmo del “cileno con il collo a V”.
A quel punto, decido di relegarmi a lato della console, giusto per avere lo spazio vitale per muovermi e allo stesso tempo ballare e ascoltare Ricardo. Per le sue performance ho sempre avuto un debole, ho avuto la fortuna di ascoltarlo diverse volte, nelle più svariate occasioni. Era però passato troppo tempo dall’ultima volta, quindi quale occasione migliore se non questa? Eccolo di nuovo, questa volta con occhiale a specchio, canotta con il fulmine Cocoon, quasi a voler evidenziare il marchio di fabbrica e a far da portabandiera alla label del patron Sven Vath. Sound cruento, con pochissimi accenni melodici o nazional popolari. Cassa dritta, senza fronzoli, mai una sterzata, almeno da quando sono arrivato io, visto che poco prima avendo avuto occasione di scambiare qualche parola con altri ragazzi, mi rassicuravano sul fatto che l’inizio set era stato molto più soft (spazio a vecchi amarcord del tipo edit di “I feel Love” di Donna Summer). In console sempre il solito spettacolo, tra risate di circostanza, abbracci ad amici e sconosciuti.
Erano già le 19.30 Ricardo concludeva il suo set e lasciava spazio a Reboot, già pronto da un bel pò di tempo nella posizione rialzata rispetto alla console principale, studiata appositamente per fare spazio a Moog e laptop, strumenti fondamentali per il suo live. Inizio piuttosto blando (forse a voler sottolineare, qualora ce ne fosse stato bisogno, il cambio di timoniere). Cinque minuti di maracas e bongo incolori, un pò troppo forse per una folla già ampiamente eccitata, poi ecco puntuale la cassa per la gioia di tutti. Un live di un’ora scarsa, giocato molto sul kill kick e sull’uso smodato di reverberi in una cornice tipicamente percussiva come lo stesso Frank Heinrich ci ha da sempre abituati. Per questo motivo mi dirigo nuovamente al CircusStage, dove da una buona mezz’ora giravano i dischi di Zip. A quanto pare non ero stato l’unico ad avere questa idea, dato che da quanto ero arrivato la gente lì era quasi raddoppiata. Impossibile classificare l’esibizione di Zip con semplici aggettivi. Riesce a stupire anche chi già lo conosce passando con estrema facilità da spunti crudi e ipnotici ad un mood più delicato ma sempre di nicchia. Intanto a poco poco le luci naturali vengono sostituite con quelle artificiali, il vento cominicia ad alzarsi agevolato dalla corrente del Meno creando qualche problemino agli stessi giradischi che ogni tanto saltano. Ma non importa, alzo le spalle e continuo a ballare come se niente fosse fino alla conclusione del set.
A quel punto mi rituffo al MainStage dove ritrovo Marco Carola, uno dei guest più sentiti del festival, soprattutto dai tedeschi. Lo intuisco dalla loro goffa pronuncia italianizzata. Qui, riscatta un ltro ragionamento d’obbligo, quante volte ho avuto e avrò la possibilità di ascoltarlo in Italia? Dire tante sembrebbe un eufemismo, perciò dopo soli 20 minuti anche a causa dall’incredibile quantità di gente già presente in quell’angolo, decido di fare marcia indietro e tornare lì dove Zip aveva appena passato il testimone a Butch. Quest’ultimo, a dir la verità, non avevo mai avuto modo di sentirlo dal vivo. Un conto è conoscerlo in studio come producer, apprezzarlo per le varie hit da lui composte, un conto è invece è dietro la console. Preciso fin da subito, il laptop aperto con Traktor c’era, ma nonostante questo, non mi ritengo così superficiale da giudicarlo già per questo e concedo a lui l’occasione di esser ascoltato. E in effetti, l’esordio è veramente esplosivo con i primi tre-quattro dischi “adrenalici”. Cambi frequenti e ampia spaziatura tra vocals e hit più o meno acid fanno tutto il resto, per un set davvero niente male. Altro punto a suo favore è il grande coinvolgimento ed energia ad ogni momento del set; onore a lui, pensando ai numerosi laptop-djs sempre fermi a fissare il monitor. Arrivano le 23, lo spettacolo lentamente si sposta dalla spiaggia del King Kamehameha al Cocoon Club, dove lì mi aspetta un afterhour avvincente.
Taxi in compagnia degli amici veronesi conosciuti lì e con i quali ho condiviso gran parte della serata e mi ritrovo subito catapultato in main room con Federico Molinari, logicamente più coinvolto rispetto alle prime ore della giornata. L’atmosfera è perfetta, anche grazie alla vastità del club e la pista è già bella calda. Dopo pochi minuti di tranquillità, guidato da chi conosce meglio di me il club, decido di esplorare anche la meno nota Lounge Room, che a dispetto di quanto si possa intuire, sembra la sala maggiormente popolata. Merito anche di Meat e Chris Wood, i ragazzacci di Francoforte, che si prestano ad un back to back davvero di classe. Nonostante l’orologio segni le 2 e la stanchezza cominci già a farsi sentire, la selezione accurata con un ritmo progressivamente più alto mi garantisce la giusta carica per portare avanti la serata ancora un paio d’ore. Consapevole che occasioni di questo tipo non ne ho parecchie, mi lascio trasportare dalle ripartenze e da un groove mai banale fino a che il mio corpo chiede pietà. A quel punto, a malincuore, decido di chiudere l’esperienza al Cocoon club, felice ma esausto e di godermi il meritato riposo in hotel.
Memorie indelebili che ti segnano inevitabilmente, in qualunque veste, che tu sia reporter, clubber, dj non fa differenza. Per questo chiudo con un monito: aprite gli occhi ragazzi, non esistono solo Sonar, Time Warp, Monegros, Love Family Park, tanto per citarne alcuni a caso… noi di Soundwall abbiamo insistito molto su questo concetto, facendovi scoprire anche realtà (italiane e non) meno note dei su citati ma portate avanti con lo spirito giusto. Perciò basta polemiche, le occasioni giuste ci sono, eccome.