Agli amici e colleghi di Outpump è successa una cosa abbastanza clamorosa. E pessima, pessima davvero. Soprattutto, è successo qualcosa che dovrebbe far riflettere tutti quanti. Riassumendo: un profilo con una cifra enorme di follower (a sette cifre, per intenderci), dalla cui attività – ricordiamolo – dipendono anche dei posti di lavoro e degli stipendi visto quanto Outpump è diventato grande e seguito, è stato brutalmente messo giù da Meta. Ecco il racconto e la spiegazione degli eventi di Roberto Penna, uno dei fondatori del magazine, dal suo profilo personale:
Vogliamo evidenziare questo caso assurdo prima di tutto perché vogliamo spargere la voce, così magari l’assistenza di Meta diventa un po’ più solerte: chiunque abbia avuto a che fare con essa sa che può essere abbastanza flemmatica, nell’aiutarti quando ne hai bisogno.
Ma poi, vogliamo anche sollevare una questione importante – importante in generale, non solo in questo caso particolare.
Outpump è una delle tante storie editoriali di notevole successo che è fiorita, negli ultimi anni, soprattutto grazie ad Instagram: sì, vivaddio non ci sono gli influencer e le influencer in costume da bagno e frasetta filosofico-pucciosa. Un altro esempio classico per stare nel nostro settore è Esse Magazine, anche loro un esempio di come ottenere risultati eccezionali nell’informazione musicale / di costume 2.0 (trasformandosi da magazine ad agenzia di comunicazione, “fondendo” anche in modo spregiudicato le due cose: come del resto quasi tutte le case history di successo recenti in campo editoriale). In realtà però è una dinamica che va ben oltre lo stagno musicale o lifestyle: vale anche per l’informazione politica, storica, culturale, letteraria, di costume.
Instagram è comodo: piace, fa numeri, crea un engagement che ormai Facebook si sogna e, al contrario di Facebook, è meno limaccioso e “polveroso” nell’interazione fra utenti – si respira un’aria migliore, indubbiamente.
Se ti metti a fare un progetto editoriale, e lo fai bene e con costanza, Instagram è quel moltiplicatore magico per cui i tuoi sforzi vengono premiati cento volte di più. Una meraviglia. È come correre i 100 metri, ma su tapis roulant: anche tu, se ti sei un minimo attrezzato nel modo giusto e ti alleni a modo, puoi provare l’ebbrezza di stare spalla a spalla con Usain Bolt e scendere sotti i 10 secondi. Magia!
…una comodità tale che la stragrande maggioranza di realtà di successo su Instagram non si è mai preoccupata troppo di strutturare lo stesso tipo di following sul proprio sito, sui canali insomma gestiti personalmente e non adagiati su piattaforme social.
Ehi, non è una critica: perché sappiamo bene che c’hanno provato quasi tutti, e magari ci provano tuttora, a guidare un po’ di attenzione verso il proprio URL, non solo verso il @eccetera. Ma quando vedi che per tenere frequentato un proprio sito spendi il decuplo del tempo per ottenere un decimo dei risultati rispetto ad Instagram, beh, ti passa la voglia. Vivacchi, col tuo sito, lo tieni come back up e come archivio di contenuti di valore; oppure, semplicemente ne fai a meno.
O ancora: cerchi comunque di farlo bene, perché ci tieni e lo ritieni un bel biglietto da visita del lato più “premium” del tuo lavoro e del tuo expertise, ma difficilmente indirizzi tempo, energie e risorse per far decollare il traffico su di lui, se è in realtà Instagram (o TikTok, o…) la piattaforma che ti permette di fare i numeri – quei numeri che poi vengono letti dai direttori marketing e dai centri media che decidono dove allocare gli investimenti. Perché sì, questi direttori sono quasi sempre gente semplice: vanno a periodi e mode, e ora la moda è guardare i numeri su Instagram o TikTok. Chi li fa, è ganzo e merita piogge di soldi per ogni cosa che fa. Gli altri? Gli altri, beh, sono scemi che non hanno capito come gira il mondo.
…e non hanno nemmeno tutti i torti, a ragionar così.
Perché la verità è che i primi ad essersi impigriti nel valorizzare le cose e l’informazione e l’economia dell’attenzione sono stati gli utenti. Sì. Tolti i grandi siti di news e dintorni, e le testate che hanno un heritage storico grosso guadagnato in era pre-internet, più pochissimi fortunati e bravi che si sono creati una identità forte in questi anni, il comportamento medio di chi legge – sì, anche tu che stai leggendo queste righe, ed anche noi che le stiamo scrivendo – è quello di scrollare fino a quando non si trova qualcosa di interessante. Così, indistintamente.
Non c’è (più) fidelizzazione verso le testate. Non c’è più il “Vado a digitare quell’indirizzo, perché voglio vedere loro che dicono” ma aspettiamo, molto più pigramente, che le cose ci “cadano addosso” mentre scrolliamo (thanks to the algoritmo), decidendo flemmaticamente cosa ci interessa cosa no a seconda di quanto sia accattivante il titolo o la fotografia.
È su questa nostra pigrizia che Meta prospera, così come lo fa TikTok e in parte lo fa (faceva?) Twitter. Sembra(va) un sistema perfetto o comunque accettabile, fino al momento in cui tutto queste piattoforme vengono viste come dei comodissimi servizi neutri, che in cambio di profilazione dei nostri dati e un po’ di pubblicità disseminata per il feed ci fanno da solerti maggiordomi che ci consegnano, direttamente a letto assieme alle pantofole, ciò che di interessante e divertente succede nel mondo.
Sembrava fosse tutto ok così. Quando però scopri che Meta non è né neutro né perfetto, e non lo sono nemmeno le altre piattaforme social, magari inizi a pensare che hai dato in mano tutte le tue passioni e tutti i tuoi interessi a delle entità come minimo, ecco, imperfette: infatti, come nel caso di Outpump possono segare qualsiasi cosa senza che tu possa fare alcunché nel breve termine, decidono loro e stop. E nel momento in cui la perfezione si incrina, o la neutralità alla fine dimostra di essere una neutralità pelosa e soggetta a mille condizionamenti anche i più bislacchi, dovresti trovare la forza di reagire.
Questa forza di reazione si può declinare in un modo molto semplice: con l’aumentare la quantità di contenuti che ti vai a cercare tu, tu direttamente in prima persona. Senza che sia prima una piattaforma social a mostrartele e suggerirtele. Outpump, che fa un sacco di cose belle e lavora in modo serrato, andrebbe prima di tutto cercato sul suo sito, se ritenete sia un progetto che può esservi interessante, e sticazzi se il suo account Instagram scompare per un attimo.
Vale per lui, vale per qualunque altro progetto editoriale.
Ma è veramente così?
È interessante come il meccanismo dei feed RSS alla fine sia stato pesantemente sconfitto dai social. Questo perché mentre i feed RSS dovevi costruirteli tu, con le tue scelte e digitando tu le realtà che ritenevi rilevanti, i social ti hanno fatto la promessa – mantenuta – di impedirti ogni sforzo e di darti, anzi, perfino dei contenuti random in più, con l’apparente aleatorietà degli algoritmi e la componente “umana” del seguire degli account di persone che conosci, o che vorresti conoscere, e di cui vuoi succhiare gli interessi, le passioni.
È però in parte una trappola.
Sarà il web3 a salvarci? Mmmmh. Altre “grandi innovazioni” che dovevano rivoluzionare il mondo, vedi Second Life, gli NFT e lo stesso Metaverso, si stanno rivelando un buco nell’acqua; vediamo cosa ci riserva il futuro prossimo. Qui, sfere di cristallo non ne abbiamo.
Ma al di là di quale sarà il paradigma tecnologico delle nostre comunicazioni e dell’informazione, il vero cambiamento può arrivare solo da noi.
Smettere di essere pigri, scegliere le cose che ci piacciono e andarcele a cercare, senza aspettare che ci vengano servite, senza affidare tutta la nostra vita, le nostre scelte e i nostri interessi ad una continua “playlist” di cose che non siamo noi a compilare, ma che qualcuno compila per noi. E, pigri come stiamo diventando, ad un certo punto iniziamo a privilegiare proprio i contenuti più superficiali, perché ci siamo ormai abituati a “scrollare” anche la cultura e l’informazione.
Massima solidarietà ad Outpump: un progetto da seguire, per come ha saputo farsi largo in questi anni ed interpretare alla perfezione una nicchia di mercato e di modalità di comunicazione a cui altri media di informazione e cultura non erano minimamente arrivati, creando una interessante e solida realtà imprenditoriale.
Ma finché queste solidità sono ostaggio di una piattaforma terza, che sia Meta o non Meta, nessuno può dire di essere al sicuro. Non va bene. E il cambiamento, più che dalle testate e da chi sfrutta o non sfrutta Instagram o quello che si vuole, nasce dal comportamento di chi legge, di chi vuole conoscere, sapere, divertirsi, intrattenersi, migliorarsi informandosi. Nasce da te, che sei arrivato fino in fondo a questo articolo… a cui sarai arrivato perché l’hai visto ripostato su Facebook. Lo sappiamo.
Sicuri che vogliamo affidare tutto il nostro mondo etico, culturale ed estetico a Zucky, Elon e TikTok?