Per molti voi che leggete, Tenax è Nobody’s Perfect, è il locale che si riempie all’inverosimile con grandi guest (il confine fra “grandi” e “soliti noti” sceglietelo voi…), è insomma uno dei caposaldi del clubbing in Italia così come lo conosciamo oggi. Niente da dire, meritato: per l’organizzazione sempre impeccabile, la professionalità in tutto ciò che comporta una serata e che magari sfugge a chi pensa solo a venire alla venue e ballare in pista. Ma dal Tenax noi vogliamo qualcosa in più. Lo vogliamo, perché per noi il Tenax nei tempi che furono è stato molto altro. Ora è raro vederci dei concerti tradizionali, ma se si scorre indietro nella storia del club ci sono momenti assolutamente pionieristici per la scena musicale italiana, a partire dall’ondata new wave (quando Raf era un punk con una spilla da balia conficcata nel naso e i Litfiba non erano un baraccone mainstream: sì, era così, e vi consigliamo tantissimo la lettura di questo libro). C’era il Tenax, e c’erano pochissimi altri posti in Italia dove vedere live di qualità, negli anni ’80. Pochissimi. Bisognava essere dei folli visionari, all’epoca, per dare spazio a nuove musiche, per puntare su un pubblico che pensa&balla e ascolta&ricerca allo stesso tempo. A Firenze, dalle parti di Via Pratese, lo erano.
Ecco, noi siamo tornati a cercare questa magia, almeno qualche sua piccola traccia, pur volendo fermamente restare legati al presente, alla club culture di cui parliamo quotidianamente su Soundwall che poco c’entra con Federico Fiumani e i Diaframma. Ci siamo fatti una gita fiorentina il sabato, e abbiamo voluto scegliere non la “solita” serata ma quella Fragola’s Night che al Tenax ha cadenza più o meno trimestrale e che si distingue per puntare più sui propri resident e sul marchio di se stessa che sulla qualità del guest. Uno come Argy, infatti, difficilmente potrebbe farci venire voglia di fare centinaia di chilometri per andarlo a sentire. Non che suoni male e non che abbia suonato male quando l’abbiamo sentito in serata, ma le cose interessanti sono state altre.
E’ stato interessante vedere come il Tenax, esattamente come ce lo ricordiamo, ha ancora attorno a sé, nelle strutture circostanti, una classica situazione di bar e ristorante da Circolo Arci: schiettezza pane al pane vino al vino, niente cazzate lounge, tavolacci, prezzi calmierati, un assurdo e bellissimo mix di sessantenni/settentenni battaglieri che imprecano forte e parlano di calcio o politica fianco a fianco con clubber ventenni dal taglio scolpito e dal vestito trendyno. La vicinanza dei primi migliora notevolmente il piglio e la simpatia di questi ultimi, credeteci. Poi ancora: la security all’ingresso, per quello che abbiamo visto, ha un piglio molto navigato ed umano, non ci sorprenderemmo fossero le stesse persone che sorvegliavano l’ingresso molti anni fa, o almeno questa è l’impressione che comunicano. Non energumeni senza storia e senza discernimento cioè, ma gente che prende con la giusta umanità il suo ruolo.
Un aspetto secondario, questo? Per nulla. E’ un ruolo fondamentale. A maggior ragione in un posto che raduna centinaia, anzi, migliaia di persone nel weekend. E che all’ingresso mette bella visibile una targhetta con scritto “Tenax: tolleranza zero”, e il contenuto del testo sotto questo titolo voi ve lo potete immaginare (riassumibile in: non provateci nemmeno a fare gli stronzi, o voi clienti del locale, perché vi facciamo un paiolo così) e noi lo possiamo condividere. Resta da vedere come può essere il club quando arrivano guest, loro malgrado, “a rischio”, quelle cioè che portano un pubblico molto esuberante e spesso bovino e/o cafone, ma di sicuro quello che abbiamo visto noi alla Fragola’s Night è stato un bel pubblico. Giovane, molto: età media sui ventitrè/venticinque anni. Sereno e sano: niente mascelle volanti, niente sguardi esagitati, niente pupille grandi come un eliporto. Ricercato il giusto, c’era il classico acchittaggio da fine settimana (quando vai dal parrucchiere il sabato pomeriggio per poi sfoggiare il taglio bello fresco la sera, indossando quelli che secondo te sono i vestiti più informali-ma-belli del tuo guardaroba), non c’era magari l’atmosfera e il pubblico da evento super, ovvero quella in cui si radunano gente che è folle veramente ma acculturata veramente, ma una cosa del genere in Italia c’è riuscito solo il Morphine negli anni ’90, probabilmente, e comunque pochi, pochissimi posti nel mondo, leggi Shoom, Berghain, l’Haçienda prima che diventasse un troiaio in mano alla malavita.
Il risultato è che stai bene. Stai bene se hai vent’anni, stai bene se ne hai venticinque, stai bene se hai superato i trenta come nel nostro caso. Facce simpatiche. Grande voglia di divertirsi, non di sballare. Riproposizione in fondo ironica di certi cliché della notte edonista anni ’90 (le cubiste, le trapeziste, decorazioni al limite del kitsch), perché se è vero che il clubbing più puro è quello che vuole solo la musica e non ha bisogno di questi contorni, è anche vero che a cercare solo clubbing duro&puro si diventa uguali, completamente uguali a quelli che vogliono solo ed esclusivamente la commerciale – stessa assenza di elasticità mentale e di voglia di giocare, di prendersi in giro.
Che poi la musica c’era, ed era pure molto buona. Come si accennava all’inizio, non tanto per merito dell’ospite, Argy, che ha suonato anche benino – meglio di altre volte in cui lo avevamo sentito – ma di certo non ha lo spessore di un Garnier e neppure di un Tiga, ma perché Philipp e Cole stanno facendo un gran lavoro e stanno dimostrando grandi capacità. Il gran lavoro lo vedi dall’ascendente che hanno sul pubblico, da come la gente li segua, li cerchi, li ascolti: segno che hanno saputo coltivarselo, il loro pubblico, passo dopo passo. Le grandi capacità ce le ha fatte sentire il set introduttivo di Cole, bravo nel passare in modo progressivo da bpm lenti e dinamiche tranquille ad una quasi-techno quasi-trance, così come quello di chiusura di Philipp, un po’ discontinuo magari ma capace di una fantasia e di una energia d’idee che in Italia non si sente troppo spesso. Si è preso dei rischi, Philipp, soprattutto all’inizio; e se li è saputi gestire molto bene, spaziando da techno pura e chiassosa a momenti di ricercatezza ritmica degni di un Gilles Peterson in giornata buona. L’Italia è infestata di resident che fanno il compitino, attenti ad incanalarsi nel suono del momento: non è sicuramente il caso di quanto abbiamo visto e sentito al Tenax in questa nostra visita estemporanea. Bene così, molto bene così.
Insomma, ci sono modi e modi di passare un sabato sera in un club strapieno. La crisi c’è, in Italia, ma nel clubbing c’è molto meno che in altri settori, quindi non è impossibile beccare posti strapieni, da scrigni piccoli e ricercati come il Tunnel a Milano a santuari come il Cocoricò a Riccione. L’invito è quello di cercare sempre un “qualcosa” in più: il Tenax, con le sue mura che per gli osservatori più attenti ed esperti conservano ancora schegge fondamentali di storia, con la professionalità del suo staff, col suo impianto ok, coi suoi spazi ben dimensionati (buono lo sfogo al piano di sopra, per dire) è assolutamente da mettere nel vostro portfolio mondano. Se poi vi capita di andarci donando i vostri euri faticosamente guadagnati (o faticosamente guadagnati dai vostri genitori…) a una realtà che più ancora che nel guest straniero investe in allestimenti – nella Fragola’s Night gli allestimenti vengono preparati ad hoc per la serata, scenografie e luci, e i visual sono affidati ad un super professionista come Piero Fragola, nomen omen – la soddisfazione cresce ulteriormente.