Essere in grado di missare per bene i vari suoni per comporre una traccia è il miglior punto di partenza per creare un buon disco. Non servono un milione di strumenti, miliardi di suoni, effetti ecc ecc…un buon disco può essere creato anche assemblando pochi suoni. Ormai mi sono quasi specializzato nel seguire i lavori italiani, amo questo paese e con tutte le forze che ho cerco sempre di proteggerlo, qualche volta di giustificarlo; stiamo crescendo, piano piano anche se abbiamo molto (se non moltissimo) su cui lavorare. Uno dei migliori aspetti che sta venendo fuori (come ho evidenziato nelle ultime recensioni) è quello dell’impegno delle label nostrane nel rilasciare lavori ben fatti e interessanti.
Lavoro tutto italiano quello che, come detto, andiamo ad analizzare anche questa volta. Artisti: Micro On, italianissimi di Roma; label: Deepandance etichetta partenopea per la quale il discorso “fare musica di qualità non per tutti” calza a pennello. Ero in studio quando ho ricevuto questa promo, subito incuriosito dalla label mi sono messo ad ascoltare l’EP, composto da quattro tracce, tre original e un remix confezionato da Genny G. E’ forse la prima volta che le mie aspettative su un EP sono premiate in pieno, per qualsiasi dei pezzi che lo compongono. Ognuno di essi racchiude un qualcosa di davvero interessante, anche se per ritmica ed evoluzione “He Said” mi colpisce di più rispetto alle altre: forse per quella bassline “fluttuante” e per l’intreccio synth-vocal che rende questo disco un’arma perfetta da utilizzare alla fine di un warm up per proiettare il dancefloor verso quello che sarà il culmine della serata. E’ il classico disco che, orologio alla mano e sguardo in pista, mi farebbe dire : “ok, iniziamo a spingere sul serio”.
Le altre tre tracce (“Work 2” e “Padbeat”, sia originale che remix) sono, come “He Said”, completamente elaborate attraverso macchine analogiche. Sono ottime, ben costruite, cariche di groove e di sicuro impatto sul dancefloor, ma in esse non sento quel qualcosa in più come “He Said”. Queste tre, grazie ad un groove più morbido (ma con un intreccio ritmico prorompente) le utilizzerei prevalentemente ad inizio serata. La qualità, d’altra parte, è indubbia.
Con questa ennesima review di un progetto 100% made in Italy mi fermerei a riflettere su un fatto incoraggiante per quanto riguarda il trend discografico italiano: nonostante i party più riusciti siano, purtroppo, quelli costellati da quei grandi nomi che nulla hanno a che vedere con la scena underground europea, le “nostre” label cercano sempre più di imporre il proprio gusto e la qualità che da sempre hanno garantito ai prodotti italiani di farsi valere. Chissà che la scommessa, per quanto azzardata, non possa rivelarsi vincente…