Sono due dei giovani tra i più talentuosi dell’attuale scena techno italiana, due su cui siamo stati prontissimi a scommettere (ormai) anni fa quando li abbiamo scelti come nostri Giant Steps. Parliamo di Mattia Trani e Giuseppe Maffei, in arte Zippo, ragazzi nel cui sangue scorre l’arte del djing e che, proprio dietro a mixer e giradischi, hanno trovato la via per costruirsi una carriera credibilissima all’insegna della musica di qualità. Ma la loro sfida in consolle è spesso andata di pari passo con quella in studio, quel rifugio in cui dar sfogo alle proprie idee e dove dare sostanza ai propri progetti. Già, i progetti…in questi giorni li abbiamo incontrati per parlarvi proprio della loro ultima creatura, probabilmente la più ambiziosa: Midnight Conversation.
Se avete fame di funk, jazz and broken-beat e non sapete resistere alle suggestioni anni ’80, allora sulla direttrice Bologna-Berlino troverete pane per i vostri denti: signore e signori, siamo lieti di presentarvi l’ultima creatura di Mattia Trani e Zippo e di regalarvi in anteprima la bellissima “Green Step”. Buona lettura e buon ascolto!
Partiamo dalla domanda d’obbligo: perché il nome Midnight Conversation? È perché, vivendo in due città lontane, vi ritrovate la notte a condividere impressioni e musica per il vostro progetto?
Mattia: Midnight Conversation, letteralmente tradotto, sta per “Conversazione di Mezzanotte”. La mezzanotte di cui stiamo parlando è quella fra il 28 giugno, giorno in cui sono nato, e il 29 giugno, giorno in cui è nato Giuseppe. Probabilmente è il destino che ha deciso questa collaborazione, in quanto solo dopo molti giorni passati assieme tra Berlino e Bologna durante sessioni in studio e serate abbiamo scoperto questo collegamento fra i due compleanni e la cosa ci ha lasciato piacevolmente sorpresi. Diciamo che la mia mia amicizia con Giuseppe è stato un colpo di fulmine: circa tre anni fa ci incontrammo a Berlino per caso e, dopo ore e ore a discutere di musica a trecentosessanta gradi, decidemmo appunto di andare in studio. Contrariamente a quello che ci si aspettava, anziché produrre un disco techno, sono emerse le nostre radici funk/soul così pensammo di sviluppare seriamente queste nuove idee. La distanza fra Berlino e Bologna non risulta un gran limite, ci sentiamo giornalmente e scambiamo idee che riusciamo a concretizzare nonostante la lontananza.
Il vostro percorso artistico personale è piuttosto distante da ciò che vuole trasmettere e comunicare il progetto Midnight Conversation. Perché avete deciso di tuffarvi in questa avventura?
Mattia: Suono il pianoforte da quando ero bambino e tutt’ora sto studiando a Bologna privatamente da un jazzista: per quanto mi riguarda personalmente avevo bisogno di esprimere tutto quello che sto esplorando e studiando in un progetto concreto che includa le emozioni e la gioia della musica. La techno spesso è collegata a luoghi scuri o ritmi forti, quindi risulta difficile includere le atmosfere positive e le melodie all’interno di brani così veloci. Buttandoci in questa avventura vogliamo mostrare la nostra affinità più funk, più soul scostandoci da quello che abbiamo sempre trasmesso attraverso il genere techno che ci ha classificati “scuri e introspettivi”.
Che tipo di feedback avete ricevuto sul vostro lavoro? Chi vi conosce (e apprezza) per le vostre rispettive release techno, cosa vi ha detto sentendo l’album?
Giuseppe: Amo parlare di musica con amici e addetti ai lavori e, come Mattia, dedico gran parte della mia giornata all’ascolto di tutt’altra musica rispetto alla techno. Ciò mi permette di estraniami da questo mondo! Così abbiamo deciso di sperimentare tornando indietro nel tempo e gettarci in questa nuova avventura.
Dopo averci lavorato su per diverso tempo, abbiamo fatto ascoltare i primi sketches a Volcov, Amp Fiddler, Theo Parrish e alla nostra distribuzione Early Sounds, raccogliendo feedback interessantissimi che ci hanno spinto e incoraggiato ad autoprodurre il disco.
Avete già avuto modo di pensare a un live? C’è qualcosa in work in progress in questo senso?
Giuseppe: Assolutamente si, dopo l’uscita del disco a fine maggio faremo qualche prova del live e ci esibiremo in qualche piccolo club in giro per l’Italia. Vorremmo jammare e affinare sul campo la tecnica in modo da conoscerci meglio durante le esibizioni dal vivo. Essendo “Midnight Conversation” tutto scritto, arrangiato e prodotto da noi, l’idea è quella di esibirci suddividendo il live in due sezioni: io ai controlli di drum ed effetti, mentre Mattia alle tastiere e synth. Non escludiamo in futuro un live con più componenti, sarebbe entusiasmante poter coinvolgere cantanti/coriste e altri musicisti come batteristi, fiati e chitarristi…
La copertina del disco rimanda, al pari dei suoni che avete scelto, ad anni in cui voi non eravate nemmeno nati: che tipo di legame avete con la musica degli anni ’70 e ’80?
Mattia: Sì lo so, né io né Giuseppe siamo nati negli anni ’70, ma dato il sangue che mi scorre nelle vene è ovvio che mi sia sempre nutriti di pane, dischi e musica black. Ho sempre provato un profondo rispetto per la musica di quegli anni perché, appunto, è la base di tutto quello che c’è oggi nel panorama discografico, oltre a rappresentare lo zoccolo duro della collezione di dischi che ho ereditato da mio padre. È il mio background e, al tempo stesso, la direzione da prendere.
Questo per quanto riguarda me. Giuseppe, invece, è un digger nato e sempre alla ricerca e scoperta di nuovi album degli anni ’70…materiale sconosciuto anche a me! Tutto questo ha reso il connubio perfetto tra passato, presente e futuro.
Mi piacciono moltissimo i paesaggi americani quali Miami, Los Angeles e San Francisco e giochi per consolle, come GTA Vice City, mi hanno aiutato a capire l’atmosfera dell’epoca quindi mi piace immaginare e collocare il progetto di Midnight Conversation come un ritorno al passato, a quelle grafiche neon e disco anni ’80 (questo spiega pure la scelta delle tonalità calde ed estive con colori che spaziano fra il rosa e l’azzurro) ma con un occhio sempre rivolto al futuro.
Ci sono degli ascolti, dei dischi fondamentali, che stanno alla base del vostro nuovo lavoro?
Più che dischi fondamentali, potremmo citare artisti che hanno ispirato particolarmente la nascita di questo mini album: dai leggendari Herbie Hancock, Miles Davis, John Coltrane e Gino Vannelli, ai più contemporanei Tom Misch, Kendrick Lamar, Hiromi Uehara, Badbadnotgood, Robert Glasper, MNDSGN, FKJ, Dego, Theo Parrish, Kaidi Tatham, Yussef Kamaal e molti altri.
L’album è, senza ombra di dubbio, un lavoro molto ambizioso: cosa vi aspettate? C’è un sogno che cullate?
Ci accomuna molto il nostro essere autocritici ma d’altro canto l’ ambizione non manca e ci porta molto a sognare. Sarebbe bello attrarre etichette e scenari molto più ampi, collaborare con musicisti internazionali, cantanti, rapper d’oltre oceano e magari registrare un disco dall’altra parte del mondo.