In una Londra sotto una pioggia acida, qualcuno più di altri si occupò di sostenere e promuovere quella scena che segnò per sempre l’Inghilterra, in qualche modo, identificandola. Sì, perché l’IDM è meravigliosamente “made-in-UK”: si sente la frenesia della capitale, si sente la follia delle strade. “Musica bastarda per strade bastarde”, diceva il sottotitolo di un libro. L’IDM offriva una colonna sonora per gli esclusi dal rave, per quelli che si erano arresi, che erano stanchi degli eccessi e anche per quelli che erano cresciuti al di fuori del mito della “comunione di massa”. La “musica intelligente” rappresentava un cambio di rotta verso la concezione dell’artista come mito solitario che umanizza la tecnologia; in un certo senso, fu come la liberazione della techno dalla dittatura della pista da ballo. Qui si collocavano inizialmente Mike Paradinas e la sua Planet Mu: a metà tra la breakcore abrasiva di Aphex Twin e le sue malinconiche melodie a cascata, a volte cupe e irrequiete, a volte teatrali. Nel corso degli anni, Paradinas ha messo in scena una grande quantità di musica sotto varie forme e pseudonimi: dall’IDM all’avant-pop, mutando da A Plaid Tusk a Chris Morrison a Frost Jockey a Gary Moscheles a Jake Slazenger a Kid Spatula, una policromia stilistica che poi si è riflessa anche nel catalogo dell’etichetta, anzi, quest’ultima è andata ad esplorare sempre più territori, anche quelli mai percorsi artisticamente dal suo titolare (ma di sicuro nei suoi interessi da ascoltatore e discografico). Una vocazione, la sua, che continua a portare alla luce l’elettronica più sotterranea spingendo nuovi stili, tra cui footwork e grime. Ecco la nostra chiacchierata.
Nel 2016 sono usciti due album “RY30 Trax” e “Aberystwith Marine”, che provengono dai tuoi archivi dal 1995 al 1998. Ora è il momento di “If Challenge Me Foolish”, con tracce riesumate dal 1998-1999. Come mai hai pensato fosse arrivato il momento giusto per questa release?
Deve essere questo ciclo di vent’anni… Ora sembra proprio il momento giusto, ecco. Come lo è sembrato per le uscite precedenti che citavi. Ad essere onesti, l’album è pronto e preparato già dal 2016, quando l’ho elaborato. Ho semplicemente aspettato la pausa prevista dal calendario delle release. Con Planet Mu aspettavamo un paio di release che non sono state consegnate in tempo, quindi… ecco un’opportunità.
Se “If Challenge Me Foolish” è qualcosa di simile a “Royal Astronomy” (LP, 1999), come potremmo descrivere le affinità e le differenze tra loro? È sempre sperimentale, ma forse più melodico e sognante…
La differenza è che le tracce di “Royal Astronomy” sono state scelte da David Boyd – a&r presso Hut Recordings/Virgin nel 1999 – e questi sono stati scelti da me. Immagino che se quel giorno mi avessero dato libero sfogo (com’è stato per “Lunatic Harness”), il suo follow-up sarebbe potuto sembrare molto più simile a questo.
Descrivi la cantante Kazumi, che ha collaborato con te al tuo nuovo album, come un’aggiunta in più di “tocco umano”. Quanto è veramente importante il tocco umano nella tua musica? E perché hai scelto Kazumi per farlo?
Non ho scritto io il comunicato stampa, ma sì, è così che viene descritta. Penso che gli errori e gli sbagli che commettiamo siano parte integrante delle emozioni trasmesse attraverso la musica. Ho scelto Kazumi perché mi ha mandato una demo tape in cui cantava “Marks Made In China” (un b-side di Jake Slazenger) ed era ammaliante.
Sembra che tu ti stia allontanando dal tuo ruolo di produttore musicale. È una decisione consapevole o è forse l’etichetta che ti prende un sacco di tempo?
Sì, non ho tempo per produrre e non è nemmeno più un modo per guadagnarmi da vivere. Quindi non c’è molto incentivo a pubblicare nuovo materiale, anche se lo realizzo e lo suono occasionalmente.
Ho visto un’intervista dove eri a casa tua e dietro di te c’era un muro di vinili. Come organizzi la tua collezione? Casualmente? Per generi? Con un ordine particolare?
Non c’è molto ordine: sono stati vagamente ordinati alla fine degli anni ’90, ma mi sono trasferito così tante volte che è stato tutto mescolato comunque.
Che mi dici del movimento delle radio pirata? Erano importanti per te? Ti hanno ispirato oppure no?
Non so se fosse un “movimento”, ma certamente ho ascoltato e sono stato ispirato dai pirati, specialmente nel 91-93, l’era dell’hardcore. Ascolto molto Don FM e ascoltavo molto Kiss FM quando era pirata. Quando ho iniziato, l’hardcore del Regno Unito e la Detroit Techno sono state due delle mie più grandi influenze.
Com’è il tuo flusso di lavoro? Come scegli esattamente le uscite per Planet Mu?
Solo ascoltando molta musica e roba che mi ispira. Il materiale per le release di Planet Mu arriva tramite demo via e-mail o da consigli di artisti/amici o dall’acquisto di dischi, eccetera eccetera.
Per alcuni anni il termine “IDM” è stato controverso. Solo ora, forse, possiamo guardarlo con più tranquillità. Pensi che oggi parlare di IDM possa essere anacronistico?
Non penso che sia anacronistico. E’ un termine che descrive qualcosa di cui le persone sono ben a conoscenza, quindi è un termine utile; ma continuo a pensare che sia molto impreciso come descrizione. Abbiamo sempre chiamato quello che stavamo facendo “musica techno” o “elettronica”, senza bisogno di eccessive specificazioni.
Fino a che punto la Planet Mu era cardine dello sviluppo della cosiddetta IDM? E in che misura questa musica era tipicamente “britannica”? Qualcosa di cui gli inglesi potessero essere fieri? Che ne pensi di questo termine che recentemente, è stato, “riscoperto” dalle generazioni più giovani?
La scena dell’IDM era praticamente finita prima che fosse lanciata la Planet Mu. E sì, penso che originariamente fosse una scena britannica, una reazione ai dischi del Regno Unito che imitavano techno e house americane, non aggiungendo nulla di personale. Quindi, dal mio punto di vista l’IDM canalizzava lo spirito di scoperta che si poteva sentire nella techno detroitiana ma con un punto di vista britannico, avendo ovviamente influenze diverse.
La Planet Mu è stata avviato nel 1995 come sub-label della Virgin, ma nel 1998 è rinata come etichetta completamente indipendente, in cui eri solo tu ad avere il controllo. È stato difficile renderti autonomo?
(Ride, NdI) Sì, in effetti è stato abbastanza difficile, una curva di apprendimento piuttosto ripida, ma siamo stati aiutati molto da SRD (i nostri primi distributori) e da molti altri, imparando qualcosa di nuovo ogni anno. Ora stiamo iniziando ad arrivare da qualche parte…
Potresti racchiudere la Planet Mu in una determinato genere o in una appropriata definizione? Ho sempre pensato che parlasse delle sottoculture del Regno Unito (dall’ IDM, alla dubstep, alla jungle, alla leftfield, ecc.) e di suoni genericamente sperimentali; ma, attraverso gli anni, in realtà ha attraversato diversi flussi, toccando sia l’avanguardia che il synth-pop.
No, non sono riuscito a definirla correttamente, lo lascerò fare a quelli come voi… (Sorride, NdI)
All’inizio degli anni 2000, la Planet Mu iniziò ad avvicinarsi al grime. So che Londra, ma in generale tutto il Regno Unito, è molto affezionata a questa scena, perché racconta strettamente del paese in sé. Come descriveresti esattamente a noi questo stile h, dato che non siamo britannici?
Immagino che per gli estranei sarà sempre molto difficile capirla, ma è stata una scena davvero entusiasmante quindici anni fa, e ci sono ancora elementi che risalgono a quell’epoca. Non mi sono mai interessato all’hip hop americano, probabilmente perché, anche se ero molto coinvolto nelle sonorità, i testi e il flow non mi avevano mai parlato come londinese. All’inizio il grime era molto localizzato attorno all’area di Roman Road a Londra), ma si diffuse rapidamente in tutta la città ed era un nuovo linguaggio musicale, dopo che la drum & bass era diventata così prevedibile e noiosa. Anche i testi e il flow hanno significato molto per me. E’ stato un peccato che abbia fatto fatica nel trovare pezzi grime da far uscire in quegli anni, questo perché tutti stavano provando a pubblicare i loro pezzi da soli oppure di ottenere importanti contratti con etichette major (2003-2005). Nel 2005 mi sono arreso, decidendo di far uscire più dubstep. Andavano allo stesso tempo, ma era meno emozionante; però i produttori erano effettivamente disposti a lavorare con l’etichetta.
2010-12 sono stati gli anni della juke per la Planet Mu. Cosa puoi dirci riguardo la connessione della Planet Mu con la cultura juke / footwork? Come e perché è nata questa connessione?
Penso che il motivo sia perché superficialmente il footwork suona molto come l’hardcore del 1991-93, specialmente nel tempo e nell’uso dei campioni. Come ci sono entrato in contatto? Beh, ho semplicemente chiesto ai produttori tramite social media, ho scoperto chi aveva realizzato i brani che mi piacevano (dalle clip dei ballerini su YouTube) e alla fine sono riuscito a conquistare tutti…
Torniamo ai primi anni ’90. Pre-Planet Mu, hai pubblicato il tuo lavoro attraverso la Rephlex di Aphex e Grant. Com’era fare parte di quell’etichetta? Come hai fatto a far parte del loro roster? In realtà, io so che tu e Aphex eravate già amici, se non mi sbaglio, frequentavate la stessa università, Kingston, dove lui studiava elettronica e tu studiavi architettura. Quegli anni, la scena rave a Londra era al suo culmine. Quando hai deciso di passare dall’architettura a essere un vero e proprio produttore di musica elettronica?
Sono diventato parte di Rephlex dopo che il mio amico universitario Hal (Hallam Udell che più tardi ha fondato l’etichetta Clear con Clair Poulton) ha dato una demo tape a Richard. Io e Rich non eravamo amici all’università, ma avevo sentito persone che parlavano di lui, ed ero stato incuriosito dal fatto che entrambi producevamo musica rave-influenced. La scena in quel momento era molto stimolante. Stavo già parlando con Evolution (Mark Pritchard e Tom Middleton) per fare un 12”, ma la cosa è poi caduta a causa del loro distributore (Great Asset) che è andato in bancarotta. Poi, Rising High mi ha chiesto un 12” ma io ero contento di far uscire il mio debutto attraverso la Rephlex, poiché sembrava capire di più la musica (e mi ha offerto un contratto per l’album). Ho lasciato l’università dopo l’uscita di “Tango N’Vectif”, perché avevo capito che volevo che la musica diventasse la mia carriera.
In base alla tua esperienza, cosa ti aspetti ora dalla scena elettronica? La musica è ciclica, questo è chiaro. Sembra che ci sia un piccolo-approccio-generale positivo verso suoni più sperimentali, lontani dal 4/4.
Non so cosa intendi per piccolo approccio generale. Che cosa? Tipo come Napoleone? Sono d’accordo sul fatto che i gusti della gente oscillino, tenendo conto dei cicli, ma non so cosa aspettarmi. Non ho alcuna aspettativa, in realtà: mi sto solo godendo l’ascolto di ciò che le persone stanno facendo, e credo che questo sia un buon momento per la musica.
(Mike ages ago – photo by Viviane Oh. Scroll down for English version)
ENGLISH VERSION
In a London under an acid rain, someone more than others was responsible for supporting and promoting the scene that forever marked England, identifying it, in some way. Yes, because IDM is wonderfully “made-in-UK”: you can feel the frenzy of the capital, you can feel the madness of the streets. “Bastard music for bastard streets”, said the subtitle of a good book. IDM offered a soundtrack for those excluded from the rave thing, for those who had surrendered, who were tired of the excesses, and also for those who had grown up outside the myth of “mass communion”. The “intelligent music” represented a change of course towards the conception of the artist as a solitary myth that humanizes technology; in a sense, it was like the liberation of techno from the dictatorship of the dance floor. This is where Mike Paradinas ranks whit his Planet Mu (Planet Music). Halfway between the abrasive breakcore of Aphex Twin and its melancholic drop-down melodies, sometimes gloomy and restless, sometimes theatrical. Through the years Paradinas has staged a great amount of music in various forms and pseudonyms: from IDM to avant-pop, mutating from A Plaid Tusk to Chris Morrison to Frost Jockey to Gary Moscheles to Jake Slazenger to Kid Spatula (etc.) in addition to taking care of the prolific Planet Mu, which continues to bring to light the most underground electronic music pushing new styles, including footwork and grime that I had the pleasure of speaking, in the interview you are about to read.
In 2016 you’ve released “RY30 Trax” and “Aberystwith Marine”, that came out of your 1995-1998 archive. Now, it’s time for “If Challenge Me Foolish”, archive-wise it’s the 1998-1999 material. Why do you think it was the right time for such a re-issue?
It must be these 20 year cycles, it just feels like the right time now. To be honest, the album has been ready and prepared since 2016 when I compiled it, and i’ve been waiting for a gap in the release schedule. A couple of Planet Mu release we were expecting were not delivered on time, so… here was an opportunity.
If “If Challenge Me Foolish” is something of a companion to “Royal Astronomy” (LP, 1999), how could we describe the affinities and the dissimilarities between them? It’s always experimental stuff but maybe more melodic and dreamy…
The difference is that the Royal Astronomy tracks were chosen by David Boyd – a&r at Hut Recordings/Virgin back in 1999 – and these were chosen by me. I guess that if I were given free rein back in the day (like I was for Lunatic Harness) then its follow-up might have sounded more like this.
You describe the vocalist Kazumi, that has collaborated with you on your album, as an extra addition of human touch. How much is human touch actually important on your music? And why did you choose Kazumi to do this?
I didn’t write the press release, but yes that’s how she is described. I think the errors and mistakes we make are integral to the emotion transmitted via music. I chose Kazumi because she sent me a demo tape of her singing over ‘Marks Made In China’ (a Jake Slazenger b-side) which was bewitching.
It looks like you’re moving away from your role as a producer/music maker. Is it a conscious decision or is it maybe the label taking loads of time away?
Yes, I just don’t have time for it, and it’s not even a way to earn a living anymore. So there’s not much incentive to release new material, although I still make it and play it live occasionally.
I saw an interview where you were at your place and behind you there was a wall of vinyl. How do you organize your collection? Casually? Through genres? Through any particular order?
There’s not much order to it, it was organised vaguely by order back in late nineties, but I’ve moved house so many times that it’s become all mixed up anyway.
What about pirate radio movement? Were they important for you? Did they inspire you or not?
I don’t know if it was a ‘movement’, but I certainly listened to and was inspired by pirates, especially back in 91-93, the hardcore era. I used to listen to Don FM and Kiss (when it was a pirate) a lot. UK hardcore and Detroit Techno were 2 of my biggest influences when i started out.
How is your usual workflow? How do you exactly choose the releases for Planet Mu?
Just by listening to a lot of music and hearing stuff that inspires me. It comes via demo emails, or from other artists/friends recommendations, or from buying records etc.
For may years the term “IDM” has been controversial. Now maybe we can look at it calmly. Do you think today talking about IDM might be anachronistic?
I don’t think it’s anachronistic, it’s a term that describes something people are well-aware of so it’s a useful term, but I still think it’s very inaccurate as a description. We always called what we were doing techno or electronic music.
To which extent was Planet Mu pivotal in the development of the so-called IDM? And to which extent was this music typically “British”? Something to be “proud of”? How about this term being recently revamped by younger generations?
The IDM scene was pretty much over before Planet Mu was launched. And yes, I think originally it was a British scene, a reaction to UK records which aped US House and Techno, but didn’t add much of their own sound. So from my point of view IDM was channelling the spirit of discovery you could hear in Detroit Techno but from a British point of view, having obviously different influences etc.
Planet Mu was started in 1995 as an imprint on Virgin, but in 1998 was actually re-born again as a fully independent label, controlled only by yourself. Was it hard to set yourself up independently?
Haha, yes it was quite hard actually, a steep learning curve, but we were helped a lot by SRD (our first distributors) and lots of others, learning something new each year, now we’re starting to get somewhere…
Could you file Planet Mu in a determined trend or into a proper definition? I always thought it was about UK’s subculture (from IDM, to dubstep, jungle, leftfield, etc.) and generically experimental sounds; but, through the years, actually it crossed various streams, touching the avant-garde and synth-pop as one.
No, I couldn’t properly define it, I’ll leave that up to the likes of you!
In the early 2000s Planet Mu began to approach grime. I know that London, but in general all the UK, is very fond to this scene, because it precisely speaks about the country itself. How would you exactly describe this scene to us, as we’re non-Brits?
I guess it’s always going to be very difficult for outsiders to understand, but it was a genuinely exciting scene 15 years ago, and there are still elements which hark back to that era. I was never really into US hip hop, probably because, although I was very much into the sonics, the lyrics and delivery never spoke to me as a Londoner. Grime was very localised (around Roman Road area in London) at the start, but quickly spread around London, and was a fresh sonic language after drum & bass had become so predictable and boring. Also the lyrics and delivery meant a lot to me. It was a pity that we struggled to release any actual Grime because they were all trying to either release it themselves or get major label deals (2003-2005). I gave up in 2005 and was releasing more dubstep, which was the same tempo, but less exciting and the producers were actually willing to work with the label.
2010-12 were the juke years for Planet Mu. What about the Planet Mu’s connection with juke/footwork culture? How and why this connection was born?
I think the why is because footwork superficially sounds a lot like uk hardcore 1991-93, especially in it’s tempo and use of samples. How? Well I just asked the producers over social media, found who had made the tracks I liked (from youtube clips of dancers) and eventually got hold of everyone…
Let’s get back to the early 90’s. Pre-Planet Mu, you’ve issued your work through Aphex and Grant’s Rephlex. How was it being part of that label? How did you happen to be part of their roster? Actually, I know you were already friend with Aphex if I’m not wrong – you were attending the same university, Kingston, where he was studying electronics and you were studying architecture. Those years, the rave scene in London was at its peak. When did you decide to switch from architecture to being a proper electronic music producer?
I became part of Rephlex after my university friend Hal (Hallam Udell who later set up the Clear label with Clair Poulton) gave a demo tape to Richard. I wasn’t friends with Rich at University, but I had heard people talking about him, and was intrigued as we both made rave-influenced music. The scene at that time was very inspiring. I had already been talking with Evolution (Mark Pritchard and Tom Middleton) about doing a 12” but that fell through after their distributor (Great Asset) went bust. Then Rising High asked me for a 12”, but I was pleased to finally release my debut with Rephlex who seemed to understand the music more, and were offering an album deal. I left university after Tango N’Vectif was released, as I knew I wanted to do music for a career by then.
Based on your experience, what do you expect now from electronic scene? Music is cyclic, that’s clear. It appears that there’s a little-general-approach to more experimental sounds, away from 4/4.
I don’t know what you mean by little-general-approach. What? like Napoleon? I’d agree that peoples tastes oscillate, accounting for cycles, but I don’t know what I expect. I don’t really have any expectations, I just enjoy hearing what people are making, and it’s a really rich time for music at the moment.