Certe volte la vita è strana: sì, perché a questo giro dovremmo ringraziare una frase scritta in modo errato e un coglione totale, una testa di cazzo (turpiloquio? Sì, turpiloquio, ma uno che va in giro a lanciare bicchieri verso un dj non è che si meriti molto altro, d’altro canto ne avevamo già scritto in modo chiaro). Chi l’avrebbe mai detto. Eppure sì: tutto il rumore nato attorno ad un infelice post di Chris Liebing (questo, riassumibile con “Hanno gettato una cosa addosso a Mills e lui se ne è andato via, figata!, ho potuto suonare un set molto più lungo così!”) è stato molto, molto significativo. E utile: perché ha fatto emergere alcune caratteristiche della comunicazione 2.0 e del modo in cui fa circolare le opinioni che faremmo tutti quanti meglio a considerare per bene. Assai per bene.
Partiamo da Liebing. L’errore, iniziale, è comunque suo. Come ha avuto modo di riconoscere anche onestamente in una lunga ed articolata risposta sul suo profilo Facebook ufficiale. “Yes, I do think I am guilty of poorly expressing myself”: esordisce così la nota in questione, ovvero “Sì, mi sono espresso malissimo e questa è tutta colpa mia”. Le scuse non sempre bastano, ma di sicuro fanno onore a chi le fa. Sempre. Ancora di più quando poi sono seguite da un lungo ed articolato ragionamento, che sentiamo di condividere nella sua interezza.
Un ragionamento, quello di Liebing, in cui si parla della grande ammirazione per Mills (dura non ammirarlo e rispettarlo, Mills, se si è anche solo lontanamente appassionati di techno). Un ragionamento in cui ad un certo punto si chiamano in causa gli “hater” da internet e si mette bene in luce come sì, dalle loro parti vigliaccheria ed approssimazione siano merce diffusa. Oltre al fatto che – guarda un po’ – un hater tende a parlare soprattutto delle cose che non sa e che non ha toccato con mano, visto che per lui i suoi (pre)giudizi sono sempre e da sempre più importanti dei fatti. “Hater” sia in una direzione che nell’altra in questa querelle, sottolineiamo: ce ne sono da entrambi le parti, quelle pro-Liebing e quelle pro-Mills.
Già. Perché da un lato sono saltati fuori quelli che “Liebing è un dj di merda, un opportunista, uno che faceva hard trance e ora fa techno solo perché gli conviene”, “Si sciacquasse la bocca quando parla di Mills, non dovrebbe nemmeno permettersi di nominarlo”, “Lui e la sua musica di merda, è ovvio che spari ‘ste cagate”. Ora: Liebing può piacere di più o piacere di meno, ma sulla sua serietà artistica non è il caso di mettere troppi dubbi e troppi punti di domanda. Impeccabile, professionale, quasi sempre gentile ed educato con le persone che lavorano attorno a lui, un bel modo di porsi nei confronti dei fan: tutto questo gli va riconosciuto, e conta, conta non poco. Il fatto che non faccia la vostra musica preferita, che non vi piacciano i club dove suona di solito e/o che invidiate il suo conto in banca e il suo stile di vita non vi autorizza a mettere fra parentesi quanto prima. Attaccando ad alzo zero, arrivando al verdetto prima ancora del processo.
Ma questa cosa di arrivare al verdetto prima ancora del processo è ben presente anche fra i nemici di Jeff Mills. O comunque fra quelli che vorrebbero difendere la “purezza” della techno e della club culture, quelli per cui anche Mills ormai si è un po’ svenduto: ma quelli che difendono la “purezza” procedendo per processi sommari dovrebbero ricordarvi qualcuno, no?, se un minimo masticate di storia e politica; perché poi va a finire che in una birreria a Monaco, una sera, si fonda il Partito della Vera Techno. Non è il caso, amiche ed amici. Ci vuole più calma, sangue freddo e rispetto verso chi non è (più) della propria parrocchia.
C’è capitato infatti di leggere, due posizioni contrapposte ma uguali, “Ben gli sta a Jeff Mills di prendersi di nuovo un bicchiere in faccia, con quelle intro atmosferiche completamente senza senso e fuori contesto, con la sua altezzosità, chi si crede di essere?” così come “Ben gli sta a Jeff Mills, visto che ormai suona solo in posti di merda dove vanno solo i subumani, mica la gente che la techno la ama e la conosce”. Ora, come racconta lo stesso Liebing, nel momento in cui il bicchiere è volato in consolle la gente non lo stava fischiando, Mills, anzi. Si stava divertendo. L’atmosfera era buona. Giustamente Liebing chiede: “Voi, che commentate con tanta sicurezza, c’eravate? Eravate lì?”. Domanda che vale non solo per i detrattori di Chris, ma anche per quelli di Jeff. Quelli, che più o meno sottilmente, dicono “Ben gli sta il bicchiere addosso, doveva arrivare e gli è arrivato”.
Il bicchiere non deve arrivare e basta. E Mills ha il diritto di suonare dove gli pare e dove lo porta il suo management, chiedendo i soldi che vuole, soprattutto se questo non intacca la sua essenza artistica (e infatti – non la intacca). Lo sappiamo, è bello pensare che il povero Jeff abbia voluto portare un po’ di Vera Cultura in un posto di bifolchi e i bifolchi lo abbiano preso a bottigliate; o allo stesso modo è bello pensare che quell’arrogante di Jeff abbia voluto portare quaranta minuti di intro atmosferica fottendosene del tipo di pubblico che aveva davanti. Due posizioni opposte ma speculari. Beh, occhio e croce non è successa nessuna delle due.
Noi siamo più dell’idea che sia un caso che proprio a Mills sia successo di due volte di avere un bicchiere che gli vola addosso. O meglio, quando una cosa del genere succede a lui l’eco mediatica è subito vasta, perché giustamente importante è il personaggio; ma magari succede dieci volte al giorno sommando i vari club sparsi per il globo, e se è per questo anni fa a Tiga mentre stava suonando morsero pure il culo (…forse era Suarez in libera uscita?), come ci raccontò lui in persona fra il basito, lo schifato e il divertito. Lì però nessuno ha fatto sociologia o guerre di religione. E Tiga, per la cronaca, continuò a suonare, dopo aver insultato e fatto mandare via il matto. Il problema, lo ribadiamo, non è tanto a chi finisce addosso il bicchiere, ma chi il bicchiere lo tira.
Tuttavia proprio questo rimando a Tiga ci porta a condividere un’ultima posizione di Liebing: quando ti arriva un bicchiere in consolle, forse non è il caso di andare via – su questo il buon Chris non concorda con l’agire millsiano. Perché magari è stato un equivoco e il bicchiere è arrivato lì non intenzionalmente; o perché se non è stato un equivoco, andarsene ti porta a dare troppa importanza al fesso di turno (e danneggia, più che il fesso, quelli che ti vogliono sentire veramente). Mettiamola così: una volta in serata può succedere, l’imprevisto è sempre dietro l’angolo, a nostro modo di vedere ha senso andarsene solo se palesemente non ci sono le condizioni per suonare (altro materiale che ti vola addosso, gente che ti insulta, eccetera).
Però ecco, la cosa che condividiamo di più di Liebing sono le scuse iniziali. L’aver ammesso: ho sbagliato, mi sono espresso male, mi sono reso conto che la mia sembrava un’infamata contro Mills, ora mi sforzo di spiegare perché non lo voleva essere. Liebing la cazzata l’ha fatta, qualche collega di peso (Dave Clarke, Claude Young) gliele ha pure cantate chiare, ma ci sta – e infatti lui la prende sportivamente. Ma tolta questa scivolata, Liebing non ha colpe così come non ne ha Jeff Mills, così come non ne ha la club culture in generale. Dovremmo darci tutti una calmata, su internet. E ricordarci che la pacatezza e la ragionevolezza del dubbio non sono un valore da sfigati, ma un ottimo e costruttivo modus operandi. Oggi più di ieri, nel mondo della comunicazione istantanea e del pulpito diffuso e pronto-uso in cui viviamo.