Tempo fa in giro si parlava degli Elegant Machinery. Band svedese discretamente conosciuta in patria, che dal 1989 produce musica con la missione precisa di far vivere ancora il bel synthpop anni ’80, con un riferimento particolarmente affettuoso a Depeche Mode e Human League. Non semplicemente un’influenza lontana, ma proprio una fedelissima riproduzione di quei suoni su pezzi comunque inediti: ascoltare “Black Town” (anno 1998) o “A Soft Exchange” (2010) per credere. Al di là del sentimento che si può provare verso quel periodo (tanto, tantissimo, per carità) il problema è che un’operazione di questo tipo, così nettamente dissociata dal suo tempo, non può esser lodata più di tanto in un discorso di qualità/efficacia della musica dei nostri tempi. Sarebbe già stato diverso se parlassimo di una cover band (dove all’amore per la storia si aggiunge l’omaggio diretto e il piacere di proporre la propria interpretazione) o di remix (come sopra, più l’abilità di saper vedere qualcos’altro nel pezzo di partenza). Ma se lo spunto personale oggettivamente non c’è e il proposito è solo quello di “tenere in vita il moribondo”, diventa qualcosa di cui si può fare a meno senza rimorso alcuno.
I Miracle sono il nuovo nome speso dalla Planet Mu e sulla carta con gli Elegant Machinery non dovrebbero entrarci nulla: dietro al duo c’è la testa eclettica di Daniel O’ Sullivan, fantasioso strumentista degli Ulver, e Steve Moore, tastierista con la passione dell’italo-horror già avvistato negli Zombi. Eppure per il primo album son caduti anche loro nello stesso tranello di massima aderenza e poca iniziativa che si diceva prima. Anche qui, non una consapevole origine ispirativa, ma una fedeltà all’originale che fa impressione: sono i Depeche Mode pre-Violator, stessa tensione incrociata pop-elettronica (“Something Is Wrong”), stesso impianto dark (“Good Love”), stessi stacchi cantato profondo-crescendo melodico (“Falling Into The Night”), persino il timbro vocale è identico (“Mercury”). Il che è piuttosto strano, sia perché prima di oggi i due avevano fatto uscire anche pezzi di dignità ed equilibrio come “The Visitor“, sia perché alla Planet Mu c’è un boss che va sempre dicendo che “nessuno dei suoi artisti insegue il classico, tutti son proiettati verso il sound odierno”. E allora qualcosa che non va c’è.