“Le cose cambiano”: abbiamo iniziato così la nostra chiacchierata con Apparat (alias Sascha Ring) e coi Modeselektor (Gernot Bronsert, Sebastian Szary), radunati tutti insieme di fronte a noi negli uffici della Monkeytown per farci una chiacchierata insieme sul loro nuovo “III” sotto l’insegna Moderat, sul piglio con cui stanno affrontando il nuovo tour, in generale sulla vita e sulla città, tutto questo in un lungo weekend berlinese che c’ha visto spendere parecchio tempo anche coi Pfadfinderei, riuscendo pure a dare un occhio alle prove generali del concerto – il concerto già esaurito da mesi a Milano (Alcatraz) e Roma (Spazio 900), con tanto di bagarinaggio ed attese spasmodiche, e che Club To Club porterà alla Reggia di Venaria a metà giugno. Le cose cambiano, sì: Moderat è un progetto ormai cresciuto come popolarità a livelli del tutto inimmaginabili, se uno ripensa a quando è nato (2002) ma anche a quando ha avuto il primo exploit di popolarità (l’esordio su lunga distanza, anno 2009). Sono cambiati loro, più ancora come persone che come artisti, ed è cambiata la città attorno a loro: si parla di questo e di molto altro. Con in mezzo anche un sacco di risate, inevitabile soprattutto coi Modeselektor di mezzo, e un clima sempre molto alla mano e rilassato – ma non per questo meno intenso.
Le cose cambiano. Oggi per voi Berlino non è più il playground che era quando eravate agli inizi… e mi riferisco soprattutto alla scena del clubbing.
Gernot Bronsert: Oggi è diverso. E’ come se giocassimo in una serie diversa, noi tre. Oggi la nostra attività è quella di girare per il mondo. Quante date facciamo all’anno? Un centinaio? Bene: non c’è nemmeno il tempo materiale per essere tanto presenti nella scena dei club della tua città.
Apparat: Non solo. Qual è la possibilità che tu oggi, con tutto quello che hai visto e hai fatto negli anni, possa andare ad un party e vivere qualcosa di nuovo, qualcosa insomma che ti sorprenda? Sinceramente: inevitabilmente bassa, molto bassa. Però ancora oggi continuo a essere molto contento che a Berlino ci sia una scena forte nel clubbing, nella musica elettronica. Per me è molto importante – ci tengo. Poi sì, di differenze ce ne sono: rispetto a quando eravamo ventenni noi oggi i club sono molto più professionali, organizzati, più regolamentati anche. Per fortuna comunque resiste sempre un “universo parallelo” di posto molto alternativi dove la gente può essere libera – esattamente come eravamo liberi noi, vent’anni fa.
Qual è la vostra opinione sui ventenni di oggi?
A: Eh. Come puoi rispondere con una definizione che sia valida per tutti? Ci sono gli idioti, ci sono quelli che non lo sono; ma questo vale per qualsiasi classe anagrafica.
Specifico meglio la domanda, allora: tra i ventenni di oggi, vedete gente che assomiglia ai ventenni che eravate voi allora? Che abbia insomma la stessa attitudine?
A: Ce ne sono, ce ne sono.
G: Hai presente i Fjaak, no, che stanno nel catalogo della nostra etichetta? Ecco, loro sono ventenni, sono giovanissimi. Quando li abbiamo visti per la prima volta, beh, è stato come rivedere noi quindici anni fa: la stessa carica, la stessa convinzione, la stessa eccitazione. D’altro canto però non è che noi tre ci sentiamo vecchi, occhio. Anche perché non abbiamo nemmeno fatto in tempo a sentirci tali, se ci pensi: per un sacco di tempo siamo stati visti come dei newcomer, eravamo un po’ i nomi nuovi; poi, senza che te ne accorgi, ti rendi conto che hai maturato uno status da veterano. E lo hai maturato coi fatti, non per chissà quale colpo di culo o scorciatoia. Perché noi Modeselektor abbiamo una label che, insomma, è abbastanza importante e rispettata, e portare avanti una label strutturata è una roba seria; Sascha fa colonne sonore, è leader di una vera e propria band. Facciamo cose da “adulti”, insomma: siamo in effetti arrivati ad un certo tipo di livello, c’è stato un cambio di contesto. E’ innegabile, né vogliamo negarlo. Non vogliamo fingere di essere quello che non siamo.
Sebastian Szary: C’è però una differenza fondamentale tra i ventenni che eravamo noi allora e i ventenni di oggi: l’accesso alle informazioni. E ti dirò, tutti quei discorsi su “Ah, i bei tempi andati… Prima sì che era meglio, era tutto meno superficiale…”: ne siamo proprio sicuri? Magari su alcune cose anche sì, ma su altre mah… Tipo: un tempo quando andavi in cerca di nuova musica dovevi andare in un negozio di dischi e dipendevi in tutto e per tutto dai commessi, da che umore erano, da cosa volevano farti sentire e da quello che era disponibile in negozio a seconda degli ordini, che erano fatti da loro o dal proprietario, non certo da te. Quindi sì, se da un lato è vero che questa enorme mole di informazioni che gira oggi può diventare un’overdose informativa, dall’altro la sensazione di poter avere tutto e subito è qualcosa che io, a vent’anni, non mi sarei mai nemmeno immaginato. Sarebbe stato strano averla. E forse sarebbe stato anche bellissimo averla, non so.
Invece: cosa vi aspetta adesso? Ok, il tour, che durerà un bel po’. Ma dopo? Vi siete già posti il problema di cosa ci sarà dopo? Tornerete ai vostri rispettivi progetti personali, o ci sarà ancora spazio per altro sotto l’insegna Moderat?
A: Dura rispondere adesso. Dopo l’uscita di “III”, una cosa che volevamo tantissimo era andare in tour. In effetti dopo “II” le date non sono state così tante: una sessantina, una settantina, qualcosa del genere, nemmeno troppe insomma. Le cause sono diverse. Una fuori dal nostro controllo e dalle nostre intenzioni, quando cioè io ho avuto un incidente in moto e mi sono dovuto fermare per un bel po’ in attesa di rimettermi in sesto; ma è anche vero, e qui sta l’altra causa, che il tour di “II” era costruito in modo molto definito, rigido quasi – non era cioè un concerto in cui poter improvvisare molto, l’interazione con luci e visual era molto stretta e scorreva su binari in buona parte predeterminati. Il risultato artistico era, credo, affascinante; ma per te musicista dopo un po’ questa diventa una gabbia un po’ limitante, sai. Abbiamo tenuto ben presente questa consapevolezza al momento di ragionare su come costruire il concerto del tour successivo all’uscita di “III”: più spazio all’improvvisazione, più spazio all’interazione, quindi ecco, c’è la ragionevole speranza che sia uno show più divertente da portare avanti a lungo in primis per noi stessi. Ecco perché questo tour fin dall’inizio lo abbiamo immaginato come molto più lungo del precedente. La conseguenza è che al momento difficile prevedere cosa accadrà quando finirà, di che umore saremo, cosa avremo voglia di fare, insieme e singolarmente… Magari avremo tutti bisogno di un periodo di ripiglio! (ride, NdI)
Devo dire che mi ha sorpreso che, finito il “ciclo” di “II” tra produzione del disco e susseguente tour, siate tornati praticamente subito al lavoro come Moderat, già con in testa il progetto di un nuovo album, di “III”. Mi immaginavo più stacco. Anche perché è proverbiale l’intensità del vostro lavoro in studio, il livello di confronto/scontro tra di voi è sempre molto alto.
A: Appena terminato “II”, ma ancora di più dopo che è terminato il conseguente tour, avevamo comunque tutti voglia di tornare assieme in studio: tornarci come Moderat e proporre nuove idee. In realtà il vero desiderio era non solo di farlo, ma pure di farlo in gran segreto per poi – voilà – uscire fuori a sorpresa con l’album nuovo. Insomma, diciamolo: volevamo imitare Rihanna… (risate, NdI) Invece, c’abbiamo messo troppo tempo per finire il disco nuovo e quindi tenere il segreto non è stato possibile. Colpa nostra! Volevamo fare il sorpresone, ma ci siamo sabotati da soli.
La gente tende a pensare che Apparat si smazzi le melodie, Modeselektor i suoni. La sfatiamo, questa cosa?
S: Sfatiamola sì, decisamente.
A: E’ che fin dall’inizio Moderat è nato come un territorio comune dove ognuno di noi poteva fare qualcosa di diverso rispetto a quello che faceva e fa nelle proprie rispettive carriere tradizionali, quindi io come Apparat e Gernot e Szary come Modeselektor. Coll’andare del tempo, e coll’aumentare della sicurezza, questa attitudine si è fatta ancora più forte. In Moderat non esistono ruoli fossi. Con un’unica eccezione – quello che canta di solito sono io. Ma è veramente l’unica eccezione.
Che poi, questa cosa di non avere i ruoli fissi può significare maggiore libertà ma anche maggior potenziale confusione… Avete mai avuto dei momenti in cui vi sembrava di girare a vuoto, perdere tempo, non andare in nessuna direzione sensata?
A: Succede sempre! E succede praticamente per ogni singola traccia che finisce sull’album, anche stavolta. Di solito sono io il pessimista: quello che si lamenta di più, che è più critico, che è il più insoddisfatto, quello che vorrebbe cestinare un pezzo sin dai primi tentativi di metterlo su… Poi invece Szary e Gernot ascoltano, trovano le potenzialità giuste, e in quel momento io inizio a vedere il pezzo con i loro occhi, non solo con i miei, scoprendo invece che ci sono un sacco di cose buone su cui poter lavorare. E’ una grandissima fortuna essere in tre. Comunque sì, è un processo lungo, pieno di intoppi. Intoppi che spesso si sbloccano solo alla fine. Prendi “Eating Hooks”, la traccia che apre “III”: non mi è mai piaciuta, fin da quando abbiamo iniziato a lavorarci sopra, l’ho sempre sopportata malvolentieri e trovata la cosa meno riuscita dell’album… fino a quando, proprio all’ultimo, abbiamo modificato la parte ritmica, trovandone una nuova (ma lasciando il resto intatto). Ecco: è bastato quello per trasformarla nella mia canzone preferita del disco.
Tu Sascha hai i tuoi progetti, tra la Apparat Band e colonne sonore, ma Modeselektor? Szary, Gernot? Siriusmodeselektor era un progetto, diciamo, nuovo a metà. Ora, invece?
S: Ci dedicheremo tanto al giardinaggio. I Modeselektor diventeranno un punto di riferimento per il mondo del giardinaggio, vedrai (risate, NdI)
G: Ok, rispondendo seriamente: chiusa la 50 Weapons, daremo vita ad una nuova label. Ma sarà piccola, avrà un roster molto limitato. Dei nomi che erano finiti nella vecchia avventura, terremo solo Fjaak, Shed e Benjamin Damage. Il fatto di non voler dare vita ad una nuova label grossa, con molti artisti, nasce proprio dal desiderio di tornare a concentrarsi un po’ sulla musica nostra, come Modeselektor.
Questa label nascitura sarà sempre dancefloor oriented?
G: Chissà. Shed, ad esempio, vorrebbe fare una cosa non specificatamente dancefloor, vorrebbe fare proprio un album. Fermo restando che non lo forzeremo mai a fare alcunché, se chiedi a me lui è tipo il miglior producer techno dell’ultimo decennio quindi sarebbe un peccato smettesse di fare cose marcatamente techno, spero che abbia sempre voglia di farne. Di sicuro, è un buon amico.
S: E’ una persona con cui sentiamo di condividere lo stesso tipo di visione.
G: Vediamo la scena della club culture e l’industria che ci ruota attorno nello stesso modo, ed è un modo molto particolare. Lui, se lo incontri, sembra una persona serissima. Poi, se lo conosci meglio, scopri che ha un enorme sense of humour ed è molto giocoso, ma a prima vista è uno che sembra quasi infastidito da un certo tipo di euforia e mondanità che si trova nella sfera del clubbing. Cioè, parliamo di un artista che ha rifiutato molte date e addirittura cancellato alcuni show perché non gli piaceva l’immaginario che c’era attorno ad alcuni club, alcune serate. Non è da tutti. A parte questo, una cosa fondamentale è che è molto bravo nell’insegnare a mio figlio i trucchi per essere un ottimo pescatore. E poi, ah sì, questo è importante per la faccenda del giardinaggio visto dai Modeselektor, è molto bravo a fare barbecue. Un ottimo pescatore, un artista del barbecue, un eccezionale produttore techno. Mi sembra perfetto.
A: Occhio che sulle sue abilità da pescatore non sono così convinto…
Il giardinaggio si può fare anche a sessant’anni, la techno forse no: vi vedete ancora in pista, a sfidare i dancefloor, tra vent’anni?
G: Saremo i monumenti di noi stessi, dei vecchi dinosauri patetici e retorici che gireranno il mondo a fare il tour dei propri grandi classici.
A: Fate pure, eh, non contate su di me…
Vabbé Sascha, tu sei già costruito la via di fuga: le colonne sonore, il lavoro per cinema e teatro… sei già a posto. Sono Gernot e Szary che sono ancora dei teppisti da dancefloor, prima di tutto.
G: La cosa buona è che noi come Modeselektor abbiamo comunque uno stile molto particolare, non siamo mai stati canonicamente delle creature da dancefloor, troppo strani e vari.
Ci sta. Però resta il fatto che Modeselektor è prima di tutto un progetto danzereccio.
G: Vero. Però in effetti, mmmmh, a sessant’anni a fare il matto sui dancefloor o per i dancefloor… fa un po’ strano pure a me.
Gli esempi iniziano ad esserci: Underworld, per dire.
A: Hanno già sessant’anni?!
Karl Hyde è del 1957: insomma, siamo lì. Peraltro, è in forma smagliante.
A: Soprattutto coi musicisti, è difficile immaginarli mentre invecchiano: come se fossero in qualche modo “costretti” a restare sempre ventenni o trentenni. La musica, soprattutto alcuni tipi di musica, nascono come espressione-principe di ciò che è cultura giovanile: è questa la trappola. Però per invecchiare, invecchiamo tutti; c’è chi riesce a farlo con grazia, chi meno.
G: Ah, noi come Modeselektor saremo bravissimi: faremo un gigantesco tour d’addio, suonando i nostri grandi classici, tutti ci vorranno un sacco di bene e ci daranno molti soldi, pensando “Vabbé, almeno così ci siamo liberati di loro, poi non dobbiamo più sopportarli; e comunque non erano nemmeno male, dai, questa ultima celebrazione se la meritano”. Peccato che a un anno di distanza dall’ultima data di questo gigantesco tour d’addio dichiareremo “Scherzavamo. Eccoci, siamo tornati!”.
A parte questa fantastica truffa in stile Modeselektor, vorrei tornare su quello che stava dicendo Sascha, il fatto che certa musica sia – come effettivamente è – indissolubilmente “cultura giovanile”.
A: Le cose comunque crescono. Io sono felicissimo di essere cresciuto in un certo tipo di contesto e attorniato da un certo tipo di musica. La musica che ascoltavo e le scene a cui appartenevo andavano di pari passo con quello che era lo spirito di Berlino nel suo complesso: inventiva, piglio molto underground, contesti scalcinati e sordidi. Ora le cose sono diverse: sono diverse per Berlino, sono diverse anche per gli ambiti in cui circola un certo tipo di musica. E’ un male? Assolutamente no. E’, semplicemente, diverso. E se qualcosa si è perso, molto si è anche guadagnato: ad esempio oggi possiamo permetterci di essere perfettamente indipendenti ed autosufficienti nel creare un album e nel farlo girare su scala mondiale, negli anni ’90 tutto questo sarebbe stato impossibile in primis per la mancanza di strutture (e mi riferisco dallo studio di registrazione e dalle macchine che ci puoi infilare dentro fino a questioni più pratiche come management e distribuzione). Oggi ci sono delle professionalità e competenze che prima erano completamente assenti.
Quindi insomma, tanto per riprendere una cosa di cui nella capitale tedesca fra i suoi abitanti “storici” si discute molto, certi cambiamenti, certa “gentrificazione” di Berlino non è per forza un male…
A: Proprio persone come noi sono parte di essa. Aggiungo: proprio i protagonisti della gentrificazione, vedrai, a breve si sposteranno in buon numero fuori dalla città, in campagna. Credo lo faremo anche noi, spostando lo studio di registrazione lontano da dove sta ora, che è una zona comunque centrale, soprattutto rispetto ai perimetri più mondani.
Vabbé, diventerete molto ricchi e andrete a svernare in Costa Azzurra, tipo Bono…
G: No no: andremo in Italia.
Siete pazzi? L’Italia è meravigliosa, ma tra burocrazia e mille altre difficoltà inutili devo dire qualunque cosa è il doppio più difficile e complicata qua da noi.
G: Sì, ma il cibo? (ride, NdI)
A: L’Italia è un posto molto complicato, lo sappiamo bene. Soprattutto lavorare è un casino, sotto vari punti di vista. Ma la vita non è sempre, solo ed unicamente lavoro…