Arriva per la prima volta in Italia, dal 26 novembre al 23 dicembre 2016 a BASE Milano, Seismographic Sounds – Visioni di un nuovo mondo. Una mostra itinerante, a cura di Norient – Network for Local and Global Sounds and Media Culture – che indaga e discute la varietà e il potenziale innovativo che le culture digitali portano avanti: installazioni audiovisive, podcast, fotografie, poster e discussioni virtuali, guidano i visitatori nel mondo contemporaneo della produzione musicale in tutto il mondo, da Giacarta a La Paz, da Città del Capo a Helsinki, da Karachi ad Accra, passando per Beirut, Roma e Damasco. Già l’avevamo vista a Berlino, nella cornice del CTM, e ci era piaciuta parecchio.
Ideata e curata da Norient, una rete internazionale con sede a Berna (CH), la mostra vuole andare oltre la visione pessimistica di una globalizzazione che porta all’uniformità culturale, amplificando invece la sperimentazione artistica e delineando le nuove forme di produzione e di finanziamento, in una geografia variabile ed in continuo mutamento. Abbiamo intervistato Theresa Beyer, curatrice di Seismographic Sounds e membro del collettivo Norient.
Il sismografo è lo strumento che misura forza e durata di un terremoto. Perché allora il nome Seismographic Sounds? Cosa si vuole misurare con questa mostra?
Noi di Norient puntiamo a misurare visioni di nuovi mondo che gli artisti creano nei loro brani, video musicali e sound art e pensiamo che l’arte e la musica possono non solo reagire alle vibrazioni della società, ma anche anticipare cambiamenti. Tutti i contenuti presenti nella mostra provengono da un network di musicisti, giornalisti, blogger e fotografi di tutto il mondo, senza i quali non sarebbe stato possibile raccogliere l’enorme quantitativo di materiale che abbiamo messo insieme appunto per misurare le tendenze e l’evoluzione attuale della comunicazione attraverso la musica di tutte quelle realtà che finora non hanno avuto modo di farsi conoscere, non avendo accesso al “mainstream”, ai canali media tradizionali, ma che si sono trovati ad avere una voce grazie all’avvento della digitalizzazione.
L’era digitale quindi da voce a chi fino ad ora non ha avuto voce. Una domanda ricorrente della mostra, che funziona un po’ come un dibattito virtuale, è “Può un producer da cameretta cambiare il mondo?” Qual’è quindi la risposta?
Forse l’espressione “cambiare il mondo” è esagerata. Però il “bedroom music producer” con la sua musica può provocare un cambiamento, anche piccolo, nella percezione di determinati argomenti. Chi fruisce di una canzone ad esempio, che nel testo incoraggia a vivere la propria identità o di resistere alla solitudine, si può identificare nel suo testo, così da avvicinare le persone a una determinata problematica, come ad esempio l’omosessualità, la solitudine.
Altra domanda ricorrente nell’installazione è “Quale forma di protesta musicale è la più efficiente per provocare un cambiamento?”
Anche qui ne emerge che non è solo la musica in sé ma anche il contesto in cui viene inserita. Un artista occidentale ha libertà di parola, mentre in altri paesi del mondo un musicista rischia la vita per esprimere la sua opinione, pensiamo al rapper satirico Ali Gulpir in Pakistan che si fa sentire sapendo che è l’unico modo possibile per provocare un cambiamento. Non è un’azione programmatica ma un mezzo con il quale si arriva addirittura a fare richieste dirette, a far sentire una voce che altrimenti è impossibile alzare. Ovviamente poi non c’è un solo modo, ma la propaganda ha il suo modo di manifestarsi che è diverso per ogni paese, per ogni cultura.
Come sta cambiando quindi la produzione musicale? La digitalizzazione porta a una unificazione o ad una evoluzione e ad un arricchimento?
Noi di Norient siamo convinti che porti ad un’evoluzione, rafforzando anche scene di nicchia, portandole alla luce in tutta la loro diversità. Per dire, l’heavy metal è globale, esiste sia in Bolivia che in Indonesia. E questi artisti che sono molto distanti fra loro, anche fisicamente, adesso possono collaborare dando vita a nuovi generi, nuove influenze, nuove idee.
La mostra è divisa in 6 diversi topics: MONEY, LONELINESS, WAR, BELONGING, EXOTICA E DESIRE. Perché sono stati scelti questi particolari argomenti di discussione?
Abbiamo raccolto questa montagna di materiale, più di 2000 link provenienti da oltre 70 paesi, e abbiamo visto che c’erano degli argomenti che ritornavano continuamente, riconducibili a queste 6 macro-aree, argomenti che oseremmo definire ancestrali, questioni a cui l’uomo cerca risposta fin dalla notte dei tempi. Quello che cambia è l’estetica, ad esempio nel topic DESIRE si vedono quattro video di diverse aree geografiche del mondo, quattro estetiche diverse, quattro messaggi diversi, dal femminismo queer, alla parodia sulla vita di coppia.
Tra i 250 musicisti, sound artist, blogger, fotografi e ricercatori provenienti da più di 50 Paesi c’è anche l’italiana Karima 2G, portavoce degli italiani di seconda generazione. Crede che in un paese come l’Italia questo metodo di comunicazione possa portare un effettivo interessamento al problema o rimane comunque un paese lontano da questo tipo di dinamiche?
(ride, NdI) questo lo dovresti chiedere a Karima, più che a me: sarà presente all’opening, tra l’altro! Lei è un bell’esempio di questi cambiamenti. Esprime questo “senso” globale e digitale nella sua musica: produce i suoi beats sul cellulare, con la app “Machine“; fa riferimento a generi musicali come reggae, grime, juke e afro beat; ha prodotto il suo video musicale con registi che abitano a Londra; lavora con il sampling; ha un messaggio politico che si rivolge a una generazione globale – è figlia di genitori liberiani e invita però tutti gli immigrati di seconda generazione a richiedere la nazionalità italiana. Karima 2G è di Roma, ma anche a Milano ho trovato quest’energia di mutamento. Ho vissuto per un po’ in Italia qualche anno fa, e mi dispiace vedere che ha un po’ perso lo smalto che avevo trovato durante la mia permanenza: spesso quella costante e interessante attività culturale che caratterizza in ogni caso il vostro paese viene un po’ ostacolata da una pesante burocrazia. Però come dicevo ho trovato un sacco di energia ora a Milano, in luoghi underground come Base, dove appunto ha trovato casa la mostra, o in collettivi con cui abbiamo collaborato come quelli di Madam e di S/V/N Savana.
Crede che i trend dell’underground ormai arrivino sempre di più da quelli che chiamiamo “paesi in via di sviluppo” e che andranno a sostituirsi a quelli dei “paesi sviluppati” che ormai non hanno più nulla da dire o che l’uno influenzi fortemente l’atro dando vita a qualcosa di nuovo?
È un periodo di grandi migrazioni, che porta senza dubbio un costante cambiamento e riassestamento di abitudini e tradizioni che si mescolano, generando un mutamento continuo che ha un importante influsso su tutti i livelli della società.
Si generano nuovi argomenti, nuove problematiche, nuove influenze: ormai nemmeno la divisione nord-sud-ovest-est non funziona più, non ha più senso.
Qual’è il concetto dietro a Norient – Network for Local and Global Sounds and Media Culture?
Norient nasce nel 2002 come blog, come collettore di nuova musica e suoni provenienti da ogni angolo del pianeta. Il blog si è evoluto poi in un magazine online, nel Norient Musikfilm Festival, ma anche in pubblicazioni, documentari, mostre itineranti e programmi radio, con l’intento di discutere le problematiche attuali in modo critico e da differenti prospettive, vicino agli artisti e ai loro network. Siamo una piccola realtà in forte crescita che vive delle collaborazioni di giornalisti, artisti, fotografi, videomaker di tutto il pianeta, che sono i nostri occhi e le nostre orecchie in giro per il globo; vogliamo portare ai nostri lettori, ascoltatori o spettatori la coscienza della posizione dell’artista nel mondo moderno, sempre più veloce, globalizzato, digitalizzato e urbanizzato.
Seismographic Sounds è da domenica 26 novembre a venerdì 23 dicembre allo spazio BASE, a Milano, in via Bergognone 34. L’ingresso è gratuito. Nell’immagine, una videoinsallazione dell’artista svizzero Urs Hofer, dove vari video vengono mixati tra loro tramite un algoritmo.