Ci sono giorni in cui i frammenti di ricordi disseminati qua e là saltano all’occhio con luce nuova, come se il passato avesse bisogno di rivivere, di essere rispolverato dalle ragnatele dell’oblio. E’ così che, poche dozzine di foto, le cover di qualche vinile e i flyer di serate indimenticabili si trasformano in lampi brillanti per la memoria. Tanto più se sono i ricordi di un ventennio passato a barattare la musica con la felicità di molti. “Tracce”, lasciate e ritrovate, sono loro ad aver dato l’incipit di questo nuovo lavoro, che arriva a distanza di quattro anni da “Changes Of Perception”. Adesso avrete capito anche di chi sto parlando: Monika Kruse.
A primo impatto, senza leggere la tracklist e facendomi condizionare dal titolo, mi aspetto una riesumazione dei successi della tedesca dai ricci biondi, ma sono davvero felice nel constatare che le tracce in questione – tredici in totale – sono tutte inedite, e guarda un po’, c’è anche la collaborazione di Robert Owens, con la sua voce profonda e sensuale. Le prime due tracce, “Cycle Of Trust”, e maggiormente “Playa Dust”, presentano un sound tech-house dalle sfumature etniche a cui la Kruse è molto legata (vedi “Morgana” e “Latin Lovers”). In particolare “Playa Dust” con le sue irresistibili e abbagliati percussioni dal fascino esotico, che sembrano perforare, come proiettili, più e più volte il lead sul quale si distendono elegantemente. Lo scenario è da suq arabo, ma non abituatevici troppo perché il nostro viaggio termina velocemente e le tracce a venire hanno davvero poco di esotico. Anzi mi correggo, nulla.
“Exhale” è l’artefice del mio risveglio dalla trance dopo la breve sosta turca: ritmica lenta, suoni corposi e lunghi, uso dl reverb su parecchi suoni indirizzano la traccia verso sonorità sfocate e profonde. Ancora stonato dal cambio repentino, mi ritrovo vulnerabile sotto i colpi della voce di Owens, che mi spinge, dal caos dei suq turchi verso quello di una disco di Chicago: “One love” è l’esempio di come, con una voce così eclatante, l’attenzione sia totalmente dirottata, e sviata verso questa, soprattutto se il resto della traccia non offre spunti interessanti di alcun genere. L’arma a doppio taglio ha colpito, forse anche troppo. Saltando, senza soffermarci, per “Robot heart” e “Wavedancer” – in collaborazione con Thomas Schumacher – entrambi troppo casiniste per i miei gusti, andiamo verso “Traces”. Il mio stupore raggiunge il livello massimo, col segno meno davanti: non posso credere che la traccia la quale dà il nome all’album sia plagiata sulla forma di una hit supercommerciale. Le critiche, a questo punto, non sarebbero mai troppe, perciò, è meglio sorvolare su questo punto, e per uscire da quella bolgia di suoni di plastica e casse pompate, e riprendermi dallo shock, mi ci vuole “With Hindsight”. Sia benedetto Nick Maurer, che con la sua voce mi fa rinsavire dallo sconforto facendomi provare una sensazione di appagamento nato dalla bella combinazione ritmica e vocale della traccia.
In effetti l’album potrebbe chiudersi qui, ma c’è un tentativo, poco riuscito, di imitazione di uno stile che non appartiene proprio a Ms. Kruse. Sto parlando di “M.U.M” e per quanto apprezzabile possa essere questa sperimentazione, eviterei di andare a coltivare gli orti di gente come Richard James & Co.