Si sa l’inizio delle ferie è sempre un tempo di bilanci, soprattutto se le ferie arrivano dopo un tour di 107 concerti, soprattutto se i concerti sono quelli dei Motel Connection, tutti ritmo e spinta massima. D’altronde il movimento e il ritmo sono l’essenza del progetto che Samuel, Pisti e Pierfunk portano avanti da 14 anni, tra influenze e sperimentazioni sempre nuove. A partire da quello splendido arpeggio della track “Two“, nato per caso mentre erano in pausa pranzo. In questa intervista i tre musicisti torinesi tirano le somme sui Motel, analizzando la scena elettronica italiana e lanciando una sfida a tutti i registi italiani desiderosi di nuove collaborazioni.
I Motel Connection nascono a Torino nel 2000, 14 anni fa. Senz’altro c’è già un bel margine di tempo ed esperienze per poter parlare di bilanci. C’è qualcosa che vi eravate preposti che non siete ancora riusciti a raggiungere con questo progetto musicale?
Sicuramente l’estero. Riusciamo ad andare a suonare ogni tanto, abbiamo fatto anche cose interessanti, ma non siamo ancora riusciti a trovare stabilità e organizzare l’estero come se fossimo in Italia. Quindi prossimo obiettivo è proprio quello di trovare collaborazioni, licenze e management che ci permettano di lavorare più stabilmente in una dimensione internazionale.
Le vostre collaborazioni vi hanno portato a partecipare anche alla creazione di colonne sonore per film quali Santa Maradona e A/R Andata + Ritorno. C’è un film del passato o un film non ancora girato per cui vi piacerebbe immensamente produrre la colonna sonora?
Beh viste un po’ le nostre radici sonore “Fuga di Mezzanotte”. Ma se pensi ad un nostro suono al posto di quello di Moroder, beh il gioco è già finito e ti prende mal di stomaco. Quindi immaginiamo un nuovo film italiano, che non sia una commedia, dove poter sperimentare un po’ di idee e anche capacità tecniche che abbiamo maturato in questi anni. Se voi avete contatti e potete segnalarci a qualche bravo regista, vi ringraziamo fin da subito! Lo facciamo anche in amicizia, pur di sperimentare.
Il vostro pezzo più famoso rimane senz’altro la super track “Two”, prima di una lunga serie di successi che è rimasta nel cuore di molti dei vostri fan. Come è nata l’idea di questo pezzo, c’è un aneddoto particolare legato alla scrittura del testo o alla composizione della musica?
ll pezzo nasce nell’ambito del suono che ascoltavamo nelle nottate torinesi di quegli anni, quando si respirava quel mix tra rock e dance. Ma la storia più divertente è l’ideazione dell’arpeggiatore, l’hook del pezzo. Eravamo in studio da giorni e non eravamo soddisfatti dal riff che avevamo scritto, né dal suono. Avevamo buttato lì 6 note che ci potevano servire per dare fluidità al pezzo, ma non riuscivamo ad incastrarle nel groove. Poi dopo una notte e una mattinata di esperimenti per trovare il suono giusto, sconsolati e stanchissimi, ce ne andiamo a pranzo, dimenticando tutto acceso. Torniamo, rilanciamo la parte e il synth che stavamo usando aveva generato il “pa pa pa papapa pa pa pa papapa” che potete sentire ancora oggi. Ecco in memoria di quel momento in studio abbiamo attaccato un pezzo di nastro adesivo con l’insight “il midi è casuale!”.
I vostri concerti sono un’occasione per scatenare l’energia della vostra musica e per far ballare il pubblico. Le vostre tournee toccano praticamente tutte le città italiane e avete avuto quindi l’occasione di tastare il terreno in tutta la penisola. Secondo voi quali sono le città in cui la scena elettronica è cresciuta maggiormente negli ultimi anni?
Sicuramente la scena veneta, da Bassano a Jesolo, con produttori di livello internazionale come Bob Rifo, Spiller, Two Guys in Venice. Poi Milano, che grazie al lavoro di locali e organizzazioni come Magnolia, Tunnel, Elita riescono ad avere sempre una programmazione di qualità altissima. Infine noi torinesi, che anche se in declino rispetto ai decenni passati, abbiamo ancora due fiori all’occhiello come Club To Club e Movement, che tengono alta la pressione sulla scena cittadina (e non solo). Purtroppo rimane la difficoltà di riuscire a portare un vero e proprio suono italiano all’estero. Per quanto sia forse un po’ migliorato in questi ultimi 2-3 anni, gli italiani riconosciuti a livello internazionale nell’elettronica ormai vivono quasi tutti all’estero e sono tali proprio perché non hanno nulla di italiano. Come dire… se vuoi provarci davvero vai a vivere a Londra, a Berlino o LA, entra nei giri giusti, fai un buon suono e ciao Italia.
Il vostro ultimo album “Vivace”, uscito nel 2013, sembra aver abbandonato un po’ l’aspetto vocale, che è comunque sempre stato un punto di riferimento per la vostra musica, per dare spazio al suono, con nuove distorsioni e con, in generale, una ritmica più incalzante… Da cosa nasce questa nuova sperimentazione?
Questo leggero cambiamento è legato sostanzialmente alla passione per i synth. Infatti negli ultimi dieci anni la musica elettronica si è molto orientata verso il digitale. Noi invece non siamo mai riusciti a convertirci al solo “digitale”. Siamo collezionisti e abbiamo un amore viscerale per il suono analogico. Inoltre dal punto di vista compositivo sentiamo una profonda differenza tra digitale e analogico. Il digitale è preciso, puntuale, non lo puoi mai ingannare, mentre l’analogico ha una sua vitalità e creatività intrinseca… se fai suonare una parte di sequencer da un synth analogico ogni volta ha colori e sfumature leggermente diverse. Questa creatività della macchina è una ulteriore ricchezza, per noi imprescindibile! E questo ci ha portato a rendere il synth protagonista, sostituendo delle linee vocali con linee di synth analogici.
Il vostro programma Juno 106 su M2O è uno dei programmi di punta dal 2011. Lo slogan recita “Impulsi sonori dal futuro prossimo”. Quale sarà, secondo voi, la prossima grande rivoluzione musicale?
Premesso che non ci sentiamo una grande capacità di immaginare il futuro, quanto più una predisposizione a guardare al passato, alle radici di certi suoni e tenerli vivi nel presente o al massimo in un futuro prossimo, riattualizzandoli, tuttavia azzardiamo l’idea che potranno esserci nuove modalità di composizione bio-based. Cioè nuove applicazioni che permettano di interfacciare lo stato fisiologico del compositore (oppure del fruitore) con la produzione di suono. Quindi non più una tastiera su cui suoni ma un’interfaccia e dei rilevatori di impulsi che captano input fisiologici interni e li trasforma in output sonori. Se volete un esempio di cosa intendiamo potete già vedere cosa fa biobeats una start up italiana nata all’università di Pisa che utilizza la pressione del sangue per offrirti la musica più adatta al momento. Immaginate una cosa così ma dal punto di vista del compositore… ciaooo, proprio!
Siete stati protagonisti, insieme ad altri interessanti artisti come Shigeto, Godblesscomputers, I Cani e molti altri, della decima edizione del Mengo Music Fest 2014, dal 9 al 12 luglio ad Arezzo, un evento ad ingresso gratuito. Siete una delle band che ha più partecipazioni ad eventi senza un biglietto d’ingresso a pagamento. E’ una scelta che rientra in un progetto di una libera condivisione musicale?
Dietro a questo c’è una filosofia e una strategia precisa, la filosofia è quella di portare la nostra musica ovunque, rendendo il più facile possibile l’accesso. La strategia invece è quella di tenere basso il cachet e i costi di produzione, cercando il più possibile di interagire con brand interessati ad investire parte dei loro budget dedicati alla comunicazione ad iniziative sociali, in favore dei territori. Dato che noi pensiamo che la musica abbiamo una forza associativa e generativa allora costruiamo progetti che abbiano un impatto e una vocazione sociale (ad esempio, il nostro We(R)evolution tour) e poi chiediamo a questi brand i diventare nostri partner permettendo alle persone di accedere il più gratuitamente possibile ai nostri progetti. Alla fine ne abbiamo vantaggio tutti quanti: noi che facciamo conoscere il nostro suono e il nostro progetto, la gente e il territorio che hanno una possibilità in più a loro disposizione, e il brand stesso che in questo modo comunica in maniera autentica sostenendo le comunità locali.
Siete stati la prima band ad apparire su ProxToMe, un social network made in Italy che permette l’interazione tramite la vicinanza geografica. Qual è il vostro rapporto con i social network e chi di voi è il più addicted?
Siamo abbastanza attenti ed interessati. Li usiamo personalmente e anche abbastanza come gruppo. Innanzitutto riteniamo siano un fantastico supporto organizzativo per dare info sui concerti, sulle produzioni e quindi tenere aggiornato chi è interessato al nostro progetto. Ma è anche una occasione per ricevere idee, spunti creativi. Siamo sempre stati interessati alla co-creation e un sogno che abbiamo nel cassetto ormai da 3-4 anni è quello di fare un album in co-creation con chi vuole scrivere con noi. Stiamo aspettando tecnologie decenti per poterlo realizzare, ma stanno arrivando. Ne abbiano già provate alcune che ci sembrano molto promettenti.
I vostri prossimi progetti? Avete già in mente delle nuove produzioni?
Yes. Ci stiamo organizzando per delle collaborazioni internazionali e iniziamo ad immaginare quale sarà il suono Motel dei prossimi anni. Ma per ora c’è un appuntamento imprescindibile dopo un tour di 107 date: andare in vacanza almeno 3 settimane.