E’ una storia molto strana, quella di Movement, oh sì. Ma così come strano è tutto il rapporto che Detroit ha avuto ed ha con l’ultima musica, in ordine di tempo, che la ha messa in cima al mondo: la techno. E se diciamo che è strana, la storia di questo evento (che ha cambiato nome ed organizzazioni negli anni, trovando fortunatamente stabilità a partire dal 2006), è perché essa è iniziata con Derrick May, Kevin Saunderson, Carl Cox, Richie Hawtin nella lista degli headliner, anno 1994. Line up da sogno? Esito da incubo, incredibile a dirsi: poca gente, gigantesche perdite economiche per gli organizzatori, e per sei anni nessuno ma proprio nessuno si è azzardato manco solo a pensare di organizzare un grosso evento di musica elettronica a Detroit.
…nel 2000, però, qualcuno finalmente ha preso il coraggio a due mani. Soprattutto, fece la mossa giusta: dare a Carl Craig la direzione artistica, ovvero a uno dei giganti della musica in questione, e non piuttosto a un pr maneggione. Con l’aiuto anche delle istituzioni, che coi loro contributi resero possibile la gratuità dell’evento, all’improvviso Detroit grazie al Detroit Electronic Music Festival si riempì di più di un milione di persone. Successo enorme, tutto perfetto, nessun problema di ordine pubblico – i politici erano basiti, gli intellettuali americani pure, perché chi diavolo se le filava la techno? In America, intendiamo. Già, perché ok nemo propheta in patria, ma in Detroit la faccenda era ridicola: hai fra i tuoi figli i fondatori del genere musicale che ha rivoluzionato il suono del pianeta, i fondatori!, ma li fai suonare – forse – nei bar, nei sottoscala, in bettole da centocinquanta persone. Questo succedeva. E succede ancora oggi.
Il DEMF dimostrava che un mondo diverso era possibile; dimostrava soprattutto che era, come dire?, eticamente e filologicamente doveroso che uno dei più grandi eventi planetari di techno avesse sede a Detroit. Eticamente, filologicamente ma anche praticamente: perché un pubblico c’era, ed era a sei zeri, alla faccia di “…nobody listens to techno!”, come ha rappato uno dei detroitiani più famosi di tutti i tempi. Poi qualcosa si è rotto. Esperienza diretta: ero con Carl Craig a Cagliari – aveva una data lì – quando è scoppiò tutto il casino, era stato infatti improvvisamente ed arbitrariamente defenestrato come direttore artistico. Bene: passò mezza giornata cagliaritana attaccata al telefono. Calmo nei toni, feroce nelle parole. Convinto che stessero facendo un’ingiustizia non tanto a lui quanto a Detroit, provando a rompere un meccanismo che finalmente aveva dato giusto lustro alla Techno City per eccellenza, riconoscendole concretamente il suo ruolo.
Così fu. A sostituirlo venne chiamato Derrick May (è con lui che si inizia a usare la dizione “Movement”), ma era una polpetta avvelenata sia per il defenestrato Craig che per May: a Derrick venne dato da gestire un festival con molte meno risorse e molti meno mezzi, tra l’altro nel 2004 ancora più che nel 2003. Tant’è che nel 2005 non c’era più lui a dirigere le operazioni, bensì un altro dei grandi di Belleville, Kevin Saunderson. Il quale fece un buon lavoro, considerando che l’idea di fare tutto a gratis era diventata impercorribile (zero fondi) e bisognava quindi mettere il biglietto d’ingresso: 40.000 e passa ingressi sono un risultato super, ma non abbastanza rispetto a quelli che erano i costi del festival così come era stato pensato (per gli storici: il nome usato fu “Fuse-In – Detroit’s Electronic Movement”).
Poi, per fortuna, è stata trovata la quadra giusta, quella che dal 2006 arriva ad oggi: a prendere in mano l’evento è stato un team di persone con un’affilata professionalità organizzativa ma anche con l’intelligenza di cercare l’appoggio morale e pratico di tutta la technonobiltà cittadina (May, primo referente; ma anche Craig, ma anche Saunderson…). La line up è diventata da sogno, il prezzo del biglietto si è alzato ma, ehi, come lamentarsene visto l’elenco dei set previsti? E non si è lamentato nessuno, infatti. Anno dopo anno, si è passati da 44.000 biglietti nel 2006 ai 95.000 del 2010. Facile prevedere che ora, nel 2011, si passerà la fatidica soglia dei cinque zeri; e che sia stato direttamente il direttivo detroitiano del festival a contattare Soundwall come media partner proprio per questa edizione, beh, non è certo una soddisfazione secondaria. Nel frattempo Movement è diventato anche una sigla da esportazione (vedi l’evento torinese, anch’esso di enorme successo come numeri). Ma se per caso il vostro tempo e il vostro portafogli ve lo consentono, finire a Detroit dal 28 al 30 maggio sarà veramente stare nel cuore delle cose. Alla faccia di Eminem.