Giusto per ricordare a tutti, qualunque sia la chiesa elettronica frequentata nei fine settimana, che la musica da ballo così come la conosciamo arriva da una serie di luoghi ben precisi, ed è il frutto di un’evoluzione altrettanto precisa e documentabile. Lagos ben prima di Berlino, dunque; San Juan ben prima di New York; soul, funk, salsa e disco ben prima della house, e tutte le solite menate da critico che avrete sentito già milioni di volte, e che altri milioni di volte sarà necessario che sentiate se il concetto fatica a entrarvi in testa. Perché una cosa soprattutto va capita: non si parla di queste cose solo come di materia antica che, in qualche modo, prefigurava sviluppi futuri. Questo è ovvio. Si parla di queste cose perché spesso sono cose già pronte per la pista, per qualunque pista, già nella loro veste originale, sono materia ancora viva oggi e per sempre, impregnata di sudore umano e di una spontaneità sempre più difficile da ritrovare.
Lì è diretto questo nuovo, estivissimo EP di Mathias Modica. Omaggio coi fiocchi alla disco, alle sue radici e alle sue ramificazioni. Ascoltare “Nigerian Jam”, ad esempio, è come avere sottomano un lampante esempio sonoro di quanto detto sopra. La cassa dritta implacabile, il basso ficcante e sincopato, il riff di fiati a salire, le voci, i ricami di chitarra e organo: è pura e scintillante disco africana, di quella che si può ascoltare nelle decine di ristampe dedicate al genere che sono uscite fuori negli ultimi anni (tipo “African Disco” della Nascente, etichetta a basso prezzo che pare pacco ma pacco proprio non è), e se non fosse per qualche minimo tocco attuale – tipo l’effetto “spegnimento del giradischi” che funge da break qua e là, tanto geniale quanto sostanzialmente inutile, o un rullante potenziato in laboratorio – il mimetismo sarebbe totale.
Idem dicasi per “Munkysound”, squarcio disco classico che sa del Brasile tremendamente funky di Eumir Deodato e Azymuth, melodie leggere e tiro della madonna, e verso la metà si immerge in un breve break ad effetto subacqueo che lascia senza fiato, pronto per essere allungato a dismisura nell’edit dei sogni (e remixato qui con tocco gentile e ancora più funk da Moullinex). Idem dicasi, con un intervento però più sensibile in termini di suoni e tecniche odierne, per “Coolo Boogaloo” e per le sue smanie latine trasportate in terreni house come seppero fare nei ’90 i maestri di Nueva York. Guarda invece al soul afroamericano ‘Woman’, edit riveduto e corretto di “I’m A Good Woman” di Barbara Lynn, inno “sister funk” fra i più lucenti compattato in forme house da grandi spazi.
Chiamatele pure retro, se volete, ma il diritto di cittadinanza nell’oggi di queste tracce è almeno pari a quello delle mille repliche di stili “moderni” che intasano l’aria e la rete.