Il nome che hanno deciso di darsi non è un granché, diciamocelo; sa di psy-trance e flier orrendi. Rende l’idea, a ben vedere, di quello che Giorgio Giri e Marco Lentano fanno con ottimo profitto da quattro o cinque anni, ma rischia di renderla per difetto. Senza saperne nulla, voi lo ascoltereste un gruppo che si chiama Progetto Funghetti? Beh, dovreste. Anche se normalmente non frequentate quella che qualcuno ancora chiama “musica elettronica”.
Primo, perché strettamente “elettronica” la loro musica non è, e anzi chitarra elettrica, acustica e basso hanno praticamente lo stesso peso specifico di sintetizzatori e beat. Secondo, perché la loro sintesi di disco al rallentatore, voli cosmic, delicatezze baleariche e sconfinamenti verso rock psichedelico, progressivo o kraut (senza mai sbracare oltre la soglia del pacchiano: la grande speranza A Mountain Of One la ricorda ancora qualcuno?) ha tutte le carte in regola per intrigare gli appassionati di questi ultimi generi. Quelli che ritengono “L.A. Woman” l’album migliore dei Doors, per dire. Quelli più aperti, quantomeno; quelli con un idea ampia ed inclusiva del concetto di psichedelia, perché con Undergrass si viaggia, eccome. Come con i suoi numerosi predecessori in forma di singolo o remix, e oltre.
Disteso su quasi ottanta minuti di durata, disponibile come doppio vinile con allegato 10″ di remix (Brennan Green e Mudd), l’album è infatti un passo avanti ambizioso, che dimostra come la formula dei due possa reggere anche sulla lunghissima distanza, se supportata da scrittura e arrangiamenti di questo livello. Piacciono le cose più riconducibili entro i confini del genere, come il funk dilatato oltre gli undici minuti di “Tokyo By Bicycle”, quello più compatto ma ugualmente spaziale di “16823”, l’inseguimento serratissimo da cinema horror di “In The Woods”. Ma piacciono soprattutto le avventure al di fuori: “Hello Darling” con il suo recitato, le atmosfere un po’ doorsiane (appunto) della scura “Bournemouth”, gli squarci di luce e melodia della lunghissima “Fly Away”, una canzone pop crepuscolare fatta e finita come “Goodbye”. O un tour de force lisergico e pulsante come “El Toro”, che ci piace pensare ispirata al quasi omonimo western visionario di Alejandro Jodorowsky (El Topo), e che da un groove di wah wah, chitarra acustica e percussioni latine si ingrossa fino a vette di paranoia e distorsione, con risultati memorabili.