È un argomento spinoso – e “spinoso” è un eufemismo – la questione palestinese. Dal 7 ottobre 2023 in poi, dalla vigliacca e cruenta azione di Hamas contro civili israeliani, è diventato semplicemente drammatico. Perché al di là delle opinioni e degli orientamenti, la risposta del governo di Israele per mano del suo esercito al raid putrido e sanguinario di Hamas è stata semplicemente fuori scala rispetto al senso di umanità. Orribilmente fuori scala. Parlano le cifre, parlano le immagini, parla qualsiasi dato di fatto: chiunque non voglia voltare le spalle di fronte all’evidenza, dovrebbe averlo ben presente senza il minimo margine di dubbio. Al di là della soluzione politica alla questione mediorientale, che non è arrivata in decenni e chissà se mai arriverà, ciò che sta accadendo ora nella Striscia di Gaza è un insulto alla dignità umana, sociale, politica. Da qualsiasi parte si stia.
La cosa assurda, e sconfortante, è da un lato quanto l’attirare l’attenzione su questo dramma possa fare scandalo (vedi Ghali a Sanremo: surreali, le polemiche che lo hanno circondato solo per aver detto “Stop al genocidio”), dall’altro quanto poco il mondo della musica si stia mobilitando per sensibilizzare l’opinione pubblica sugli eventi in atto. Sia chiaro: essere “artisti impegnati” non è un obbligo, abbracciare delle cause non deve essere un imperativo bensì una libera scelta. Ci mancherebbe. Però com’è possibile che si voltino le spalle così facilmente di fronte a decine di migliaia di civili morti e centinaia di migliaia di sfollati? Questo quando in altri casi, passati e presenti, si è stati molto più reattivi.
La paura forse è quella di essere accusati di antisemitismo? Questa accusa parla più della malafede e/o dell’idiozia di chi la lancia, che dei potenziali torti e visioni miopi di chi la riceve. Ciò che sta accadendo a Gaza, al di là di come si sia schierati nello scacchiere mediorientale, è inumano. Stop. E sta superando in orrore anche le altre guerre in corso, a partire dall’aggressione russa all’Ucraina, per quanto poi sia deprimente e stupido dover fare delle “gare” su questioni del genere, su chi sia messo peggio.
…ma anche se foste dei “puristi della musica”, della gente che “I musicisti devono occuparsi di suonare, non di fare politica”: beh, sappiate che oggi è uscito un disco molto importante, che meriterebbe la vostra attenzione. Un disco che nasce dall’urgenza di prendere una posizione pratica e concreta verso il dramma di Gaza, vero: tutti i proventi di “We Will Stay Here – Music For Palestine” andranno infatti a M.A.P. – Medical Aid For Palestine, una organizzazione britannica di lungo corso e reale affidabilità che offre assistenza medica nei territori della Striscia di Gaza ed anche della Cisgiordania. Un aiuto concreto, tangibile. Eccolo, un antipasto dell’album (…solo un antipasto, sì, ma se vi fidate di noi: è tutto davvero intrigante ed appassionante):
Però ecco: non vorremo derubricare tutto questo a “Ecco una bella operazione, in solidarietà a un popolo ora in tremenda sofferenza: che bello, che bravi”, coscienza lavata per chi scrive e per chi ascolta (a chi interessa…), olé. C’è un altro aspetto che vorremmo sottolineare con forza di “We Will Stay Here”, al di là di quello più ovvio ed immediato della causa sanitario-benefica-umanitaria.
Il punto è che questa raccolta è la dimostrazione di come una musica che sappia guardare alla realtà, “leggerla” e farsene influenzare può essere dannatamente valida. Colpire ancora meglio al cuore, ed alle emozioni. Le quattordici tracce presenti non sono una raccolta “a strascico” di chi aveva della musica da donare all’operazione tanto per lavarsi la coscienza e/o darsi un po’ di visibilità, ma è tutto materiale non solo inedito ma anche creato e pensato per la situazione orribile che si sta vivendo nella Striscia. E la cosa si respira. Minuto dopo minuto. Traccia per traccia. Accidenti se si respira.
“We Will Stay Here” è uno dei più convincenti dischi di musica elettronica ascoltati negli ultimi tempi. Lontano da ogni manierismo e da ogni autocompiacimento, il fatto di misurarsi con un dramma in corso terribilmente reale lo spinge ad essere diretto, esplicito, nervoso, sofferto, right-in-your-face, e con riferimenti etico-estetici ben chiari, ben mostrati, ben rivendicati. Tutti gli artisti che hanno voluto contribuire all’operazione lo hanno fatto perché sentono sulla propria pelle e nelle proprie emozioni l’inaccettabilità di tutto quello che sta accadendo. A volta la musica “impegnata” è un po’ didascalica, ingessata, telefonata, luogocomunista; qui no, qui invece è arte ai massimi, massimi livelli, il fatto di misurarsi con una situazione orribile concreta e reale ha reso ancora più forte la cifra artistica e l’intensità sia del processo creativo che del risultato finale. Lo si sente chiaramente, traccia per traccia. E vale sia per gli artisti europei (ad esempio Sara Persico, notevole ed incisiva, o STILL che è il nuovo alias del sempre ottimo Simone Trabucchi, o l’ipnagogico e teso Mai Mai Mai) che quelli di area più mediorientale (l’egiziano 3Phaz, bravissimo, ma mica male anche la franco-egiziana Susu Laroche).
Quindi ecco: la musica “impegnata” può assolutamente essere musica il cui valore non è limitato solo al messaggio, alla “buona causa”. E un artista che si misura con le problematiche e i drammi della società non per forza castra se stesso e il proprio potenziale creativo.
Dopodiché, ripetiamo: libero ciascuno di fare le sue scelte, se non te la senti è meglio non buttarsi, se non respiri con le tue emozioni certe situazioni e certe cause meglio stare zitti, piuttosto che buttare lì qualcosa tanto per farsi notare, per passare per “buoni”. Ma anche chiudersi in una torre d’avorio, raccontando sempre le stesse cose, usando sempre gli stessi suoni, rendendosi impermeabili agli stimoli del qui&ora e della vita reale, è un modello artistico – ma diremmo anche esistenziale – che alla lunga ha dei limiti. Pesanti.
Abbiamo molta ammirazione per Andrea Pomini e la sua Love Boat, che ha fortemente voluto questa operazione non nascondendone in alcun modo – anzi, accentuandone, vedi il titolo della raccolta – il senso “politico” e di urgenza; abbiamo molta ammirazione per chi ha risposto al suo appello (e ci sono anche nomi famigliarissimi in queste pagine: Cosmo, Not Waving, Bawrut, Bono / Burattini, Holy Tongue), dando materiale di prima scelta ed evidentemente costruito “on purpose”; abbiamo molta ammirazione per chi darà attenzione a tutto questo, sostenendo l’intera operazione, perché va bene che la musica è (anche) evasione, ma se diventa una cronaca amplificata ed emotiva della quotidianità allora nobilita ulteriormente se stessa. Perché davvero: il rischio è quello di trasformare la musica in un accessorio da gossip, dove dai più attenzione a Grimes che si incarta o a Drake e Kendrick che si fanno le liti di condominio su chi ce l’ha più lungo o a quanto è decaduto il Concertone (per stare agli ultimi eventi acchiappa-click ed acchiappa-attenzioni: qui su Soundwall abbiamo scritto solo del primo, potevamo capitalizzare anche sugli altri due, avremmo raccolto tipo il decuplo delle views rispetto a quelle che raccoglierà questo articolo).
Voltare le spalle a quello che sta succedendo a Gaza, al di là delle posizioni e delle prospettive politiche sul decennale conflitto palestinese-israeliano che possono essere sfaccettate, è inaccettabile. E occhio, ci chiedono in realtà sempre di più di farlo, con notevole ipocrisia: vedi la notizia di ieri di come le bandiere della Palestina saranno vietate all’interno dell’arena che ospiterà la prossima edizione dell’Eurovision. Bello e giusto sventolare la bandiera dell’Ucraina, in tantissimi lo hanno fatto a favore di telecamere – a partire proprio dall’Eurovision stessa. Bello e giusto se fatto con consapevolezza, avendo chiari i termini della situazione. Ma se si ha consapevolezza, quello che sta succedendo nella Striscia per precisa volontà di Netanyahu e per meno dell’esercito di Israele è simile orrore. Inaccettabile orrore.