Lo ha spiegato bene in questa bella intervista per Sentireascoltare, Bawrut: con questo lavoro voleva lasciare il segno. Non sappiamo se lo farà a livello di profilo e “peso” sul mercato, perché lì entrano in campo altre dinamiche: ma una cosa è certa, “In The Middle” non ha molto di meno di altri due album da “club adulto” come quello dei Bicep (che è piaciuto molto anche a noi) o quello di Joy Orbison, lavori di cui si è parlato molto in quessto 2021. Vediamo se la Ransom Note riuscirà ad approntare anche per il nostro eroe una macchina da guerra promozionale. Difficilmente accadrà – lì entrano in campo proprio dinamiche economiche e strategie a lungo raggio – anche se lo meriterebbe al cento per cento.
L’unico difetto di questa release è che, nel presentarsi in anteprima, si è fatta un po’ troppo ingolosire dalla possibilità di lanciare prima i pezzi coi featuring “famosi” (o almeno: “famosi” in Italia). “Eurocasbah” con Cosmo e “Je ‘O Tteng E T’O Ddong’” con Liberato sono forse i pezzi meno riusciti dell’LP. Attenzione: non brutti. E il legame di stima con Cosmo così come quello di stima e di mutua collaborazione da tempi non sospetti con Liberato sono reali, non sono insomma figurine appiccicate lì per mietere stream su stream. In particolar modo l’esperimento di spostare Liberato su traiettorie burialiane (e in esse includiamo la scivolata hi-nrg della seconda parte del pezzo) è interessante, ma in generale gli highlight del disco, quelle tracce cioè che raccomanderemmo come ascolto per far capire subito la grandezza del Bawrut produttore, sono altri. Dagli arrangiamenti vocali di “Fe Samaa” all’iper-creatività di “Out Of The Blue”, vertice creativo del disco sia per idee che per loro esecuzione tecnica; da “Alfredo And Ricardo Brought Me Here”, che (ri)porta il flamenco nel ventunesimo secolo cogliendone la vera essenza e stracciando ogni effetto-cartolina, a “De Amor De Dios A Candela”, col suo cambio di marcia dalla seconda metà in poi.
Ecco: questo del brano che cambia nella seconda metà è un accorgimento che viene usato appunto anche in altre tracce e, nel suo piccolo, è emblematico: prova del nove di come Bawrut non si sia impigrito – come purtroppo si è impigrita la musica da club – nelle “solite” strutture e nel “solito” lavoro per blocchi ma abbia invece voluto creare per davvero, cercare cioè per le proprie canzoni uno sviluppo narrativo e una personalità unica, ricercata, ragionata. Non solo cioè pezzi di musica adagiati lì per fare numero, per arrivare all’album: “…che fare un album fa fare bella figura, e poi puoi alzare la tua fee”. “In The Middle” respira davvero profondità, impegno, voglia di andare al di là dei luoghi comuni e delle soluzioni più facili; ed è anche una denuncia di come la musica che nasce dal clubbing – Bawrut da lì arriva, ed accidenti te lo ripete ad ogni passo citando di qua e di là momenti fondamentali nella storia della musica da dancefloor mescolando “alto” e “basso” – si sia clamorosamente atrofizzata a livello di profondità, di voglia di scardinare la routine, voglia anche solo di raccontare una storia, senza insomma accontentarsi solo di congegni sonori che “suonino bene” e “funzionino”.
(Eccolo, “In The Middle”; continua sotto)
Quello che forse manca a “In The Middle” è un po’ di “britannicità” in più nel lavorare sulle frequenze basse e sulle visioni cupe: vista la completezza e la compiutezza dell’alfabeto espressivo di Bawrut questa linea nell’album comunque c’è e viene inseguita, ma non si calca mai troppo la mano. Mancanza però che viene quasi del tutto sopperita dal “flavour” mediterraneo, che c’è ed è ben sviluppato, ed è anzi proprio una architrave di un elemento che già abbiamo sottolineato e che non ci facciamo problemi a sottolineare ancora: il fatto che questo album voglia essere una narrazione, una narrazione che evochi dei contenuti e delle prese di posizione (prese di posizione proprio “politiche”, cioè da cittadino del mondo consapevole ed informato), e non solo un gingillo per posizionarsi meglio sul mercato. Mercato in cui Bawrut, peraltro, sta già bene: da quanto ha lasciato l’italia – coincidenze? – è diventato infatti via via sempre più richiesto e stimato nel giro “buono” del clubbing, ha fatto due Sónar, è richiesto un po’ dovunque in Europa, il calendario – stop pandemici a parte – si riempie abbastanza facilmente per lui. Potrebbe fare ancora di più, ma lui per primo non vuole: se gli parli e lo conosci sai che non si trova bene a diventare una pedina nelle aste e nei giochi di potere di promoter ed agenzie, per quanto redditizi possano essere. E proprio la scelta di fare un lavoro non semplice, non immediato, non paraculo, non superficiale come “In The Middle” lo conferma in modo euclideo.
E’ il miglior album del 2021? No, ma di sicuro è molto ma molto buono e nei primi dieci dell’anno rischia di starci in carrozza. Merita di essere ascoltato? Eccome, eccome. Per spingere sul concetto e sui messaggi ha però sacrificato un po’ della scorrevolezza ed efficacia musicale? E’ un errore in cui cadono in tanti, a partire dai grandissimi, ma a Bawrut non è successo. Ha tirato fuori un disco davvero al massimo delle sue potenzialità? Questo, chissà; forse sì; o forse solo il primo passo prima di tirare fuori un vero capolavoro capace di zittire tutti, di attirare l’attenzione del Gotha, nel momento in cui imparerà ad andare più a fondo sia nell’euforia che nella cupezza, non accontentandosi di essere intelligente, anzi, molto intelligente, ma abbandonandosi all’idea di poter essere anche sfrontato ed arrogante. Perché lui sì, lui questo se lo potrebbe permettere… Stiamo però parlando di futuro, via: il presente è “In The Middle”. Ed è un presente di super, super, super qualità.