“Eh, ma tanto i numeri di Facebook ormai non contano più nulla…”: è una frase che era diventata d’uso comune, anzi, proverbiale, già anni fa presso gli organizzatori di eventi. Ma non sempre è stato così. Anzi. All’inizio poteva sembrare il Sacro Graal del promoter, Facebook: lanciavi un Evento sulla piattaforma, e dal tipo di reazione degli utenti – di numero di “Parteciperò” – potevi già farti un’idea su come sarebbe andata la serata, perché a occhio imparavi a fare le proporzioni (“…con 700 parteciperò almeno 350 biglietti li faccio sicuri”). Bellissimo, se organizzi una serata.
Ma ovviamente non poteva durare: dopo l’entusiasmo iniziale, in cui la gente pigiava “Parteciperò” con intenzione e cognizione di causa, come se fosse un vero impegno che si prendeva, ben presto le proporzioni si sono sballate. Si premeva (o non si premeva) un po’ a caso, con leggerezza. La scienza di prevedere l’affluenza ad un evento a seconda dei feedback numerici facebookiani diventava sempre più complessa ed aleatoria, un incrocio tra “Bisogna calcolare almeno tre, variabili, ma forse anche di più” e più schiettamente un “Non si capisce più un cazzo”.
Restava utile su una cosa, Facebook: ti faceva capire quello che nel marketing si chiama “sentiment”. Per la sua natura abbastanza forumistica (a maggior ragione nei gruppi tematici), riusciva ad aggregare opinioni significative, che lette ed analizzate nel loro insieme ti facevano capire se una cosa stava piacendo o meno, se le politiche di prezzo erano azzeccate, se la line up soddisfaceva il target di riferimento o se c’erano degli aggiustamenti da fare.
Bene: salutiamo anche questa cosa. Chiaro: le nuove generazioni sono su Instagram e su TikTok, Facebook è ormai roba da vecchi, molti ancora stanno poi migrando su Twitch e in misura minore Discord, ma per vari motivi queste ultime sono piattaforme più difficili da analizzare. Vuoi perché geneticamente refrattarie all’approfondimento ed alla discussione articolata (e inclini a privilegiare l’entusiasmo acritico, soprattutto Instagram, che pure invece avrebbe la sezione commenti ben strutturata per creare dibattito), vuoi perché polverizzate in tante microconversazioni.
Si è tutto atomizzato, ecco. In questo modo gli unici numeri che contano davvero qualcosa sono gli stream e le view. E’ diventato molto più difficile intercettare – soprattutto nelle nuove generazioni – una opinione, una tendenza, esattamente come è diventato molto più facile intercettare i numeri precisi (e farlo in tempo quasi reale). Paradossale, no? Questo è comunque un impoverimento complessivo dei discorsi attorno alla musica che prima o poi potremmo ritrovarci a rimpiangere; o, al contrario, è una semplificazione ed un efficientamento del tutto, e di “impoverimento” è fuori luogo parlare visto che non si è mai consumata così tanta musica come adesso. Su questo la discussione è aperta. Divertitevi voi a dire la vostra, anche solo tra voi e voi (…e in questa maniera, così capite bene da che parte siamo schierati, incoraggiamo di sicuro il confronto e il ragionamento).
Tutto questo discorso nasce comunque dall’edizione 2022 di Nameless, dal 2 al 5 giugno alle porte di Lecco. Un’edizione davvero importante, davvero decisiva: nuovi spazi, incredibilmente più ampi; nuovi obiettivi, quindi, con crescita obbligatoria di numeriche che già di loro erano vertiginose negli anni precedenti (Nameless, col Kappa FuturFestival, è da anni il festival di musica elettronica italiano con più presenze, polverizzando i dati altrui indoor e outdoor). Una pressione addosso non da poco, quindi: perché ogni crescita decisa non è mai “gratis”, tutt’altro, in quanto aumenta rischi, spese iniziali, pericolo di batoste finali (…come a roBOt Festival purtroppo sanno bene: bravi loro a risollevarsi, è stata dura).
(L’allestimento della nuova area; continua sotto)
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Se questa è la tua condizione di partenza, devi (dovevi?) sperare che sui social dove-si-discute, quindi in primis Facebook si scateni un buzz enorme attorno a te, un’ondata di entusiasmo, di euforia, di voglia di esserci. Ad oggi, l’edizione 2022 è di gran lunga quella più snobbata da Facebook a partire dai gruppi specializzati come This Is EDM, un tempo assolutamente focali nel “coltivare” il culto namelessiano e nel crearne mito e mistica. Ma davvero: numero di like e commenti decimati, e “sentiment” generale incline alla contestazione ed al lamento, se non direttamente al grado zero – alla derisione. La critica principale: aver “tradito” lo spirito iniziale, quello EDM (che molti percepivano, e questo è ironico, come “puro” e “anticommerciale”), in favore invece dell’avvento di trap e rap, visti come il linguaggio mainstream e paraculo per eccellenza (…e anche lì: che differenza con gli anni ’90 e i primi 2000, quando fare rap era la garanzia di essere un dropout dell’industria musicale italiana).
In realtà i grandi nomi EDM a Nameless non mancano (Afrojack, Dj Snake, Illenium, mettiamoci ovviamente pure Tiësto che da tempo si era riposizionato da quelle parti lì). Ma è vero che ciò che un tempo sarebbe stato sacrilego, ovvero avere degli headliner di taglio più rappuso, ora è realtà: Lil Pump, bbno$, Central Cee. Il nucleo storico degli aficionados del festival aveva in qualche modo tollerato, e in parte pure apprezzato, la presenza negli anni passati di una nutritissima batteria di rapper nostrani: ma in qualche modo quella era percepita ancora come una scelta “pura” non troppo paracula, l’onda lunga della percezione dell’hip hop in Italia come un genere di strada e non di industria, non di sistema. Ma ora che arrivano le stelle d’Oltreoceano, non ci si può più nascondere.
E quindi: tradimento. Fischi dal loggione. Aficionados storici sul piede di guerra, particolarmente accaniti nell’intonare il de profundis per il festival, giurando che loro non ci avrebbero messo piede e “…lo stesso stanno dicendo molti miei amici, che vengono da anni”. A scorrere i giudizi e i post facebookiani, Nameless con questa sua svolta – dettata dalla voglia e dalla necessità (le due cose si intersecano…) di ingrandirsi – stava andando incontro al disastro, ad un’edizione addirittura meno frequentata delle precedenti. Chiunque avesse analizzato le reazioni sui social, ma in particolar modo su Facebook, avrebbe ricavato in modo nettissimo questa impressione. D’altro canto Nameless è nato ed è cresciuto proprio grazie ad uno zoccolo duro di iper-appassionati. Questa consapevolezza c’è. Tant’è che gli affezionati in questione hanno maturato proprio l’atteggiamento “Siete cambiati? Male: noi vi abbiamo costruito, noi con la nostra indifferenza vi distruggeremo”.
E’ bellissimo fare i festival “di bandiera”, quelli che sono feudo di una ben precisa scena musicale. E’ romantico. Accresce il senso di appartenenza, lo spirito di famiglia. Questo l’abbiamo sempre sostenuto, e sempre lo sosterremo. L’errore è invece in chi, tifando per i festival “di bandiera”, augura il peggio ai festival generalisti ed in evoluzione, quelli che vogliono incorporare più anime e raggiungere più pubblici
Bene. Nel momento in cui stiamo scrivendo, le prevendite viaggiano sulle 75.000 presenze. Ehi: 75.000. Già ora. In prevendita. Record precedenti polverizzati. Volendo c’è un minimo di “effetto trascinamento” per le precedenti due edizioni annullate per pandemia, ok, col grosso del pubblico che non aveva chiesto il rimborso del biglietto sia nel 2020 che nel 2021 confidando di utilizzarlo nella prima edizione utile (che è finalmente questa); ma sta di fatto che è abbastanza certo che nel 2022 Nameless Music Festival non sarà certo un fallimento, non sarà certo un festival abbandonato dal pubblico. I grandi critici e “custodi del tempio” dello zoccolo duro possono lamentarsi finché vogliono: ma i numeri smentiscono o rendono irrilevanti le loro lamentele.
Questa sotto molti punti di vista è una buona notizia. Perché significa che l’etica e l’estetica del lamento e della contrapposizione, che da anni ha ormai drammaticamente colonizzato Facebook e chissà se prima o poi arriverà compiutamente ad Instagram, in campo musicale conta gran poco; significa che per Nameless (forse) più ancora della line up conta il senso di presa-a-bene che è pazzesco, quando sei al festival, quindi il biglietto lo prendi sempre e comunque ed anzi ci inviti gli amici, pure se agli amici in questione freguntubo della musica elettronica più o meno EDM; significa infine che chi ha messo soldi, esperienza e conoscenza in un festival facendolo crescere e assumendosi la responsabilità delle decisioni continua tendenzialmente a prenderci meglio di invece ha organizzato al massimo una session d’ascolto a casa sua, o giù di lì.
Se poi pensate che la scelta di Nameless di aprirsi di più a trap e rap sia opportunistica, la risposta è un nì: perché se è chiaro che serve anche questo se vuoi ampliare il tuo bacino di pubblico e fare eventi con numeri da grande mainstream, è anche vero che questo processo di crescita è andato a toccare anche un settore che apparentemente al pubblico di Nameless non è mai interessato, quello del clubbing più propriamente detto, con la “nascita” nelle due edizioni precedenti dell’Igloo Molinari e con la presenza, in questa edizione, di artisti come Ralf, Alex Neri e GNMR, giusto per fare qualche nome, e per i prossimi anni i piani in teoria sono ancora più ambiziosi. D’altro canto giova ricordare che l’anno in cui il sottoscritto andò a Tomorrowland, che già era il “paradiso dell’EDM”, in realtà mi vidi (anche) i set di Jeff Mills, di mezza Cocoon a partire da Sven Väth, di Chris Liebing, di Goldie.
E’ bellissimo fare i festival “di bandiera”, quelli che sono feudo di una ben precisa scena musicale. E’ romantico. Accresce il senso di appartenenza, lo spirito di famiglia. Questo l’abbiamo sempre sostenuto, e sempre lo sosterremo. L’errore è invece in chi, tifando per i festival “di bandiera”, augura il peggio ai festival generalisti ed in evoluzione, quelli che vogliono incorporare più anime e raggiungere più pubblici, e gli spiegano che così facendo matematicamente “perdono l’anima” e sono diretti verso l’autodistruzione e l’irrilevanza. Ogni critica è giusta, e non tutte le scelte “generaliste” sono sinonimo di successo: ma forse chi è custode dell’ortodossia dovrebbe rendersi conto che è un attimo passare da sacerdote rispettato a vecchio malmostoso che sbraita senza venire ascoltato se non da altri malmostosi conservatori come lui. Certo, fa sorridere che questo ora possa accadere agli appassionati EDM della prima ora, che fin dall’inizio trattavano gli appassionati techno e house più duri&puri come gente sorpassata dal tempo e ridicolmente dogmatica.
Conta solo una cosa: a Nameless da sempre ci si diverte un sacco. E noi non vediamo l’ora di esserci. Con noi, almeno altre 75.000 persone: e ad ora del 2 giugno, saranno sicuramente ancora di più. Ci si vede ad Annone di Brianza, la nuova “casa” del festival. Biglietti, qui. Snobismi e prese di posizione aprioristiche, a casa.