Il progetto Nu Guinea è il frutto meraviglioso di tanti anni di lavoro, ricerca e collaborazioni musicali nato nel 2014 da quei due vulcani artistici che sono Massimo Di Lena e Lucio Aquilina. Mano a mano che il progetto è andato avanti, s’è lasciato alle spalle releases considerevoli per Early Sounds, Tartelet Records e Comet Records, ricevendo tantissima attenzione e altrettanta stima da parte di pubblico, discografici, colleghi e chi più ne ha più ne metta. Perché i ragazzi se lo meritano sul serio. Veramente, nonostante siano due personaggi anacronistici per i tempi che stiamo vivendo – di fatto usano pochissimo Facebook, comunicano l’essenziale, ed è bello così. Se ne fregano delle mode, poiché con questo progetto hanno deciso di accomodarsi in un ben determinato sound a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Sperimentale e riuscitissimo con il disco “The Tony Allen Experiments”, pieno di vita e di napoletaneità con il loro primo album. Ebbene, in occasione dell’uscita di “Nuova Napoli”, ho avuto l’opportunità di intervistarli in una lunga chiaccherata da Palermo a Berlino, direttamente dagli NG Tower Studios. Il risultato, beh, il risultato lo potete leggere da voi.
Perché avete scelto Nuova Napoli come titolo dell’album.
Massimo: Potrebbe venire spontaneo pensare “ok, i ragazzi vogliono autoproclamarsi la Nuova Napoli”, ma non è così! Il titolo invece è una citazione al film “No Grazie, Il Caffè Mi Rende Nervoso”. L’hai mai visto?
No, non mi è mai capitato di vederlo.
Massimo: È un film molto bello. Fra i personaggi c’è anche James Senese con la sua band. Nel film il festival Nuova Napoli non riuscirà mai a vedere la luce, per colpa di un killer misterioso che si fa chiamare Funiculì Funiculà che, dopo vari attentati ed omicidi, riuscirà a sabotare il festival, perché “Napule nunn adda cagnà”. Noi volevamo immaginarci come una di quelle band che facevano parte del festival. E inoltre essendo noi la nuova generazione di Napoli ha anche un significato letterale “Nuova Napoli”. Ma assolutamente non vorremmo dare l’idea di un autocelebrazione.
Lucio: In realtà è, come diceva Massimo, sia una citazione cinematografica sia il desiderio di una nuova Napoli con un sound un po’ “vecchio” al quale noi siamo affezionati, ma che molti della nostra generazione e di quelle successive ignorano. Infatti a Napoli adesso la scena che va per la maggiore è un altra.
Che tipo di relazione sentite tra il vostro suono, quello dei Nu Guinea, e quello della città?
Massimo: Allora…è una bella domanda! Il progetto Nu Guinea non è nato con grande cognizione di causa, ma molto spontaneamente. Però andando avanti nel tempo, e soprattutto dopo aver fatto questo album, ci siamo posti un po’ di domande. Ci rendiamo conto che il suono Nu Guinea sicuramente si relaziona in parte al concetto di scambio culturale che c’è stato a Napoli nella storia. Perché comunque Napoli, posizionata al centro del bacino del Mediterraneo, è stata sempre porto di scambi sia culturali che musicali. Abbiamo tantissime influenze! Ogni volta che ho fatto ascoltare brani di musica napoletana ad amici stranieri ho notato che loro la trovavano molto simile a quella turca e araba! Il progetto Nu Guinea vive di questi incontri musicali tra le culture. Non ci sentiamo legati né alla musica africana, né alla musica brasiliana, né a quella napoletana, ma a tutto un insieme di musiche che ci ispirano. Il nostro desiderio è di far proseguire il progetto sempre con, alla base, un continuo scambio di informazioni e di codici musicali differenti. E come detto precedentemente, Napoli è anche un po’ questo, e la sua tradizione ne è la testimonianza.
Siete due ragazzi che la pace citata in “Je Vulesse” è come se non la voleste realmente trovare. Tra un passato nella scena techno e house e tutto quello che di bello vi ha dato il progetto Nu Guinea, il movimento è l’unica condizione per sentirsi vivi. Quanto questo vi fa sentire bene?
Massimo: Penso che il movimento sia alla base del nostro modo di vivere. Probabilmente ci saremmo potuti stanziare su vari progetti che abbiamo fatto in passato, ma in realtà non ce n’è mai fregato niente di quanto un progetto potesse avere successo.
Lucio: Diciamo che con Nu Guinea abbiamo la libertà di farlo. Quando abbiamo fondato questo progetto non sapevamo bene dove volessimo arrivare. Avevamo l’idea di un sound esotico che volevamo tramutare in musica. Nei primi dischi c’eravamo molto più ispirati alla disco e anche a quell’house che prendeva ispirazione dalla disco, per poi tramutarsi in altro e poi altro ancora. Abbiamo capito che a noi ci fa stare bene il lavorare con un concept musicale ben preciso che però può variare nel tempo in base all’evoluzione del nostro percorso. Questo disco ad esempio è un focus su Napoli, allora abbiamo preso tutte le influenze musicali che ci piacciono di Napoli e abbiamo tirato fuori l’album. Ma questo non vuol dire che il prossimo disco avrà le stesse sonorità. Magari torneremo all’uso smodato di drum machine e synth. In passato sono stati fatti molti mix di generi musicali, noi cerchiamo di continuare a mischiare avendo a disposizione un vasto archivio di musica, mentre all’epoca, la ricerca sarebbe stata molto più difficile. Fondamentalmente il nostro lavoro è questo: un melting pot musicale di influenze provenienti da differenti parti del mondo, il tutto ovviamente filtrato dalla nostra prospettiva.
Tornando a parlare di “Nuova Napoli” c’è qualche traccia a cui siete particolarmente affezionati? Proprio a livello di storia che c’è dietro e che volete raccontare.
Lucio: “Stann Fore”! È la prima traccia che abbiamo fatto. Una sorta di preludio a “Nuova Napoli”. Quando abbiamo finito l’EP “The Tony Allen Experiments” ci siamo dedicati qualche sera a fare delle jam giusto per rilassarci un attimo e da queste jam è nata ‘sta sorta di rap in napoletano su una base che aveva un giro di synth che ricordava un po’ qualcosa di Napoli, non so, un po’ “Pino” va’! È la storia di un folle che non si sa che cerca, non sa che vuole, che dice “Sò asciuto ‘e casa, cercann’ ‘n cosa. Che cosa? Qualcosa! Che Cosa? Qualcosa!” e poi il ritornello “Stann Fore”. Quando abbiamo pensato di dare un senso a questo testo ci sono venute mille idee ma abbiamo preferito lasciarlo così, aperto alla libera interpretazione.
Massimo: Abbiamo fatto questa traccia sei mesi prima di iniziare a scrivere “Nuova Napoli”. Ricordo di averlo mandato alla mia ragazza in 96 kbps facendo finta che fosse una band napoletana dell’epoca, così per scherzo!
Su Bandcamp c’è scritto che è la prima volta che collaborate con tanti musicisti, la nuova scena contemporanea di Napoli. Avete mai pensato di allargare il vostro dj set ad una vera e propria live band con chitarra basso e batteria?
Lucio: In realtà con il disco “Tony Allen Experiments” abbiamo già fatto un live, un’unica apparizione a Mosca. Ovviamente le tracce le abbiamo fatte durare molto di più perché poi si improvvisava…è tutto un altro impatto quello del live. Per “Nuova Napoli” l’idea è di mettere su la band al completo. In formazione estesa si parla di sette, otto elementi. L’idea è quella anche un po’ di sondare un territorio inesplorato che è quello dei concerti, quindi iniziare ad immaginare anche location differenti dai classici club.
Comunque questo album viene da uno stop di due anni dove l’ultimo lavoro è l’EP “The Tony Allen Experiments”. Lavorare su del materiale di Tony Allen non è una cosa che capita tutti i giorni. Come ci siete riusciti? Che feedback avete avuto dallo stesso Tony?
Massimo: Il feedback di Tony Allen è stato “Very good”. Secco. Un uomo di poche parole, ma molto serio nel suo lavoro e con un approccio alla vita super giovanile. Ovviamente viene spontanea una certa riverenza nei suoi confronti per tutto ciò che ha fatto durante la sua carriera artistica.
Parliamo della vostra label, NG Records: cosa ci dobbiamo aspettare in futuro? Sarà la piattaforma esclusiva di Nu Guinea o allargherete l’invito ad altri artisti?
Massimo: NG Records è nata in maniera molto spontanea. Tutto è partito con “Amore”, una cover di un brano degli anni ’70, che abbiamo risuonato e riarrangiato in mezza giornata come regalo di matrimonio per una coppia di amici danesi. Inizialmente ne erano state stampate solo cinque copie, ma ci sembrava un peccato non condividerlo con un pubblico più esteso. NG records è nata così! L’idea è quella di far uscire principalmente materiale nostro, però non ci precludiamo assolutamente la possibilità di rilasciare materiale di altri artisti. In realtà già adesso ci siamo aperti ad una collaborazione, che avverrà con Early Sounds, per una compilation di musica che a noi sta molto a cuore… possiamo solo dire che ancora una volta c’entra Napoli.
Vi siete definiti come “animali non sociali” eppure ve la cavate piuttosto bene ad ogni cosa che pubblicate su Facebook, proprio perché non siete troppo seriosi ma anzi un po’ “cazzoni”. Quanto vi aiutano questi strumenti a diffondere la vostra musica? Oppure la vostra musica viaggia da sola per canali diversi tra label, addetti ai lavori e amici?
Massimo: Lo vediamo come una cosa utile. Quando ci va pubblichiamo qualcosa e quindi sì, traspare anche un po’ la nostra scemenza, il nostro modo di fare nella vita, perché non ci vogliamo prendere troppo sul serio. È abbastanza uno specchio di come siamo noi nel privato.
C’è un interesse su Napoli non solo presente, ma soprattutto passato, dove due generazioni si incontrano e si scambiano il testimone. Un esempio è stata la serata dell’anno scorso dove avete suonato con Tony Esposito e tanti altri artisti vostri amici. Vi dispiace non essere nati nella Napoli degli anni ’70/’80 di Pino Daniele, Napoli Centrale, Tullio de Piscopo, oppure pensate che oggi la città sia sufficientemente esaltante dal punto di vista musicale?
Massimo: Dal punto di vista musicale sarebbe scontato dire “si, avremmo voluto vivere in quel periodo”, ma probabilmente se fossimo nati a Napoli in quegli anni saremmo stati come quei gruppi sfigati che hanno fatto un solo disco e che poi sono finiti nel dimenticatoio perché messi a confronto con i vari De Piscopo and friends…forse meglio essere nati ora! Sentendo pareri di chi ha vissuto all’epoca è vero che c’è stato un periodo dove c’era un grandissimo fermento, però non era tutto rose e fiori. I problemi c’erano anche a quei tempi. Nella maggior parte dei casi anche gli stessi “grandi” nel tempo, purtroppo, si sono dovuti adattare alle dinamiche di mercato.
Lucio: Tony Esposito tra il ’74 e il ’79 ha fatto robe fighissime! Poi da “Kalimba De Luna” il progetto ha iniziato a prendere una piega diversa. Sarebbe interessante capire se fu il suo gusto musicale a cambiare oppure fu il mercato a spronarlo a prendere quella direzione. La serata è stata bella, ma non ti nego che avrei sognato di sentire Rosso Napoletano con la strumentazione dell’epoca.
Massimo: Immagino sia normale che dopo tanti anni di Fender Rhodes e Minimoog un artista dell’epoca oggi sia entusiasta di utilizzare le nuove tecnologie e i suoni più moderni, perché è nell’indole dell’essere umano cambiare, andare sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Magari, nel nostro caso, troveremo qualcuno che tra qualche anno ci dirà “ragazzi, ma perché non fate più minimal techno?” e noi diremo “che palle, ci scoccia quella musica”. Però, come dare torto ad un ragazzino che ci fa questa domanda e come dare torto a noi che ci siamo scocciati. È chiaro che dall’esterno sarebbe bello sentire questi artisti fare di nuovo quel tipo di sound in quella maniera, però ormai appartiene al passato, bisogna farsene una ragione.
Magari un giorno ti chiederanno di ristampare le robe di Massi DL!
Massimo: Sicuro! (ridono entrambi, ndl)
Adesso comunque vi trovate a Berlino da quasi quattro anni: quanto l’esservi trasferiti vi ha aiutati per la vostra crescita artistica? È stata una mossa a conti fatti strategica oppure, com’è successo a tanti nostri connazionali, speravate in qualcosa di più?
Massimo: È una domanda che ci poniamo spesso perché secondo me avevamo bisogno di andarcene da Napoli in quel preciso momento. Ci abbiamo entrambi vissuto a lungo e avevamo bisogno di respirare una nuova aria. Poteva essere Berlino, poteva essere Barcellona, poteva essere Londra. Abbiamo scelto Berlino per vari motivi. Ma non per motivi inerenti alla scena musicale attuale della città.
Lucio: Berlino ha dei lati positivi incredibili. Dal punto di vista delle pubbliche relazioni, ma soprattutto in quanto a vivibilità. Se poi ci fosse anche il mare… Questa città mi sembra un luogo di passaggio, ottima per iniziare dei progetti o per portare avanti delle idee. Infatti, non so Massimo, ma la mia idea è di non stare a Berlino per sempre, perché comunque abbiamo i nostri standard culinari e di meteo che sono impossibili da sradicare. Per fortuna abbiamo trovato un fornitore di roba seria italiana, quasi ogni settimana ci facciamo mandare broccoletti, zucchine e quant’altro.
Massimo: E poi diciamo che un lato negativo dell’Italia, che abbiamo vissuto, soprattutto in passato, in prima persona, è che spesso capita che i promoter si calpestano i piedi a vicenda. Se suoni là non puoi suonare qua, se fai questo non puoi fare quello. Questa sorta di mini dittatura che c’è in Italia noi a Berlino non la viviamo assolutamente. Prossimamente suoneremo in città a distanza di tre mesi in tre locali diversi, senza alcun problema. Qui tutti possono fare quello che vogliono.
A proposito suonare all’estero o in Italia non è propriamente la stessa cosa: il pubblico straniero è, spesso e volentieri, più “aperto” nei confronti del suono a cui oggi vi siete affidati. Notate un’evoluzione anche all’interno della nostra scena oppure c’è ancora tanta strada da fare?
Massimo: Guarda, devo dire che prendendo di riferimento due situazioni dove abbiamo suonato, che sono il FAT FAT FAT Festival l’anno scorso, e Napoli a natale coi ragazzi di Soul Express, abbiamo avvertito una forte predisposizione al nostro suono, e abbiamo notato una gran voglia da parte del pubblico di supportarci.
Lucio: Assolutamente! La scena italiana è in forte crescita. Ci sono un sacco di nuovi festival indipendenti e realtà interessanti. Rispetto a qualche anno fa abbiamo trovato molta più apertura all’ascolto.
So che passate molto tempo alla ricerca di brani del passato e ve lo devo chiedere da fan: dove avete preso i dischi che avete? Collezioni paterne, scantinati umidi di fritto, retro bottega…
Lucio: Non siamo i tipi che entrano in un negozio e comprano un disco da trecento euro, né ereditiamo grandi collezioni. Siamo più digger di mercatini, negozi un po’ fuori mano e aste su eBay. Quando vediamo il luogo fighetto di solito scappiamo!
Massimo: Quando visitiamo un posto cerchiamo sempre di portare a casa qualche disco di musica locale. È più interessante per noi cercare un disco sconosciuto piuttosto che cercare a tutti costi il disco super wanted! Infatti se su Discogs mille persone hanno in wantlist un disco, mille persone lo conoscono! Quindi chiaramente suonando questa musica non stai proponendo niente che la gente non abbia già sentito. A Napoli, ad esempio, c’è un sacco di roba che non è nemmeno su Google! Non puoi trovarla da nessuna parte, non ci sono informazioni riguardo tanti artisti. Per noi è molto divertente andare sul posto e riscoprire un disco. Noi basiamo la nostra ricerca su questo.
Lucio: La cosa migliore è sempre ascoltare tutti i dischi che non si conoscono perché potenzialmente ogni disco può riservare sorprese inaspettate, che sia raro o meno. E anche dare uno sguardo ai credits non fa mai male.
Ma infatti a Copenhagen, dove avete suonato recentemente, avete trovato qualcosa?
Massimo: Si! Un negoziante ci ha fatto ascoltare molta musica locale tra cui un disco che non conoscevamo della band fusion danese Bazaar!