Che Border Community stia cambiando l’abbiamo detto tante volte. Nuovi volti, nuove collaborazioni, artisti che vengono e altri che vanno. Quello che non riusciamo ancora a capire è se questo cambiamento porterà a qualcosa di buono oppure no.
Quando ormai quasi una decade fa usciva il singolo “The Sky Was Pink” sapevamo che qualcosa di importante stava cominciando a muoversi, ed in effetti così è stato. Al singolo è seguito l’indubbio successo sia del suo autore, che del suo remixer (nonchè padre della label). Per anni Nathan Fake e James Holden sono stati gli unici volti che riuscivamo ad associare all’etichetta londinese, ora le cose si muovono verso una direzione ancora ignota. Sicuramente c’è la voglia di fare, di fare bene e di non piegarsi a strani meccanismi di marketing. Luke Abbott, uno dei nuovi volti che abbiamo imparato ad accostare ai più ben noti citati prima, ci ha da poco rilasciato un’intervista in cui ci spiega come Border Community non abbia degli obiettivi principali ma sia piuttosto alla ricerca di libertà. Ma il prezzo qual’è?
Nathan Fake, dopo un lungo periodo di silenzio, fa sentire di nuovo la sua voce con “Iceni Strings”. Il ricordo di “Hard Island” è ancora vivo ed è subito accanto a quello di “Drowning In A Sea Of Love” che, forse, è ancora più vivo. L’artista di Norfolk, con questi due masterpiece, ha messo bene in chiaro che ha talento e fantasia da vendere. Come dicevo, con le sensazioni che ancora lasciano pezzi come “Basic Mountain”, “Bumblechord”, “The Turtle”, “Grandfathered” non è facile competere e purtroppo è la prima cosa che penso quando premo play e inizio ad ascoltare “Iceni Strings”, title track della release. Hats riverberati all’inverosimile, melodie cupe e un drum pattern spezzato che proprio non riesce a trovare il suo posto. Con “Sense Head” non ci spostiamo di molto ma già si può riconoscere il “Fake touch” sul synth granuloso che suona sporco ma sicuramente più felice. “Bauxite Dream” finalmente mi rapisce: l’intro è molto lenta ma si impossessa subito della mia attenzione e non faccio in tempo a rendermi conto di cosa sta succedendo tra hats stretchati e snare che piovono nelle posizioni più strane che già il tutto è avvolto dal suono del synth che si sposa magnificamente con gli hat, come sempre, spezzati.
Sì, “Bauxite Dream” mi riporta ai tempi di “Castle Rising” e “Narrier” e questo mi riempie il cuore di gioia. Non tutto è perduto.