Esistesse un presidio tipo quello di Slow Food per i festival italiani (ovvero, per definizione: “La salvaguardia e tutela di situazioni che sostengono le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione”), NeXTones ne sarebbe una delle gemme, forse il punto fisso più brillante. Questo piccolo festival, giunto ormai alla sua quinta edizione, si svolge a luglio in spettacolari cave di marmo sopra il Lago Maggiore, tra Domodossola e Verbania, e dobbiamo dire che è la perfetta sintesi di quanto definito poco sopra. È il perfetto emblema di una piccola produzione che valorizza il territorio.
Nel raccontarlo, il festival, partiamo infatti proprio dal territorio: severo, infausto, imprevedibile; ma bellissimo. Tralasciando per un momento la location in sé, il festival si svolge ai piedi delle montagne, tra i boschi e il lago, ad un tiro di schioppo dalla Svizzera e al confine tra Lombardia e Piemonte. Formalmente questa terra è conosciuta per essere il luogo più piovoso d’Italia: da qui la nostra definizione di luogo infausto. Qui a farla da padrona è ancora la natura, il clima, la forza degli elementi, lo sanno bene i coraggiosi organizzatori che per settimane producono, preparano, organizzano, senza guardar troppo alle previsioni. Tutto può cambiare in pochi minuti da queste parti, sparigliando piani e progetti. Non resta che affidarsi a speranze e preghiere, pagane e non, per la clemenza del tempo e per un sole che, se presente, scalda tantissimo.
NeXTones conosce questa convivenza; anzi, probabilmente pioggia e fulmini sono parte integrante di questo festival che, già nella scorsa edizione, aveva pagato un conto amaro a Saturno, annullando l’evento per un forte nubifragio. Anche conoscendo solo marginalmente il sistema organizzativo di un festival, non è molto difficile capire come l’annullamento totale o parziale di un’edizione possa provocare facili e riconoscibili problemi economici insieme a tanta afflizione e voglia di lasciare perdere. A voler fare un paragone, è come perdere la finale di Champions per un autogol da centrocampo; lo metti in conto, può succedere, però – che cazzo.
Va riconosciuto alle persone dietro a questo evento il merito di aver tenuto ben lontano questi sentimenti e di essere ripartiti per preparare l’edizione 2018, un’edizione in grande stile. Nemmeno le nubi nerissime del venerdì, il conseguente annullamento della prima serata di questa edizione e l’acqua copiosa a fare un’altra volta saltare tutto, ci ha dato l’impressione di scalfire minimamente i volti di chi, con il naso all’insù ed un occhio al meteo svizzero, comunicava a tutti che si sarebbe recuperato l’indomani. Del resto la location chiedeva solo fiducia.
(la location di NeXTones 2018; continua sotto)
La location, appunto: inimmaginabile, magica, quasi metafisica. Una cava di marmo bianco – lo stesso con cui, ad esempio, è fatto il Duomo di Milano – chiusa su tre lati e tre quarti, con mura altissime e candide. Un palco naturale fatto di blocchi di marmo; nessuna struttura metallica, nessun intervento invasivo. Anche le luci, che “amoreggeranno” per tutta la serata con il posto in questione, sono praticamente invisibili e pronte ad essere parte integrante di una line up ricercata, non conforme, e per questo bellissima.
Leggiamo spesso dell’onnipresenza degli stessi artisti ai soliti festival, diatriba lunga che non conosce né vincitori, né vinti. Difficile l’equilibrio tra la voglia di offrire qualcosa d’interessante al pubblico e il riepilogo di costi e incassi, che obbliga spesso ad investire sull’usato sicuro. A questo gioco non si sottrae nemmeno NeXTones, ma la mossa è intelligente: l’usato sicuro (se di usato vogliamo parlare) è Scuba, che in Italia passa sì ma non è proprio di casa e che soprattutto ha annunciato una lunga pausa da date ed esibizioni rendendo quantomeno suggestiva la sua presenza. Va detto subito che Scuba non suona male, suona solo in maniera esasperatamente noiosa per alcuni, mediocre per altri, stilosa per molti, divertentissima per altri ancora. Poco male comunque, anche perché un giudizio di questo tipo riporta alle sole disquisizioni personali, ai gusti specifici di ciascuno.
Certamente la presenza del boss di Hotflush consente a NeXTones di investire su altri nomi sicuramente di ricerca, con un’alta valutazione in un’ipotetica tabella di rischio. Il programma prevede: Max Cooper, che regala una buona esibizione ma paga il dazio di arrivare dopo lo stratosferico Henke con il suo “Lumiere III”, un ottimo Ben Frost, Gosheven e Petit Singe, l’unica artista che è riuscita ad esibirsi sotto il diluvio di venerdì e che è ormai una piacevole ed abrasiva conferma. Nel complesso: tutte ottime esibizioni, davvero.
(un momento di “Lumiere III”; continua sotto)
Qualche riga a parte e in più non può però non essere dedicata alle esibizioni di Ben Frost e Robert Henke. Per il primo possiamo parlare di esibizione “autoctona”: Frost davvero sembra il reggente di questa bianca cava di marmo, la vive esibendosi a piedi nudi, la anima regalando suoni e visioni scolpiti nel paesaggio circostante, crea un momento freddo, algido, seppur fortemente organico. Strepitosa, dicevamo, l’esibizione di Robert Henke. Se l’intervista con il nostro Damir qualcosa poteva lasciare presagire, quello che con pazienza il venerdì avevamo iniziato a vedere e che sabato abbiamo visto per intero ci ha lasciato, semplicemente, senza parole. Difficile descrivere il diluvio di laser ed emozioni che Robert Henke per più di un’ora ha proiettato su una gigantesca parete della cava nel buio più completo. Una meraviglia per gli occhi e per la mente: prendete il più bello tra gli spettacoli pirotecnici che avete mai visto e moltiplicatelo per 1000, più o meno la sensazione potrebbe essere quella.
A tirar le conclusioni sono solo parole di elogio per questo festival piccolo e imperfetto, che certo ha grandi margini di miglioramento, ma è comunque bellissimo anche così. L’abbiamo detto prima: la valorizzazione di un territorio aspro come quello dove si svolge NeXTones rende accettabili le piccole imperfezioni che un festival piccolo come questo può incontrare. Una splendida mostra su De Chirico e De Pisis ha dato la svolta ad un sabato pomeriggio più che grigio, ma in genere Domodossola non offre troppi intrattenimenti né gozzoviglie fiabesche. Certo, un coinvolgimento ancora maggiore da parte dei residenti ed una valida soluzione alternativa al maltempo, oltre alle experience che comunque il festival aveva intelligentemente previsto per i partecipanti, possono accrescere ancor di più il valore di questo evento. Ma davvero, sono considerazioni a margine.
Ci sentiamo di promuovere con convinzione questo festival lontano dai grandi numeri e con le giuste ambizioni di crescita, senza nemmeno dispensare il solito carico di consigli. A noi è andato tutto bene così. Vedremo cosa offrirà la prossima edizione, e quanto la crew del festival riuscirà a meravigliarci ancora.