Nicolas Chevreux è francese, nato a Grenoble, ma ormai da molti anni vive e lavora a Berlino. Lui è l’Ad Noiseam, nel senso che ha fondato e cresciuto da solo una delle label più interessanti dell’ultima decade. Come una ragazza madre. C’incontriamo in un piccolo pub occupato nella zona est della città, io sono accompagnato da qualche amico e l’atmosfera è leggera. Ordiamo birre e chiacchierando ci dimentichiamo di avere un registratore acceso sul tavolo.
L’intervista, dunque, potrebbe iniziare dal momento in cui Nicolas ci spiega com’è nata la sua label: “dodici anni fa (vivevo a Berlino già da diverso tempo) lavoravo su di una webzine cui tenevo molto, la quale mi aveva permesso di conoscere diversi musicisti e parecchie persone interessanti e mi venne l’idea di celebrare i cinque anni della fanzine provando a produrre una compilation. Ho, quindi, chiesto ad alcune persone che conoscevo di registrare delle tracce per me e loro accettarono di buon grado. In quel momento non avevo minimamente idea di fondare una label, volevo solo fare una raccolta di tracks per celebrare la rivista e divertirmi. Ma più velocemente di quanto potessi aspettarmi, la compilation ha avuto molto successo, fino a costringermi a stamparne altre duecento copie. Questo perché le persone non ci vedevano una semplice disco per celebrare i cinque anni di una rivista, bensì il prodotto di una label che in realtà non esisteva ancora. Non avevo la più pallida idea di come fare questo genere di cose, ma mi divertivo tantissimo, tant’è che mi accorsi di lavorarci talmente assiduamente da non riuscire a stare dietro anche al mio lavoro part-time. Era il 2001 ed io stavo facendo tutto da solo, come anche adesso d’altro canto (ride). Tuttora sono io quello che riceve la demo, io quello che le ascolta e che decide cosa produrre e promuovere. Con quella rivista e quella compilation è, in sostanza, nata l’Ad Noiseam ed io ho dovuto lasciare il mio lavoro, per dedicarmi solo alla label.”
Hai scelto, coraggiosamente, di promuovere prodotti dubstep, breakcore, drum and bass, in una città cui, tendenzialmente, la preferenza rimane sulla techno.
In una città così piena di stimoli ed eventi non è stato comunque difficile trovare persone che amassero il genere di cose che poi divennero la caratterizzazione di Ad Noiseam… ma comunque sì il fiume a Berlino scorre verso la techno e sarà molto difficile per chiunque invertirne il flusso. Voglio dire che qui abbiamo tantissimi club, ma la maggior parte di essi si limita a fare techno e non c’è possibilità di fare altro. Il problema principale è che non sei preso in considerazione se fai drum and bass o dubstep, ma, d’altro canto, in ogni grossa città del mondo è così, c’è una corrente principale che regge tutto, per esempio, in Olanda c’è la drum and bass, in Francia c’è la dubstep, in Spagna, credo, la trance. Nonostante questo, per me è stato facile trovare persone che amassero il genere che volevo fare io, soprattutto tra gli stranieri che stavano scegliendo di muoversi verso Berlino piuttosto che verso altre nazioni Europee. D’altra parte, se avessi deciso di fare techno sarebbe stato più facile, Berlino è una città meravigliosa e non vorrei essere da nessun’altra parte, vorrei solo che fosse un po’ più aperta, capisci? Detto questo, la techno è solo la chiave di volta per reggere tutto un sistema musicale molto più ramificato e complesso. Mettiamo caso che,, ipoteticamente, gli utilizzatori di dubstep, drum and bass e breakcore a Berlino fossero soltanto l’1%, questo vorrebbe comunque dire che sarebbero migliaia in una città di queste dimensioni e densità e quindi sarebbero in centinaia a venire al tuo party dell’1% e alla fine avrai raggiunto il tuo obiettivo. In molte altre città non potrebbe accadere, per questo siamo fortunati, noi dell’1% berlinese (ride).
Anche grazie al turismo?
Molti club a Berlino vivono grazie al turismo, ma tanti atri lo rifiutano. La vera sorpresa è che gran parte delle serate non sono più gestite da organizzazioni tedesche, bensì da immigrati. Questo perché i ragazzi berlinesi sono più propensi a consumare la musica, mentre gli stranieri arrivano in città pieni di energia e voglia di fare e si mettono ad organizzare molte serate. Ad esempio, io ho degli amici inglesi che hanno occupato un edificio e sono due anni che organizzano eventi, altri amici stranieri hanno aperto negozi di musica. In parallelo e sorprendentemente, i tedeschi si stanno allontanando da questo genere di cose, si stanno mettendo da parte. Continuo a ripetermi che sono una persona fortunata a essere qui, vendo dischi che mi piacciono ed organizzo show, anche se non sono presente nei club più alla moda.
Quali sono le tue radici musicali?
Quando ero un ragazzino, ascoltavo cose come Vangelis e Jean Michel Jarre, odiavo i vocals e non mi piaceva il suono della chitarra. Ascoltavo per lo più colonne sonore, poi ho smesso con tutta quella roba e mi sono messo ad ascoltare brit-pop; adoravo gli Oasis, i Blur, ma anche gli Elastica o i Pulp e quindi avevo un sacco di tape. Ecco, tu sai che alla fine delle casette resta sempre uno spazio vuoto su cui non hai registrato niente, no? Io ricordo che un mio amico fece una copia di una cassetta dei Pixies e me la regalò, ascoltandola mi accorsi che nella parte finale registrò delle canzoni della sua band industrial. Quando sentii quei suoni compresi che erano meravigliosi. Da quel momento ho cominciato ad ascoltare sempre più cose industrial e techno, seguite da moltissimo noise che mi avvicinò ad attitudini più sperimentali. Poi sono arrivato a Berlino e tutto è cambiato. A Berlino vai nei club, è una regola ferrea, è un tuo diritto e un tuo dovere andare nei club. In quel periodo ne nascevano a decine ed io ascoltavo sempre più dubstep e drum’n’bass. Molti di quei club hanno chiuso, per esempio quello che ora si chiama Magdalena, prima si chiamava Maria Am Ostbahnof e potevi sentirci tanta breakcore. C’era il Bastard, proprio in centro e c’erano decine di Squat e un pre-Berghain che si chiamava OstGut. Erano molto underground. E’ rimasto il Subland, uno dei pochi che non ha cambiato l’attitudine. E’ identico a com’erano i club di Berlino dieci anni fa: piccolo e scuro, sembra una cantina, il suono è potente e la gente non si veste bene. Un bel posto dove ascoltare buona musica.
Come sceglierai il prossimo artista Ad Noiseam?
Poiché sono io a gestire l’intera etichetta, dipende tutto dal mio gusto personale. Ricevo parecchie demo ed incontro diverse persone. Se quello che ascolto è nelle mie corde sicuramente farò qualcosa. Ovviamente alcune cose, seppure mi piacciano molto, non posso gestirle perché non ho l’esperienza. Ad esempio, ritiro, talvolta, demo hip hop oppure metal, ma la maggior parte delle volte li devo scartare, anche se li considero degli ottimi lavori. Nel 2005 ho provato a far uscire alcuni dischi leggermente fuori linea riscontrando buoni feedback, come Dälek ad esempio, però il mondo dell’hip hop è vastissimo ed ho preferito stare sulle cose che conoscevo meglio. Quindi gente, credo che non sia la persona giusta per i vostri demo rap (ride). Invece se mi mandano qualcosa di dubstep, drum’n’bass, elettronica e se mi convince, una delle mie regole è che il producer deve saper suonare live. E’ una cosa importantissima, soprattutto negli ultimi anni. Ormai la qualità del tuo prodotto non è così importante se non sai suonarlo. Dieci anni fa se il disco era buono, vendeva. Ora se è un buon lavoro è solo il primo passo, poi devi saperlo suonare bene, ma essere presente sui social network e promuoverlo.
Ti è mai capitato di sentire qualcosa che non fosse una demo inviata ad Ad Noiseam e decidere che era talmente bello da meritare una tua telefonata?
Raramente. Per esempio con Dj Hidden, mi piaceva molto quello che suonava e come lo suonava. Sapendo che non aveva mai fatto uscire un album, gli mandai una mail scrivendo: Ciao, il mio nome è Nicolas. Vuoi fare un album? (ride).
A proposito, so che ti ho occupi anche degli artwork delle produzioni Ad Noiseam.
Sì, soprattutto i primi anni, ma anche adesso capita che qualcuno mi mandi delle immagini ed io le rielaboro. Per alcuni ho fatto addirittura tutto io, dall’inizio alla fine, ho creato persino il logo, perché magari partono dal non avere idee di cosa fare, mentre altri, spesso, hanno perfettamente chiaro cosa voglio. Uno di questi è Scorn.
Molti artisti Ad Noiseam hanno suonato in Italia…
Non abbastanza! (ridiamo)
…cosa ne pensi del pubblico italiano?
Prima cosa: io non ho mai suonato in Italia, quindi è difficile dare una valutazione personale. Comunque ti basti pensare come per me sia più facile riuscire a far suonare i miei producer a Mosca o in Grecia, piuttosto che a Roma, per esempio. Detto questo, tutti quelli che ci sono stati mi hanno riferito che si sono trovati molto bene, non posso dirlo io personalmente. Anche se è un clichè, pare che più calda è la temperatura, più caldo è il pubblico. Un esempio: il pubblico spagnolo e greco ha molta più energia del pubblico tedesco, quindi immagino che valga anche per quello italiano. Quanto spesso ci sono concerti dubstep o breakcore in Italia? Una volta al mese, una volta ogni due mesi?
Breakcore ce n’è poco. Ci sono realtà interessanti sparse per l’Italia, a cui si dovrebbe dare più peso e che, invece, continuano ad avere difficoltà. Per quanto riguarda la dubstep, invece, ci sono pochi eventi rispetto alla media di “consumers”, soprattutto con riferimento al lato più underground della stessa. La maggior parte della programmazione continua a rimanere negli Squat, ma molte crew che da sempre facevano dubstep, si stanno inevitabilmente spostando verso la techno.
Si percepiscono le difficoltà che avete in Italia. Lo capisco dalle vendite. Io riesco a distribuire bene in tutta l’Europa, ma in Italia ho delle difficoltà. La Francia, in questo momento, è la nazione con maggior utilizzo di musica dubstep, breakcore e drum and bass seguita dall’Olanda e dalla Germania. Seguono le nazioni che io chiamo sorprendenti, come la Grecia, la Finlandia, la Svezia o l’Irlanda, cui non ti aspetteresti una così grande partecipazione. In ogni caso, mi sarei atteso un maggior interesse da una nazione musicalmente intelligente come l’Italia.
Quali consigli daresti a qualcuno che ha appena iniziato a produrre musica o che sta per aprire una nuova label?
Gli direi: Non farlo! Far funzionare una label in questo periodo storico può essere molto difficile, perché salvo che non produci un tipo di musica che sia molto di successo, non ha più molto senso uscire su supporti fisici, anche perché richiedono un investimento in denaro. D’altro canto, se fai tutto in digitale, nessuno ti prenderà seriamente, anche perché ci sono milioni di release che viaggiano ogni giorno. Al momento, investire nella produzione è molto dispendioso. Quello che consiglio è di non limitarsi a promuovere i propri lavori sui canali “facili”, come Facebook o Beatport, perché in ogni caso non arriverebbe a tutti. Devi essere ambizioso e premere anche sulla stampa cartacea e non solo sul web, devi stampare su vinile. Devi essere old school. Stessa cosa vale sia per chi vuole aprire una label, che per quelli che vogliono uscire con un prodotto proprio. Io sono stato fortunato perché ho avuto molti amici che mi hanno supportato ed inoltre facevo una cosa che le persone ancora non conoscevano. A tutti i neo producer dico di stare tranquilli, tanto ci vogliono almeno cinque anni prima di far uscire un prodotto davvero buono. E dico loro: andatevene via dall’Italia, cercate show all’estero, perché l’Italia non è il posto dove diventerete grandi. Andate a suonare in Germania, in Francia o in Russia e provate a conoscere le persone che non sono italiane. E’ quello che è capitato alla Francia. Ad un certo punto è successo qualcosa di buono, perché gli artisti francesi hanno cominciato a parlare inglese ed a incontrare altri artisti dall’Inghilterra, scambiando pareri ed esperienze. Sono sicuro che i producer italiani siano tanto bravi quanto quelli tedeschi o inglesi o francesi, ma hanno bisogno di parlare con persone che vengono da fuori. L’Italia non è così lontana, è vicina. Non è il Sud America. Non essere timido, esci e prenditi quanto più puoi.