“Concrete And Glass” è il nuovo album solista di Nicolas Godin, metà degli Air. Un disco ispirato e legato all’architettura di Ludwig Mies van der Rohe ed al progetto Case Study House di Pierre Koenig: armonie, modernismo ed essenzialità che ben si legano al minimalismo musicale sempre retrò di Godin. Un Godin in splendida forma e abile ricamatore di cachemire che ci riporta ai tempi di “Moon Safari” testimonial di un’eleganza innata che ci siamo fatti raccontare in questa intervista.
“Concrete And Glass” il tuo nuovo album, è un insieme di sofisticata eleganza che mantiene sempre una certa essenzialità. Posso chiederti qual è la tua idea di eleganza nella musica?
Wow, non male come prima domanda (ride, ndi), mi fai un a domanda non semplice. E’ interessante ciò che mi chiedi. Secondo me in una canzone ci sono due elementi fondamentali: uno è la composizione, l’altro è l’arrangiamento, e sono fondamentali nella stessa maniera. Più volte mi sono trovato a cercare di immaginare quale fosse il più importante dei due per dare eleganza ad un pezzo. La melodia è importante, ovviamente; ma il suono dell’arrangiamento, i suoni che decidi di utilizzare per l’arrangiamento, lo sono di più. Spesso uso strumenti molto vintage, molto retrò se vogliamo, lo faccio proprio per lavorare sull’eleganza. I nuovi strumenti, quelli più recenti per produzione almeno, spesso hanno un suono vicino all’orribile – almeno secondo la mia opinione.
Forse il problema sono queste nuove macchine digitali…
Sì, di base il problema è proprio quello, almeno per il tipo di musica che faccio io. Queste nuove macchine digitali, questi nuovi programmi per fare musica, molto spesso non fanno altro che imitare il suono di vecchi strumenti rendendoli freddi ma soprattutto appunto rendendoli un’imitazione. Se devo suonare un’imitazione di un suono del passato, preferisco suonare direttamente con i suoni e gli strumenti del passato: almeno so che sono originali.
“Concrete And Glass” è un disco che parla o che comunque è dedicato ad un certo tipo di architettura. Ho sempre pensato ci fosse un sottile filo rosso che lega la musica all’architettura, secondo te qual è?
Credo sia lo spazio, lo spazio tra le cose. Nell’architettura lo spazio può essere definito da due muri, nella musica da due note; in questo spazio puoi stabilire delle distanze e dentro queste distanze puoi andare a creare stati d’animo, passioni, definizioni, che vanno dalla tristezza alla gioia. Puoi creare cose bellissime o terribili all’interno di questo spazio.
Nel disco ci sono due tracce dedicate esplicitamente all’architettura: una Van De Rohe e la seconda alla Case Study House #21. Cosa ti ha portato a queste scelte?
Inizialmente tutto nasce dal fatto che un amico dovesse fare una mostra sulle Case Study House e mi aveva chiesto di comporre la musica per questa mostra. Successivamente, mentre scrivevo queste musiche preparate appositamente, ho iniziato a pensare che volevo della musica ascoltabile senza saperne l’influenza o da dove venisse, che tipo d origine avesse avuto. Volevo qualcosa che si distaccasse (almeno in minima parte) e che fosse indipendente dal progetto originale.
Il manifesto di Van De Rohe era “Less is more“. Io ritrovo questa idea anche nel tuo nuovo lavoro, come in realtà in tutti i tuoi lavori. Io credo personalmente che sia un concetto giustissimo, anche perché secondo me l’essenzialità è sempre simbolo di innata eleganza…
Ho sempre pensato che la mia musica dovesse essere sempre molto pulita, chiara. Io credo che il concetto di “Less is more” sia un qualcosa di molto vero e sopratutto molto cool. Non è facile applicarlo, me ne rendo conto, io stesso faccio musica con un sacco di cose, ma l’essenzialità rimane il mio spirito.
Forse molto spesso la musica di questi tempi ha dimenticato il concetto di “Less is more“…
Penso tu abbia ragione, soprattutto nella musica elettronica è pieno di queste sovrastrutture. Si penso si dovrebbe riapplicare meglio questo concetto (ride, ndi).
Van De Rohe applicava un’altissimo concetto di spiritualità alle sue costruzioni: ho ritrovato la stessa cosa in “Concrete And Glass”, così come in tutti i tuoi lavori sia da solo che con gli Air. Quando ho sentito per la prima volta i fiati di “What Make Me Think About You” ho avuto quella sensazione di famigliarità, di casa…
E’ divertente questa cosa! Rifletto un sacco, quando faccio musica, proprio sul tipo di composizione che sto per scrivere. Quando invece non penso troppo e faccio le cose in maniera naturale, i pezzi che vengono fuori sono esattamente come “What make me think about you”. Credo che fare pezzi di quel tipo sia ormai il mio stile e anche lo stile degli Air: è qualcosa che fa parte della mia naturalità, che mi viene spontaneo.
Lo sai che i fan degli Air impazziranno per questo pezzo, penso dovrebbe essere il prossimo singolo…
E’ esattamente quella l’idea
“Foundation” è immaginata più che dedicata o costruita, pensando all Case Study House #21, cosa ti ha portato fino a lì ci sei mai stato?
Dietro c’è sempre quel progetto di fare della musica per la mostra del mio amico, per cui poi tutto nasce da lì. Ho avuto l’occasione di visitarla, ed è stata una grande esperienza. Riesci a vivere delle sensazioni particolari riguardo agli spazi e alla familiarità di cui parlavamo prima, c’è un architettura che si lega molto al concetto di musica. E’ una cosa che capisci molto bene una volta che ci entri.
Non deve essere molto semplice fare musica ispirandosi ad un progetto architettonico, o sbaglio?
No! Devo sincero, quando ho pensato per la prima volta a “Foundation” avevo creato un suono diverso, o per lo meno avevo un’idea leggermente diversa. Abbiamo avuto due diversi processi di creazione: il primo in cui ho scritto le musiche e le armonie che mi ispirava quella casa, il secondo in cui abbiamo pensato alla parte cantata e alla canzone vera e propria. Non ti nego che la strada presa sia diventata alla fine leggermente diversa rispetto a quello che avevo immaginato inizialmente: se ci fai caso è una canzone che si sposa anche per altre situazioni.
(Eccolo, il lavoro solista “architettonico” di Godin; continua sotto)
La tua musica, e parlo anche di quella con gli Air, è sempre stata influenzata dallo spazio dalla galassia e da suoni che pre provenivano da quell’immaginario. Posso chiederti se con questa nuova corsa allo spazio, mi riferisco ad esempio ai progetti di Elon Musk, possa trasmettersi nuovamente anche alla musica con nuove suggestioni o una ripresa di quei vecchi riferimenti quando lo spazio era davvero la “nuova frontiera”?
Non penso, sai? Sono cresciuto negli anni con questo enorme interesse per lo spazio, fantasticando, credendo, immaginando – e nulla è davvero successo. Ora le cose sono cambiate, penso la colpa sia sopratutto di internet. Internet ha distrutto inconsapevolmente la nostra immaginazione prospettando un futuro molto diverso, radicalmente innovativo. Di conseguenza la corsa allo spazio non ha più quell’immaginario fantastico che poteva avere una volta.
Ho solo un’altra domanda per te, la classica domanda da un milione di dollari, quella che ti fanno tutti: ci sarà un nuovo album degli Air?
Prima di rispondere voglio vedere il milione di dollari, anzi dammi un milione di dollari e facciamo un nuovo album degli Air!
Non sono così ricco e poi me ne servirebbero due uno per gli Air e l’altro per i Daft Punk…
Sì, in effetti sono un sacco di soldi….