Dopo un periodo di silenzio piuttosto lungo, sembra che i Prodigy siano tornati prolifici più che mai, col terzo album in sei anni, ma siamo sicuri che sia una cosa positiva?
Certo, la voce del fan dentro di noi urla a pieni polmoni che di album dei Prodigy non ce ne sono mai abbastanza e ne vorrebbe sempre di più, ma cosa dice la voce un po’ più obiettiva e razionale, quella che li aveva dati per morti dopo “Always Outnumbered, Never Outgunned”, che loro stessi hanno disconosciuto, che ne celebrava la resurrezione dopo “Invaders Must Die” e che dopo “The Day Is My Enemy” era preoccupata e incuriosita su cosa potessero fare Liam, Keith e Maxime da lì in avanti?
Ecco, quello che speravamo facessero non era di certo questo.
“The Day Is My Enemy”, diciamocelo, era chiaramente un disco follow-up, il messaggio che dava era senza mezzi termini che il disco precedente aveva funzionato benissimo e valeva la pena calcarne le orme pedissequamente sperando di aver trovato un filone proficuo: ok, ci può stare, non vuol dire che fosse necessariamente un album brutto, e intendiamoci, nemmeno “No Tourists” lo è: “No Tourists”, purtroppo, è persino peggio di un disco brutto.
C’è una sola cosa al mondo peggiore dei dischi brutti, infatti: i dischi irrilevanti, i dischi “more of the same”, i dischi che ti prendono apertamente per il culo cercando di propinarti sempre la stessa roba.
“No Tourists” è un disco che potrebbe tranquillamente essere una raccolta di b-side di “The Day Is My Enemy”, che a sua volta poteva essere una raccolta di b-side del precedente: i suoni sono gli stessi, quando non sono addirittura riciclati e citazionisti dei tempi belli in cui Liam era giovane e incazzato, ma è proprio lì che sta il problema.
Che credibilità vuoi avere facendo il giovane e incazzato quando ormai hai le rughe e la panza e, soprattutto, quando li ha il pubblico a cui ti rivolgi? Certo, a tutti piace ricordare la propria adolescenza e al richiamo della nostalgia, per quanto deprecabile, è sempre difficile resistere, ma purtroppo per Liam Howlett e soci questo agglomerato di cover sbiadite dei propri successi migliori non è una buona risposta per il richiamo della nostalgia, anzi, è un rischio enorme, perché fare un disco che cerca disperatamente di suonare come “Music For The Jilted Generation” non può che essere un fallimento annunciato.
Non solo perché quello è un album infinitamente più bello, interessante e innovativo di questo, ma perché dire al proprio pubblico “Ehi ragazzi, vi ricordate, siamo ancora quelli di quando avevate vent’anni e ascoltavate ‘Voodoo People‘?” non può funzionare, perché siamo noi a non essere più quelli lì, è il mondo a non essere più quello lì.
Certo, ci rendiamo conto di chiedere tantissimo ai Prodigy quando chiediamo loro di sapersi reinventare, dopo quasi trent’anni da “Experience”, per l’ennesima volta, quando chiediamo loro di rischiare di morire e risorgere ancora osando e andando verso territori inesplorati, ma è questo che ci aspettiamo da loro in fondo: non pensiamo saremmo mai arrivati a un’affermazione del genere, ma era molto meglio un disco come “Always Outnumbered, Never Outgunned”, malriuscito e bruttarello ma che almeno provava a fare cose diverse dal solito, di questo che invece è sempre sempre sempre la solita roba, trita e ritrita, edulcorata e nemmeno troppo ispirata.
Abbiamo bisogno davvero di altre tracce con le percussioni prevedibili, un sample pitchato alto che fa tanto hardcore anni ’90 e Maxime e Keith che bofonchiano cose a caso credendoci ogni volta un po’ meno? C’avete cinquant’anni, amici miei, pensate davvero di poter blaterare ancora “civil unrest, grab the bulletproof vest“? Certo, probabilmente dal vivo lo faranno ancora e saranno ancora sempre credibili, perché li abbiamo visti più di una volta, anche di recente, e quando Keith urla “I’m the firestarter, twisted firestarter” lo diventa veramente, ma sappiamo tutti benissimo che lo diventa perché siamo noi a guardarlo con gli occhi di quando il video di “Smack My Bitch Up” passava solo a notte fonda su MTV perché era troppo violento, non perché davvero sia un individuo pericoloso.
Un individuo pericoloso e rivoltoso promuoverebbe forse il suo settimo album con l’ennesimo tour gigantesco, in venue da decine di migliaia di persone a prezzi non proprio da adolescenti ribelli? Intendiamoci, non siamo gli integralisti dell’underground che apprezzano la musica solo quando viene suonata in scantinati luridi di fronte a quattro persone, tutt’altro, ma è questa via di mezzo, questo spacciarsi per ribelli presentandone una versione edulcorata e imbolsita, che non riusciamo davvero a tollerare, perché è insignificante, non dice niente se non che non c’è più niente da dire.
Proprio parlando della dimensione live, dalla quale non si può prescindere parlando dei Prodigy visto che siamo comunque pur sempre di fronte a uno dei migliori gruppi live del panorama elettronico, è molto semplice rendersi conto di quanto sia irrilevante “No Tourists”: ascoltandolo, riuscite a immaginare anche solo una delle sue dieci tracce, tra altri vent’anni, nella scaletta del tour del diciassettesimo album? Noi francamente non riusciamo a immaginarcele nemmeno nella scaletta del tour dell’ottavo album, il prossimo, che speriamo arrivi presto.
È triste vedere i Prodigy così, anche perché per un attimo avevamo pensato che non fossero solo ribellione adolescenziale: “Invaders Must Die”, che col senno di poi è uno dei picchi più alti della loro ormai lunga discografia, è un disco che non era solo incazzatura, aveva diverse soluzioni di quella classe cristallina che Liam ha sempre avuto, mostrava in più di un’occasione quel talento nel mettere in fila pattern ritmici che non fossero mai prevedibili e che risentiti oggi e messi di fronte ai bolsi amen break di cui è pieno “No Tourists” sembrano davvero prodotti da una persona di un altro livello, da una persona che saprebbe fare qualunque genere se volesse, e l’ha fatto in passato, mentre ora è diventata l’anziano del bar del paese che ripete sempre lo stesso aneddoto su quando lui era giovane e saltava i fossi per il lungo.
Pensavamo potessero crescere, guardare avanti, diventare grandi con noi, seguirci nel nostro percorso, invece hanno deciso di guardare indietro, di restare sempre uguali a se stessi peggiorando e invecchiando male: hanno deciso di diventare come quelle cariatidi del rock che buttano fuori un disco ogni paio d’anni, frettolosamente e senza ispirazione, solo per avere la scusa per fare un tour nuovo in cui suonare la propria “Albachiara” e far contenti tutti i fan di vecchia data. Si può immaginare una fine peggiore per un gruppo che ha fatto la storia mandandole affanculo, le vecchie cariatidi del rock?
Foto di Mike Van Cleven