Per chi c’era, negli anni ’90, soprattutto nella prima parte degli anni ’90, non c’è bisogno di grandi introduzioni. “C’era un calore, un’energia, una voglia di divertirsi che oggi sarebbero quasi inimmaginabili. Lasciavamo fuori ogni sabato almeno 1000 persone, mentre dentro ce n’erano fra le 4000 e le 6000. Le persone passavano tutta la settimana, tra un sabato e l’altro, a pensare a come vestirsi per andare all’Insomnia, e se non si impegnavano abbastanza i miei selector non li facevano entrare. Arrivavano pullman dalla Sicilia, navi dalla Sardegna: oggi pare assurdo. Ma è stato veramente così”: se volete un buon riassunto della storia dell’Insomnia, potete leggerlo qui. Ma questa è un’intervista che parla dell’oggi, del presente: la scusa è la serata del 10 agosto in Versilia (qui tutti i dettagli) dove si festeggia il venticinquesimo anniversario della serata. Non è il primo evento-reunion, tra l’altro, anche se qua l’anniversario mette in campo una data importante, il giro di boa del quarto di secolo; e in generale proprio da questo siamo partiti in una tavola rotonda con Antonio Velasquez (un po’ il “primo motore” emotivo ed organizzativo di ciò che è stato l’Insomnia), Francesco Farfa (un dj leggendario, e persona di bella umiltà e schiettezza), Gianni Bini (all’epoca dj all’Insomnia e non solo, col tempo diventato uno dei più apprezzati produttori in Italia e all’estero, grazie anche al sodalizio con Paolo Martini in Bini&Martini, vedi anche alla vode Ocean Trax), Ricky le Roy (una delle colonne del collettivo Metempsicosi, attivissimo come dj ancora oggi) Luca Pechino (uno dei principali agenti italiani, con l’agenzia Reflex, ma pure protagonista da sempre da vocalist nei migliori giri toscani, giri che hanno fatto la storia del clubbing italiano). E’ venuta fuori tanta roba. Tutto tranne che uno semplice spot della serata, ecco. Per ricostruire una sana scena da club in Italia, bisogna (anche) ripartire da chiacchierate come questa. Non per guardare al passato, no, ma per capire meglio come migliorare il futuro.
Allora, vado subito al punto – il punto più potenzialmente critico. Ok, venticinquesimo anniversario dell’Insomnia, (quasi) tutti insieme di nuovo, grande festa il 10 agosto in Versilia. Bene. Ma: come si fa evitare il mero effetto-nostalgia? Come si fa ad allontanare il sospetto che sia solo un ritrovo di eroi ormai passati, oggi molto meno incisivi di un tempo, e che vogliono sfruttare giusto l’onda dei ricordi?
AV: Facciamo notare una cosa, molto semplice: probabilmente, se fosse un mero sfruttare l’effetto-nostalgia, non saremmo mai arrivati alla settima edizione di queste reunion dopo la chiusura del club Insomnia vero e proprio. Quello che offriamo è un mix di idee e suggestioni musicali, artistiche, energetiche che sì, un’energia che c’è stata e celebriamo, sì, ma che c’è ancora oggi. Questo è il punto, questo è il segreto, questo è il motivo per cui il brand Insomnia non è mai morto. Un brand che ha saputo rinnovarsi negli anni: con la musica, ma non solo. Rinnovamento che ha reso possibile una serie duratura negli anni di performance, di tour, di eventi. E che chissà cosa altro potrebbe riservare in futuro.
Insomma, non escludi nulla, nessuno sviluppo ulteriore.
AV: Non escludo nulla.
Ma le “energie negative” che avevano portato nei primi anni del nuovo millennio alla chiusura dell’esperienza, inteso come appuntamento fisso in un ben preciso luogo, sono state archiviate, superate?
AV: Sicuramente fanno parte del passato: e te lo dico con cognizione di causa, perché quelle “energie negative” erano state messi in circolazione da me in prima persona. E’ stato probabilmente il periodo più bello della nostra vita, quello dell’Insomnia, sia chiaro. Dieci anni intensi: dal 1992 al 2002. Ma ad un certo punto, non aveva più senso andare avanti: non in quel momento, non in quel periodo, non nel modo in cui stava accadendo. Del resto tutte le cose belle finiscono, ma cose ancora più belle possono rinascere… no? Però attenzione: rinascere non esclusivamente dalle ceneri di quello che è stato, partendo solo ed unicamente da quello. Assolutamente no. Le cose possono rinascere solo da energie attuali, contemporanee, vive, presenti; le cose possono rinascere sì da quello che noi abbiamo vissuto e possiamo raccontare, e magari vogliamo far rivivere, ma solo se riusciamo a farle rivivere in chiave moderna. E guarda, non parlo solo di musica. L’Insomnia era un’esperienza totale. Oggi non c’è più un certo tipo di attitudine, è tutto un po’ “nero”, sia nella musica che nel modo di vestirsi: mancano quel colore, quel calore, quella energia, quella positività, quel senso di famiglia che contraddistinguevano l’esperienza Insomnia – e che portava persone da Genova a Palermo a venire da noi, in Toscana, il sabato. Oggi tutto questo mi pare non ci sia. Per vari motivi, diciamo.
Forse è lo stesso pubblico che non è abituato più a chiederlo, a pretenderlo, e pensa se ne possa fare a meno. Anzi: pensa sia normale se ne possa fare a meno.
LP: Ecco, qua fatemi intervenire, perché questo è un argomento che mi tocca molto: io so di essermi attirato anche molte antipatie per il mio rifiuto, veramente drastico, del concetto di “nostalgia”. Per me ogni giorno deve essere una novità, una scoperta, un percorso da costruire; e questa filosofia di vita cozza pesantemente con chi invece trova giusto e confortevole tirare fuori cose che del concetto di nostalgia si nutrono, che in esso trovano la principale ragion d’essere. Se io voglio fare parte di questa avventura dell’Insomnia, oggi, è per un motivo ben preciso, ed è un motivo ben legato alla contemporaneità: ovvero, far capire a chi oggi frequenta i club e la club culture che sì, ci sono cose importanti che si sono perse. Cose che vanno recuperate. Ma non solo per rimirarle, lodarle, dire quanto erano belle: zero. Serve recuperarle per sistemare ciò che c’è oggi. Questo è il punto.
Per trovare ad avere nuove ispirazioni, nuove suggestioni.
LP: Ci sono ispirazioni e suggestioni che sono completamente venute meno. E questo è successo in un momento ben preciso: quanto tutto il nostro mondo è andato a finalizzarsi, come attenzione, sul volto di un artista. Lì si sono perse tante ma tante di quelle cose. E’ stato uno snodo purtroppo cruciale. Lo accennava prima Antonio: ok, gli artisti, sì, sono fondamentali, sono importanti; ma lo sono solo se fanno parte di un patchwork, di un insieme di elementi, elementi che solo se venivano messi tutti assieme potevano creare qualcosa di eccezionale, di unico… mica come oggi che pare ruotare tutto attorno alla figura di chi suona, del guest. Ecco, questa è una dinamica che vorrei venisse recuperata. Non la nostalgia, non la celebrazione del “come eravamo”, di quello non mi interessa nulla, anzi, mi dà fastidio solo l’idea. Se fare una reunion dell’Insomnia serve ad influenzare il qui e ora, il come si possono sviluppare le cose in futuro, allora sì, ci sto; se fare una reunion dell’Insomnia serve a far capire come ci siano degli aspetti e delle dinamiche che sia dannatamente importante recuperare per cambiare le cose ora e per il futuro prossimo, allora ci sto, e ci sto volentieri. Appena mi verrà il sospetto che diventerà invece come altre situazioni “remember” in giro, che servono solo a tirare fuori il fazzoletto, commuoversi e rimpiangere i bei tempi andati, ecco, stai sicuro che non mi ci vedrete più: perché io queste situazioni le contesto, non ho la minima intenzione di finire col farne parte.
Che poi non è che l’Insomnia tenesse per forza in secondo piano gli artisti; anzi, è proprio con l’Insomnia che la vostra popolarità personale è decollata, no?
FF: Io credo che uno degli elementi sempre fondamentali sia comunque un buona botta di fortuna. Sì, la bravura, ok; ma ci vuole la “botta di fortuna”. E occhio, la “botta di fortuna” è qualcosa di diverso dalla “botta di culo”. La “fortuna” è altro: è anche la sorte, il destino, qualcosa che ti accompagna in un percorso e tu non puoi nemmeno sapere se te lo meriti o no ma c’è, è lì. A me è andata bene, sì, ho avuto la fortuna girata dalla mia parte. Perché proprio agli inizi-inizi ho incontrato persone che mi hanno permesso di andare subito a suonare all’estero, cosa che è stata un’esperienza molto formativa. Ad un certo punto, guarda, sembrava quasi tutto magico, le cose parevano accadere da sole: 1991, prima Parigi, poi tutta la Francia, poi l’Insomnia… Quando ho iniziato all’Insomnia ero più conosciuto in Francia che in Italia, pensa un po’. Ma l’Insomnia ha fatto comunque un grande lavoro d’immagine, devo riconoscerlo, certo. Io all’epoca ero scettico su questo aspetto, dicevo spesso una frase ben precisa: “Che ci faccio dell’immagine? Ci mangio? La metto nel pane?” Per me il lavoro era lavoro, l’immagine un’altra cosa: sarà perché vengo da una famiglia di commercianti, gente molto concreta, e io avevo un po’ assorbito questa cosa qua. Ma col senno di poi ho capito che il lavoro sull’immagine, sul mio profilo di artista, ha poi avuto una ricaduta positiva anche sul lavoro in sé. Devo in ogni caso assolutamente confermare quello che dicevano Luca ed Antonio: è stato un contesto dove assolutamente tutti gli ingranaggi del meccanismo erano fondamentali, tutti. Sì, gli artisti, noi resident, chi alla main room, chi nel privé; ma a rendere speciale l’Insomnia era il lavoro di tutti, nessuno escluso. La macchina era talmente completa e potente che alla fine tutti se ne giovavano e tutti tiravano fuori il proprio meglio, ma questo succedeva solo perché, appunto, ciascuno era indispensabile. Sennò non sarebbe stato tutto così efficace, così forte. Ed efficace e forte lo era, accidenti se lo era… non dimenticherò mai quando, all’inaugurazione, ho messo fuori la testa dal locale, e ho visto 3000 persone nel parcheggio che aspettavano di entrare, e già stavano ballando. Sai, oggi si pensa di essere tutti bravi, di aver visto, fatto ed inventato tutto; è sbagliato parlare di nostalgia, assolutamente, ma non posso fare a meno di sottolineare che ciò a cui oggi si arriva con strategie, trucchi ed “aiuti” vari dal punto di vista del marketing e degli investimenti un tempo invece avveniva da sé, spontaneamente. Sai qual è il punto, invece, sul perché poi le cose sono terminate?
Dimmi.
FF: Abbiamo avuto tantissimi problemi come ordine pubblico, all’Insomnia, all’epoca. Se invece ci fosse stata collaborazione e aiuto da parte delle forze dell’ordine, delle istituzioni, delle amministrazioni locali, se ci avessero formato, se ci avessero aiutato a gestire meglio certe situazioni spiegandoci come fare, io sono convinto che l’Insomnia ci sarebbe ancora oggi, regolarmente. In Francia l’hanno capito subito, che questa cosa del clubbing era un fenomeno importante; hanno segato il fenomeno dei rave, sì, ma dopo hanno iniziato a dialogare coi club. Hanno iniziato a pianificare, a creare dei progetti, ad avere una visione complessiva del fenomeno. Sarebbe dovuto accadere anche in Italia, sarebbe dovuto accadere anche a noi all’Insomnia: evitare ad esempio di costruire case attorno al locale, decidere di creare lì una vera e propria “zona del divertimento” con spazi pubblici, per i bambini, da usare di giorno; creare insomma un vero e proprio distretto del divertimento. Perché noi, come Insomnia, eravamo una risorsa. Economica ed artistica. Guarda Ricky, che ancora oggi è un dj sempre in giro; guarda tutto quello che ha fatto Luca, ma guarda anche Gianni, che magari non fa più il dj ma è uno dei produttori più importanti d’Italia e forse d’Europa: c’era spessore, all’Insomnia, capisci? C’era di mezzo gente notevole… E’ stata una storia importante: che se solo fosse stata aiutata, poteva continuare ad andare avanti e dare altri frutti importanti, invece di spegnersi dopo dieci anni.
AV: Se ci avessero aiutato, sono convinto che la nostra presenza e il nostro persistere avrebbero spostato gli equilibri e le dinamiche del clubbing italiano, facendo da esempio virtuoso. Non ci sarebbe stata questa colonizzazione operata dai guest stranieri, che da un certo momento in poi sembravano (e sembrano) l’unico modo per fare il salto di qualità. Col risultato che però oggi arrivano a chiedere cifre stellari, perché – come ovvio – non hanno legami particolari col territorio, loro arrivano da fuori, a loro e ai loro management interessa prima di tutto monetizzare.
Cosa che in effetti non fanno quando suonano “a casa loro”. Vedi appunto il fenomeno dei Dettmann o Villalobos che a Berlino suonano per cifre ridicole.
AV: Esattamente. Si fosse creduto nel modello-Insomnia, le vere guest sarebbero stati i i dj resident. Le guest straniere ci sarebbero state comunque, assolutamente, nessuno ne vuole disconoscere l’importanza, ma non sarebbero state così centrali e, quindi, strapagate. Oggi per mettere in piedi un evento di un certo tipo e di certe dimensioni ci vogliono investimenti iniziali enormi, soprattutto se di mezzo c’è un festival: senza sponsor non vai da nessuna parte. Tra spese di produzione e spese artistiche hai bisogno di sponsor che ti diano una mano, non ce n’è, col solo incasso non riesci ad arrivarci, senza contare che parecchie spese vanno affrontate in anticipo. Luca lo sa bene, visto che assieme a Leo Brogi ed altre persone dà vita ad uno principali festival dance d’Italia, il MiF: un lavoro preparatorio di mesi, con pure il rischio molto concreto che le cose non vadano per il verso giusto, creando danni veri. L’Insomnia invece, quando marciava a pieno regime, era come se ogni sabato ci fosse un vero e proprio festival di musica elettronica: ogni sabato arrivavano da noi tra le 4000 e le 6000 persone, capisci? Tutto questo senza che avessimo le basi economiche e di know how che sono necessarie oggi, altissime!, per creare qualcosa che raduni un tale numero di persone. E anzi, oggi se miri a fare quei numeri lì ti metti comunque in una posizione in cui il break even è altissimo e quindi il rischio di “farsi male” è veramente alto, andando gambe all’aria subito, dall’inizio.
Se ci avessero aiutato, sono convinto che la nostra presenza e il nostro persistere avrebbero spostato gli equilibri e le dinamiche del clubbing italiano, facendo da esempio virtuoso. Non ci sarebbe stata questa colonizzazione operata dai guest stranieri
LP: Ecco, questa attenzione spasmodica sulle guest straniere, sulle star della console, ha spento la luce su tutto il resto. Oggi c’è una crisi d’identità drammatica, in giro. Non voglio far nomi, non serve far nomi: dico semplicemente che se un club fa un artista internazionale di peso, farà presumibilmente buoni numeri (almeno come ingressi, perché poi appunto se andiamo a vedere i conti economici finali non è per nulla detto che si vada a guadagnare, visto quanto si spende in artistico…), ok; ma se questo artista viene a suonare un mese dopo in un anonimo capannone nella stessa zona, il capannone sarà pieno, il club resterà vuoto. Questo fa capire come i club, in questa corsa alla guest, non stanno lavorando davvero per costruire una propria identità solida. No: si prestano più che altro a diventare un contenitore dove l’artista in questione può moltiplicare ulteriormente il suo peso sul mercato, la sua importanza. Originariamente posti come l’Insomnia, il Kama, il Jaiss – tanto per parlare della Toscana – non basavano la loro fama e la loro importanza solo sulla fama di chi ci suonava. Certo, all’Insomnia ci andavi anche perché c’era Farfa e sapevi che ti avrebbe fatto esaltare musicalmente, ma Farfa era solo un colore di un quadro più vasto: un quadro dove contavano anche l’atmosfera, il pubblico che si radunava. Ad attirarti all’Insomnia era l’Insomnia tutto, non solo chi suonava o non suonava in console.
RLR: La gente andava all’Insomnia per essere all’Insomnia, non per sentire me, non per sentire Ricky Le Roy.
LP: Ma infatti, non puoi andare ad un club come se andassi ad un concerto.
Ma questa è la dinamica che oggi va per la maggiore?
LP: In un club, il dj set deve essere solo un elemento fra tanti, non l’unico motivo che ti spinge a venire, ad esserci.
FF: L’approccio della gente è cambiato. Ok, va bene. Ma perché è cambiato? Se io dispongo un club con l’attenzione tutta incentrata sulla console, come se fosse il palco di un concerto, porti la gente a concentrarsi solo su punto, questa è la verità. Si concentra sulla console: non sul ballo, non sulla musica. Tant’è che oggi bisogna sempre più mettere in campo video, proiezioni, effetti speciali a supporto dell’esibizione del dj, mentre invece prima la cosa più bella che potevi fare era chiudere gli occhi e tuffarti con tutte le tue emozioni nella situazione, nel suono, qualcosa che peraltro poteva accadere solo se gli elementi erano veramente distribuiti attorno a te, non concentrati in un unico punto. Oggi il risultato è che è perfino cambiato il modo di ballare delle persone: guarda i filmati su YouTube, vedrai sempre persone che sono rivolte verso la console, magari alzano le mani e urlano, ma i piedi sono fermi, non si muovono. Oh, va bene eh, ognuno balla come preferisce, la mia non è una critica; ma non posso fare a meno di notare che quella cosa della musica come esperienza trascendentale, che ti faceva proprio finire in un altro mondo, dandoti profondità emotive incredibili, e che ti spingeva ad abbandonarti ad essa, è sempre più rara.
Non solo insomma altre componenti di un club sono diventate meno importanti (l’architettura, il personale, le performance), ma la musica stessa in qualche modo è diventata una esperienza diciamo diversa, se non proprio direttamente meno intensa.
FF: Beh, a noi come dj fa un po male vedere che la gente non si abbandona più alla musica come un tempo. Quindi sì, sono davvero convinto che bisogna cercare di riequlibrare alcune dinamiche, sì. E non dico questo perché noi siamo più bravi, più intelligenti, quelli che la sanno più lunga, zero; è che io sono abbastanza sicuro che se parli con la stragrande maggioranza dei dj che suonano ancora oggi ma che già negli anni ’90 suonavano parecchio, ti direbbero esattamente questo: ti direbbero che gli manca un po’ l’atmosfera di un tempo. E un po’ vorrebbero tornare indietro.
Oggi bisogna sempre più mettere in campo video, proiezioni, effetti speciali a supporto dell’esibizione del dj, mentre invece prima la cosa più bella che potevi fare era chiudere gli occhi e tuffarti con tutte le tue emozioni nella musica, nella situazione
Eh. Per tornare indietro, bisognerebbe (anche) tornare indietro ad un sistema dove esattamente questi dj si portano a casa meno soldi, a fine serata.
FF: Guarda. Anche fra le persone che stanno a questo tavolo, qualche soldino lo si è fatto, no? In generale, allora, dipende dall’uso che vuoi fare del denaro: se vuoi speculare, fare investimenti, allora ci sta che non ti basti mai, che tu voglia aumentare sempre di più i tuoi guadagni; me se invece non hai questo tipo di ossessione e di necessità, io credo che sia un cambio vantaggioso quello di vedere diminuire un po’ i propri guadagni ma ritrovare un certo tipo di intensità, di atmosfera.
Domanda per tutti: com’è cambiato il pubblico nei club, in questi anni? Bene o male suonate tutti regolarmente, siete ben addentro alle dinamiche della club culture attuale, con l’eccezione parziale forse di Gianni. Quindi direi che avete un osservatorio privilegiato, avete tutte le possibilità di fare raffronti fra quello che c’era un tempo e quello che c’è oggi, come del resto già si sta facendo…
LP: Proseguo il discorso di Francesco: è cambiato il modo di stare nei club. Devo comunque dire che le feste Insomnia fatte in questi anni, almeno quelle fatte fino ad oggi, hanno sempre avuto modo di ricreare l’atmosfera e l’attitudine secondo me giusta.
La ricreano anche nei ventenni? In chi quando l’Insomnia era al suo apice non era magari nemmeno nato, o andava all’asilo?
AV: Soprattutto in loro.
LP: Li vedo. Ballano diversamente, si muovono diversamente, vestono diversamente, ballano anche se sono in fila al bar ad aspettare un drink, non solo quando sono davanti al dj e alzano meccanicamente le braccia…
FF: Il fatto che a questa serate Insomnia ci sia sempre un grande numero di giovani, di ventenni, è un enorme valore aggiunto. Se tu facessi solo una festa per i senior, per quelli che all’Insomnia “vero” c’erano, beh, sarebbe un grosso problema, credimi. Perché persone di questa età, diciamolo, tendenzialmente vengono spesso con l’idea di provare a rivivere per una notte le stesse sensazioni e le stesse emozioni di venticinque anni fa: oh, non c’è errore peggiore. Perché se io o Ricky o chiunque altro di noi dj mette un disco vecchio oggi, che tu lo voglia o meno, non lo senti con le orecchie di allora: lo senti con le orecchie di oggi. La vera ricchezza ai brani vecchi la dà invece il pubblico nuovo, che si approccia a certe cose sentendole la prima volta (almeno in pista, perché poi magari le ha ascoltate su YouTube, ne ha letto o sentito parlare…), e riesce quindi a dare a certi brani una vibrazione completamente nuova. Queste dinamiche sono molto virtuose, quando nascono in pista. Anche perché compensano sempre quel senso di delusione che i senior di cui prima ad un certo momento metteranno sempre in circolo, quando si renderanno conto che per quanto si sforzino certe sensazioni no, non tornano, non possono tornare, non torneranno mai. E infatti lo vedi: sono loro che dopo due ore abbandonano, se ne vanno, e non perché sono stanchi, no, ma perché si sono resi conto che quello che pensavano di trovare, beh, non l’hanno trovato. Ma non è colpa della serata in sé: è colpa dello spirito con cui loro sono arrivati alla serata. Lì sta il problema.
(continua sotto)
Gianni, sei stato silenzioso finora…
GB: Beh, condivido assolutamente tutto quanto detto finora dai miei colleghi. Soprattutto ciò che dice Luca. Tu ci chiedevi all’inizio: come si fa ad evitare l’effetto-nostalgia? Beh, la risposta è molto semplice: non suonando solo i dischi vecchi, i dischi di allora. Qualche brano dell’epoca ci può stare, nell’arco della serata; però ecco, guardaci, abbiamo chi più chi meno sui cinquant’anni, viviamo tutti di musica – io magari più producendola che suonandola, oggi, ma sempre di musica vivo – nel riuscire a fare questo l’esperienza all’Insomnia è stato uno snodo cruciale. Se siamo ancora qua, se giriamo ancora il mondo grazie alla musica, non è perché ci siamo incaponiti a suonare sempre e solo le robe di quegli anni lì. No: è l’esatto contrario. Quindi no, non ci sarà l’effetto-nostalgia a questa serata per il venticinquesimo anniversario dell’Insomnia, perché se siamo fedeli a noi stessi e alla nostra attitudine – e lo saremo – questo rischio non c’è. A tutti noi fa piacere tirare fuori di tanto in tanto una chicca del passato, ma se si tratta di risuonare all’infinito Frankie Knuckles – pace all’anima sua – no, non contate su di noi. Tra l’altro la musica da dancefloor che c’è in giro oggi a me piace tantissimo, cosa che in anni passati non sempre ho potuto dire. Un motivo in più per suonare molta roba contemporanea.
Tu ci chiedevi all’inizio: come si fa ad evitare l’effetto-nostalgia? Beh, la risposta è molto semplice: non suonando solo i dischi vecchi, i dischi di allora
LP: Io per lavoro ascolto molti artisti in giro oggi. Guarda, ne parlavo con te Damir proprio a Berlino quando ci siamo incontrati lì l’ultima volta, commentando il post un po’ polemico che avevo pubblicato in quei giorni su Facebook: sono abbastanza deluso dal fatto che stiano tornando così di moda certe tracce un po’ datate. Mi è capitato di sentire recentemente un paio di artisti oggi quotatissimi, al vertice assoluto: beh, li ho sentiti in set in cui l’80% di quello che hanno suonato era roba vecchia. Quando siamo stati al MiF, ho invitato Ricky. Entrambi eravamo curiosi di sentire uno degli headliner, che è un po’ il dj del momento. Inizia a suonare, e Ricky mi fa “Luca, ma io questa la suonavo nel 1992”, due dischi dopo “Questa invece nel 1994…”. Allora la domanda che mi faccio: ma la musica non è andata avanti, in questi venti, venticinque anni?
Diciamo che oggi c’è più il gusto e l’arte della citazione, una caratteristica di questi anni, che prima – negli anni ’90 – non c’era.
LP: Beh, e allora permettimi di fare il polemico. Com’è ‘sta storia che se un determinato pezzo lo mette la Kraviz allora lei è un genio ed è una bomba, mentre se lo mette Ricky “Eh, ma vedi, è superato, non ci sta più dentro”? Questo usare in modo così smaccato due pesi e due misure mi dà decisamente a noia. Ed è dovunque.
FF: Ed è giusto che lo dica tu, Luca, che sei il meno dj fra di noi, la tua attività è soprattutto altro, e comunque ad alti livelli, come agenzia. E sei sempre in giro, per vedere l’aria che tira. Perché se queste cose le dice un dj della nostra generazione, se le dico io, può sembrare la classica rosicata. Il punto è che mettere il disco vecchio bello piace a tutti; ma se lo mettiamo noi, sembriamo bolliti, se lo mettono altri invece tutti a sperticarsi in elogi.
LP: Francesco, io ho sentito recentemente un tuo set, ed è stato strepitoso.
FF: Infatti ho suonato tutta roba nuova.
LP: Io non voglio dire che i dischi abbiano una data di scadenza, che dopo tot tempo non vadano suonati più; ma mi dà molto fastidio che da un lato ci lamentiamo tutti che il clubbing è in crisi, dall’altro però rendiamo un eroe qualche dj solo perché improvvisamente riscopre dischi dei primi anni ’90. E nel farlo diventare un eroe, il suo cachet si decuplica, arrivando a prezzi che scompaginano tutta una serie di equilibri… e qui torniamo al discorso di prima.
Com’è ‘sta storia che se un determinato pezzo primi anni ’90 lo mette la Kraviz allora lei è un genio ed è una bomba, mentre se lo mette Ricky Le Roy “Eh, ma vedi, è superato, non ci sta più dentro”?
AV: Nel celebrare i venticinque anni dell’Insomnia Disco Acropoli d’Italia ogni artista suonerà assolutamente tutto quello che vorrà. Non ci sono obblighi, non ci sono forzature. Gli artisti suoneranno quello che vogliono suonare oggi, nel qui&ora. Se il disco è del 1993 o 2017 o 2018, non importa. L’unica cosa che importa è che siano a loro agio, e che quindi possano a mettere a proprio agio anche il pubblico. Le due cose sono collegate.
RLR: Tra l’altro, una nostra caratteristica è sempre stata quella di saper “guardare” bene il pubblico, interpretando la pista.
AV: Per i dj dell’insomnia è sempre stato così, e continua ad essere una regola importante ancora oggi.
RLR: Se siamo ancora qua, e suoniamo in giro, è perché facciamo così, perché abbiamo sempre fatto così.
AV: Io c’ero, quando Francesco suonava nei rave a Parigi, e ti posso dire che tra la gente adorante in pista c’erano anche personaggi che oggi hanno cachet enormi…
LP: Sì, vero, ma occhio a questo discorso. Perché è un attimo prima di finire nel discorso recriminatorio “Eh, oggi non mi cagate, ma io ero un grande, i vostri eroi di oggi era me che adoravano”, e questo non va per nulla bene. Nel mestiere di dj, ogni giorno per quanto mi riguarda si riparte da zero. Non ci sono rendite di posizione acquisite. Non ci devono essere. E’ il bello di questo settore. O dovrebbe esserlo.