Se siamo stati zitti finora, è proprio perché è un problema che ci riguarda. E chiunque abbia a che fare da vicino con un problema con radici profonde, e al tempo stesso vuole mantenere onestà intellettuale commentandolo (e non ci vuole lucrare sopra), sa che le analisi non sono mai semplici, le posizioni non non sono mai univoche e le soluzioni – ammesso che ce ne siano – lo sono ancora meno. In pratica: dopo il drammatico caso della morte di Lamberto Lucaccioni è partito un enorme polverone mediatico sulla droga nel clubbing, sono partite molte prese di posizione, si sono fatti grandi annunci di principio, il circuito dei media generalisti – ma a sorpresa, non solo quello – ha iniziato a demonizzare pesantemente vuoi il Cocoricò, vuoi la club culture, vuoi magari entrambi, sovrapponendoli.
La nostra prima posizione è stata il silenzio. E’ stata la tristezza per la morte del ragazzo, innanzitutto: perché è terribile che si muoia a quell’età, e in un modo che sarebbe stato del tutto evitabile, per mille motivi, in mille modi; è qualcosa che come prima reazione lascia senza parole. Davvero. Poi il silenzio è stato quello che serviva ad ascoltare, e a capire. Ascoltare e capire i commenti della gente, oltre che quelli degli operatori del settore: da quelli che apparivano sui siti dei quotidiani nazionali a quelli “dal basso” su Facebook della gente comune. Ascoltare e capire come fosse evidente che l’ipocrisia fosse, e sia, ancora molto diffusa. Non demonizziamo l’ipocrisia a prescindere, fate attenzione: certe volte è uno schermo a fin di bene. E’ una patina di protezione, perché nelle mani delle persone meno preparate o di quelle più in malafede strumentalizzare è facile, perdere il controllo facendosi e facendo del male è possibile. Qualche volta meglio schermare. Qualche volta l’ipocrisia è un male minore.
Tuttavia qua, da queste parti, ci sentiamo molto vicini alle faccende di club culture. Molto. Sappiamo di esserlo più dei giornalisti ed editorialisti e semplici commentatori che nelle discoteche e nei club non ci mettono mai piede o lo fanno tre volte all’anno (la stragrande maggioranza). Perché sì, sapete che c’è? Il principio di competenza dovrebbe tornare ad essere importante. E la responsabilità di informare – o anche solo commentare, badate bene – dovrebbe essere rimessa un po’ più al centro della discussione: le parole sono pietre, non sono solo un mezzo per strappare un like, ottenere una view, titillare l’animo dei lettori o supporter che non riescono ad uscire da una visione tribale della vita in cui è sempre “noi vs. loro”. Ci fa veramente tristezza – eufemismo – il meccanismo mediatico del sensazionalismo scandalizzato e scandalizzante, meccanismo che opera spesso con doppi fini e non col fine di informare e basta (lo ripetiamo: come fai ad informare su una cosa che non conosci e non capisci? Ve lo diciamo noi: cercando solo di solleticare gli istinti più bassi del lettore, così ti salvi la faccia e passi pure per eroe dei valori e dell’informazione). E non vi diciamo cosa pensiamo dei politici che cercano di strumentalizzare tutto per guadagnare consenso facile (…ma lo potete intuire, a leggere il titolo di questo nostro pezzo).
Quindi ecco, non vogliamo tirarci indietro. Abbiamo aspettato, perché non volevamo dare nemmeno il minimo sospetto di voler strumentalizzare o lucrare su un accadimento talmente triste; ma non ci tiriamo indietro. Sono molte le schegge di ragionamento che viaggiano per la testa. Le elenchiamo? Morire di droga è assurdo, ed è stupido. Chi si erge scandalizzato a demonizzare l’uso della droga da parte di artisti o semplici frequentatori di club spesso e volentieri nella sua vita ha assunto, o sta addirittura ancora assumendo regolarmente, stupefacenti. Chi deride e disprezza le persone apparentemente (troppo) drogate in realtà spesso ne è anche velenosamente e freudianamente attratto ed affascinato, vuole stare a contatto con loro, vuole stare nei posti dove si radunano, vuole averle attorno – magari per sentirsi migliore o, più spesso, perché sente il richiamo del “proibito” e lo vuole assaporare, lo vuole “leccare”, toccarlo con mano, la cosa crea un brivido di piacere ed emozione. Meccanismo vecchio. Meccanismo su cui l’industria dell’intrattenimento ha basato tre quarti delle sue fortune.
C’è anche un’altra cosa, che non è solo un pensiero ma è proprio una verità storica: le droghe hanno fatto parte della storia della club culture fin dai suoi albori. All’inizio succedeva soprattutto per motivi “ideali” (la liberazione dalle convenzioni, dalla routine quotidiana, dai limiti sociali); ora continua a succedere, e sinceramente spesso anche per motivi meno nobili. Parliamoci chiaro: ci sono musiche, club e situazioni dove se per assurdo fosse possibile con un tocco di bacchetta magica far sparire all’istante ogni forma di sostanza stupefacente, beh, i numeri all’improvviso crollerebbero verso il basso, la gente all’improvviso scoprirebbe di divertirsi molto di meno, anzi, magari proprio di annoiarsi – annoiarsi o a non essere drogata di suo, o a non avere gente drogata attorno. Quindi la droga da esperienza di liberazione diventa un ingranaggio del sistema dell’industria dell’intrattenimento. Ok. Questo slittamento c’è stato, non è uno slittamento che ci rallegra, ma è uno slittamento inevitabile dato che è fisiologicamente impossibile mantenere la purezza originaria degli intenti – e meno che meno è possibile mantenere una purezza se questa purezza si basa parecchio proprio sulle droghe, che come noto all’inizio fanno un effetto meraviglioso ma assunzione dopo assunzione, soprattutto se l’assunzione è bulimica e sistematica, diventano sempre meno efficaci e sempre più dannose, rendono sempre più sfibrato il sistema nervoso e la sua percezione delle sensazioni.
Ma la droga è un male in assoluto? Volendo, lo è. Perché semina morte, semina malesseri fisici, danni permanenti, semina paranoia ed infelicità. Ma tutte queste cose, perdonate, lo fanno mille altri agenti di questa nostra società: quante morti, paranoie e danni permanenti semina il capitalismo economico o hanno seminato il comunismo e il socialismo reale? Quante morti, paranoie e danni permanenti seminano certi dogmatismi ed oscurantismi religiosi? Quante morti, paranoie e danni permanenti semina la politica quando è guidata da corruzione, opportunismo e populismo? Avete mai provato a chiedervelo? …ed è una domanda che facciamo soprattutto a chi è sinceramente convinto che “NO ALLA DROGA”, senza se e e senza ma!, e con repressione violenta del fenomeno. Ne avreste tanti di guasti sociali da reprimere, amici. Ma tanti. La droga forse non è nemmeno in cima alla scala delle priorità.
Tuttavia attenzione: l’assioma non è “tutti colpevoli, tutti innocenti”, e tantomeno è “le sostanze stupefacenti non fanno più male di altre cose, quindi non andrebbero assolutamente tenute sotto controllo e sta al libero arbitrio di ciascuno fare quello che vuole”. Negli anni ’90 abbiamo seguito abbastanza da vicino il lungo percorso di elaborazione teorica e di messa in pratica di un regime antiproibizionista, con protagonista il Livello 57 di Bologna (storico centro sociale, coevo del Link e del TPO). Un percorso serio, approfondito, con un grande apparato intellettuale al suo servizio. Allo stesso modo, ci sono state – e ci sono – anche altre esperienze antiproibizioniste, vuoi nello spazio di un rave notturno illegale vuoi in modo più continuativo. Felici di essere smentiti, ma ad oggi ci sembra che – messi alla prova della durata nel tempo – queste esperienze non abbiano mai partorito nulla di solido. L’esperienza del Livello 57 si è sfarinata, e si è sfarinata male; l’esperienza dei rave illegali è in una fase di stanca, resiste per avamposti di nicchia ma si è impantanato, non rappresenta più una reale alternativa e una reale liberazione dai meccanismi stritolanti della società “normale” (oltre ad essere in stasi artistica). Ecco. Di questi (mezzi) fallimenti bisogna prendere atto. L’antiproibizionismo sfugge di mano anche ai più attenti, ai più esperti, alle persone con in teoria un approccio più maturo e consapevole. Figuriamoci quanti danni può fare in mano alla persona media, quella che vuole divertirsi, senza star lì a fare elaborazioni politiche-teoriche-rivoluzionarie (perché puoi anche non farle).
Dicevamo dell’ipocrisia. Sarebbe bello un mondo senza ipocrisia. Sarebbe bello un mondo dove tutti si rendono conto che molte facce “famigliari” e “perbene” che vedono alla televisione o sui giornali sono regolari consumatrici di cocaina o altre sostanze (…quanto era caro ed amato dalle famiglie il Fiorello del periodo del “Karaoke” su Italia Uno! E quanto era gonfio fino alla punta dei capelli di cocaina, maledizione. Non stiamo malignando noi, l’ha confessato poi lui stesso. Che questo esempio faccia riflettere i moralisti più incalliti – il caro e buon Fiorello di allora si drogava di più del peggior frequentatore del Cocoricò di oggi. Pensate fosse l’unico?). Sarebbe bello che anche i dj ed addetti al settore che più convintamente e in buona fede dicono “No alla droga!” convengano comunque col fatto che tra il loro pubblico, tra i loro fan, tra i loro clienti ci sono moltissime persone che in serata assumono alcool, coca, mdma o altro: onestamente, sarebbero capaci di rinunciare alla loro presenza, per amore del principio “No alla droga, no allo sballo!”? Davvero davvero? Di quelli che invece sono ipocriti fin da subito, invece, non vogliamo parlare nemmeno: queste persone dovrebbero rispondere alla loro coscienza, ammesso che ne abbiano una. Poche cose ci fanno più schifo dei moralisti che vorrebbero imporre ad altri quello che non si sognano di imporre a sé.
Ma quindi? Stiamo dicendo tutto e niente? Lo affermavamo all’inizio: il problema è complesso, non ammette soluzioni semplici ed univoche. Ma questo non significa che bisogna lasciare le cose come stanno. Bisogna ragionare a trecentosessanta gradi, senza pregiudizi, ed è quello che abbiamo provato a fare; ma bisogna anche prendere delle posizioni nette, su alcune questioni.
Non accettiamo che il clubbing sia preso come capro espiatorio di tutta una serie di problemi che stanno molto più a monte. Non accettiamo che il fenomeno della tossicodipendenza sia associato solo al Cocoricò, o a qualsiasi altro locale vogliate voi (il Cocoricò è mediatico, è potente, è iconico, attira attenzione). Non accettiamo che i commenti sul clubbing siano fatte da persone che non hanno la minima idea di cosa il clubbing sia o, altra faccia della medaglia, sono dotate di una pessima doppia morale. Non accettiamo nemmeno che ci sia una chiusura a riccio da parte di alcuni clubber ed addetti al settore rifiutandosi di riconoscere e discutere il problema, perché non è una cosa di cui ci si può lavare le mani.
Già: e la droga? L’accettiamo? Beh, diciamo intanto che la droga esiste. Negarlo è malafede. Esiste nel clubbing – esperienza escapista ed edonista per definizione – esiste nella società. Nel clubbing oltre ad esistere fa proprio parte della sua storia e, come si è appena accennato, si lega bene ad alcuni dei suoi meccanismi fondanti. Ma va detto mille volte mille che la droga fa male; e usata in modo superficiale e scriteriato, fa malissimo. Come abbiamo visto, arriva ad uccidere. La prima cosa da fare sarebbe (ri)prendere in mano delle politiche formative ed informative legate al principio della riduzione del danno. Così come bisognerebbe insistere molte volte sul fatto che la droga quando la assumi ti fa star bene (sennò perché assumerla, per autolesionismo, per idiozia?) ma questo star bene comporta dei prezzi da pagare. Prezzi anche pesanti, dopo un po’, dopo un uso fatto a cazzo. Danni permanenti, che possono anche affiorare anni dopo. Sei sicuro di volerli pagare? Ma proprio sicuro? Ma anche quando i danni non sono pesanti e permanenti, quando l’uso cioè è moderato e saltuario, ti stai infilando nel corpo qualcosa che altera il naturale equilibrio fisico e psicologico. Sei sicuro di volerlo fare? Pur sapendo che tutto questo, per il tuo corpo, non è gratis?
Troviamo un po’ puerili ed irresponsabili le avaguardie hipster-controculturali per cui la droga deve comunque far parte dell’esperienza del clubbing, della musica elettronica, e chi non lo capisce è un parruccone. Troviamo invece molto più sensate le posizioni di chi dice “La musica può bastare, non c’è bisogno di drogarsi”: è vero, lo confermiamo per esperienza diretta. Ma se questa diventa un’imposizione moralista già non ci convince più. Perché è il moralismo a far danni: è il moralismo a scatenare il panico attorno alla questione droga (così come attorno alla questione sesso) evitando così una consapevolezza e sanità d’uso diffusa, ma questo stesso moralismo guarda un po’ non si attiva per fenomeni come alcool, tabacco o anche solo la produzione di automobili, che invece fanno molti più morti nella nostra società. Esistono delle leggi: troviamo giusto che i locali e i club legali si adoperino per farle rispettare, e se invece le ritengono ingiuste o eccessive cerchino di far sentire la loro voce, lavorando in quella zona grigia dove alla tolleranza deve seguire anche la denuncia dell’inadeguatezza legislativa di fronte alla realtà e la rivendicazione del proprio operato. Vuoi avere una fortissima posizione no droga? Ottimo. Deve essere condivisa da tutte le persone che lavorano con te, e chi viene da te deve sapere come stanno le cose. Hai invece una posizione più sfumata, perché sai che la droga può anche essere parte della club culture? Va benissimo anche questo, ma non devi sottovalutare che stai maneggiando il fuoco, sei in una zona d’ombra legislativa (quindi ci sta che ti arrivino chiusure e stangate) ma soprattutto hai la responsabilità della salute di persone che sono tue ospiti e non è che te ne puoi fottere: devi tenere gli occhi altrettanto aperti di quelli che hanno scelto invece di fare gli integralisti della repressione contro le sostanze. La salute fisica è il bene più prezioso. E la droga, questo bene lo intacca. Dà molto la droga, negarlo è da iene o da fessi, ma toglie anche moltissimo. Occhio.