Per fortuna la musica non si ferma. Men che meno la buona musica. Certo: il lockdown ha rallentato tante, tantissime cose, molti artisti stanno rimandando le proprie release un po’ perché è impossibile pianificare un tour subito successivo all’uscita, un po’ perché effettivamente l’attenzione di tutti è più rivolta alle notizie preoccupanti dell’attualità o a un tipo di svago diverso, non prettamente musicale (vedi appunto la flessione degli stream, -10% circa per Spotify per dire). Ma uscite interessanti ce ne sono; e sicuramente “Fragments Of The Soul”, sulla prestigiosa Ropeadope, è una di queste. Terza produzione sulla lunga distanza di Badge And Talkalot, sigla dietro cui si nasconde in realtà una persona sola e pure italianissima (…anche se, per molti versi, cittadina del mondo: basta ascoltare la musica che crea per capirlo), siamo felicissimi di presentare in anteprima, come chicca a un giorno dall’uscita ufficiale dell’LP, “Help Me” (col featuring di Ian Whitelaw), qui sotto. Ma poi leggetevi bene la chiacchierata: aiuta davvero a “fotografare” bene un progetto atipico, di alto artigianato, di capacità di muoversi con idee specifiche e molto ben a fuoco.
Partirei proprio dall’inizio: dietro la sigla Badge And Talkalot si nasconde una persona sola, Gilberto Caleffi. A confondere ancora di più le acque, si tratta di una persona che ha un background fatto di una laurea in Economia e di un lavoro decennale in una agenzia di marketing, con un inquadramento proprio aziendale. E poi, ad un certo punto, cosa è successo?
La musica è sempre stata una grande passione. Ci ho provato e tutt’ora ci provo, ma non sono ancora riuscito a trasformarla in un lavoro remunerativo (tale da raggiungere la serenità economica). Dopo la laurea, ho iniziato un percorso lavorativo corporate, ma col tempo ho capito che non era la mia vocazione. Così ho tentato altre strade. Per il momento resto un “contabile musicista” (semicit.). In passato ho fatto il dj per divertimento, ma quando sono usciti Ableton e Cubase, mi è cambiato il mondo. Ho iniziato a fare qualche remix con un amico, poi le prime demo. In origine avevo in mente un progetto collettivo mutimediale (idealmente “Badge” doveva rappresentare l’unità video, mentre “Talkalot” la sezione audio). Nessuna delle persone coinvolte ci ha creduto fino in fondo, a parte me.
Il tuo esordio come Badge And Talkalot risale ad ormai più di dieci anni fa. Quanto sei cambiato tu, quanto è cambiato il tuo alter ego artistico, soprattutto quanto è cambiata la musica, in questo decennio?
E’ cambiato quasi tutto. Il primo album è stato fortemente influenzato da “Endtroducing” di Dj Shadow, una pietra miliare del sampling: fu un lavoro estenuante di ricerca e manipolazione di suoni preesistenti. Un esperimento che pescava da diversi generi, dall’house al funk, dal synth-pop al big beat. Avevo anche aperto una mia etichetta (Still Fizzy Records) perché volevo avere il controllo completo delle operazioni. Nel frattempo sono cambiati i miei ascolti: dieci anni fa ascoltavo moltissima elettronica, ora più funk, RnB e soul. Di conseguenza mi è venuto naturale focalizzare la composizione e la scelta dei collaboratori su stili più classici. In generale però la prima regola rimane “…non fare un album che assomigli al precedente”. Anche perché non ho una fan base da scontentare! Nell’ultimo decennio l’elettronica ha oscurato gli altri generi, una naturale conseguenza dell’evoluzione tecnologica: la ritengo una soluzione democratica alla necessità impellente di espressione creativa delle nuove generazioni.
L’album in questione, “Greatest Hints”, vedeva un coinvolgimento preciso di Eraldo Bernocchi, una delle menti più interessanti (ma anche delle figure più atipiche) fra i musicisti italiani. Come vi siete conosciuti e come si è sviluppata la vostra collaborazione?
Adoravo diversi progetti di Eraldo: il mio preferito era (ed è ancora) Charged, poi Ashes, Manual e l’album con Harold Budd. Così gli ho scritto, facendogli ascoltare le demo e lui ha accettato subito. Oltre ad essere un musicista e produttore eccellente, è anche una persona squisita. Ci sentiamo ancora; nel cassetto ho un progetto dub che vorrei sviluppare con lui, ne abbiamo già parlato, ma non è ancora arrivato il momento giusto.
Fino a che punto “Spaghetti Blaster” è stata una svolta rispetto al progetto precedente, e dove invece è possibile individuare una linea di continuità?
Le tracce di “Greatest Hints” erano composte interamente da campionamenti (esclusi alcuni vocal featuring). Per quanto riguarda “Spaghetti Blaster”, pur partendo da demo composti da campioni, i pezzi sono stati volutamente e completamente risuonati da alcuni musicisti. Anche per evitare continui problemi col sample clearance. Per farti capire a che punto sia arrivati oggi, abbiamo dovuto riscrivere due tracce del nuovo album perché ci è stata addirittura negata l’autorizzazione a risuonare la melodia… In “Greatest Hints” c’erano già corpose tracce di funk e RnB. Erano i pezzi che riascoltavo più volentieri e da lì sono ripartito.
Dove vivi adesso? Quanto conta – lockdown pandemici a parte – vivere in una città specifica, in tempi in cui è molto più facile muoversi e spostarsi e comunicare in remoto rispetto a prima?
Recentemente sono tornato a vivere a Modena per necessità familiari (dopo aver passato quattro anni a Barbados per un progetto un po’ folle…). Ma la valigia è sempre pronta! Per il tipo di musica che faccio, il luogo conta, qui mi sento un po’ isolato. Per esempio, se potessi mi catapulterei a Londra o Los Angeles. Per fortuna la tecnologia che abbiamo a disposizione rende semplice condividere idee e costruire collaborazioni. Molto spesso con altri musicisti si discute e si lavora in remoto, poi insieme si finalizzano le tracce in studio.
Ascoltando “Fragments Of The Soul” – ma il discorso in realtà vale ancora di più per “Spaghetti Blaster” – a tutto si pensa tranne che Badge And Talkalot sia in realtà una persona sola e non una vera e propria band. Chiaro: ogni tanto c’è qualche ospite, in “Spaghetti Blaster” anzi più d’uno, ma quanto è difficile ricreare questo da producer singolo questo senso di collettivo?
Grazie per il complimento! Non sono un polistrumentista, magari lo fossi! Mi avvalgo dell’aiuto di ottimi collaboratori. La parte più complicata è l’attività di scouting: trovare uno o più musicisti e un co-produttore che condividano i miei stessi intenti. I rapporti umani sono fondamentali per la buona riuscita di un progetto. Oltre a me, la parte strumentale risulta prodotta dallo stesso gruppo di persone, solo i cantanti si alternano. Per “Spaghetti Blaster” ho lavorato con Antonio Cooper Cupertino e tre musicisti (Enrico Gabrielli, Paolo Zoboli, Giulio Martinelli), mentre per “Fragments Of The Soul” siamo solo io e Geoff Woolley.
Gli ospiti alla voce in “Fragments Of The Soul” sono molti ed interessanti: come sei arrivato a loro? Come li hai coinvolti?
Avevo già cercato di collaborare con Georgia Anne Muldrow per “Spaghetti Blaster” ma non era stato possibile. Così lei è stata la prima persona che ho cercato per il nuovo album. I primi pezzi di “Fragments Of The Soul” sono stati i suoi: “Showdown” e “The Situation”. Amo la sua musica, Georgia è un’artista eccezionale. Con lei parte del progetto, è stato semplice convincere gli altri. Poi dovevo assolutamente lavorare con Ian Whitelaw, un amico prima di tutto, ma fino a quel momento non avevo un pezzo adatto alla sua splendida voce. Anche registrare live insieme a Kevin Mark Trail è stato speciale. Quindi Lisa Kekaula, Rahel, Pugs Atomz & Psalm One, Neco Redd & Amp Fiddler. E per ultimo è salito a bordo Adam Topol, un gentleman con l’entusiasmo di un ragazzino.
Quali erano gli errori che volevi evitare, lavorando a questo disco nuovo, e quali invece i tuoi punti forti che volevi ulteriormente migliorare e mettere in primo piano? Più in generale, quanto è profonda la differenza tra “Fragments Of The Soul” e “Spaghetti Blaster”, al di là dell’evidente scelta di un suono meno strettamente vintage?
C’è un errore che purtroppo continuo a commettere: fidarmi ciecamente delle promesse degli artisti. Mi è capitato di tenere ferme delle tracce per un anno, pur di aspettare qualcuno che alla fine non ha neppure portato a termine il lavoro. Penso che i punti di forza siano il groove (da cui nasce sempre la demo), la combinazione dei suoni e la meticolosa attenzione per lo sviluppo della melodia. Volevo che “Spaghetti Blaster” fosse un album old school: infatti è stato interamente registrato in studio (parte al San Pedro e parte alle Officine Meccaniche) con una precisa ricerca sonora. Ma cambiando le carte in tavola: escludendo chitarre-fiati-archi dagli arrangiamenti, focalizzando l’attenzione sulle tastiere vintage (Clavinet, Hammond, Wurlitzer, Rhodes), doppiando le tracce di basso elettrico col Minimoog, invitando esclusivamente cantanti femminili. In “Fragments Of The Soul” invece i campionamenti rappresentano una buona parte dell’arrangiamento. Rispetto al precedente, spiccano chitarre, pianoforte, tastiere elettroniche. Ho rallentato i beat per avvicinarmi di più al soul. Infine ho scelto solo voci black (anche maschili) e cercato un paio di duetti.
Quanto c’è ancora da esplorare secondo te nell’interazione tra software e musica prodotta dalle macchine con strumentisti veri e propri? O siamo già arrivati ad un punto di maturità e completezza espressiva?
L’esplorazione non finirà mai. Almeno me lo auguro. Oggi le capacità espressive sono notevolmente amplificate dall’enorme disponibilità di strumenti e software. Personalmente ritengo entrambe le componenti necessarie e complementari. Come una spugna assorbo impulsi continui provenienti dalle novità discografiche che escono ogni giorno. Il rischio è perdere di vista il proprio obiettivo o appropriarsi troppo del suono di altri. Personalmente cerco di coinvolgere sempre nuovi collaboratori con background differenti per tentare di creare una miscela sonora inedita e sorprendente.