Aveva fatto molto rumore tra addetti ai lavori, colleghi ed appassionati la scelta di Radio Slave di vendere tutta ma proprio tutta la sua collezione di vinili. Oddio: già fa rumore il fatto che abbandoni Berlino – e questo è un evidente segnale di come Berlino sia sempre meno una “terra” promessa per i dj/producer e sempre più una città dai costi di vita inutilmente esorbitanti, come molte altre capitali europee – per trasferirsi in una meta atipica come la Croazia, ma lì alla fine spesso sono ragioni personali a portarti verso scelte apparentemente poco strategiche. Qui il post originario:
Ora però Radio Slave è tornato sull’argomento, e lo ha fatto in maniera veramente affilata. Leggete qua, e per quanto riguarda la traduzione per chi non mastica l’inglese, beh, ormai Google Translate ha risolto questo problema, no?
Chiaro, “Non vivo nel diciannovesimo secolo” è un po’ una esagerazione, una licenzia dialettica. Fa comunque riflettere come col tempo stia procedendo un certo tipo di scostamento per cui è sempre più normale, se si è dj, “sentire” di non avere strettamente bisogno dei vinili. Un bel po’ di anni fa l’argomento era caldissimo, molto più di adesso, tant’è che un nostro articolo uscito sulla questione generò un’eco incredibile, venendo letto, commentato, diffuso tantissimo. Parliamo del 2017. Riletto con gli occhi e la consapevolezza di oggi, non ha perso troppa validità. Riprendiamo infatti due passaggi:
Ma il fatto che spesso ci si accapigli di fronte ad un finto problema, ci fa però dimenticare che oggettivamente suonare il vinile implica una fatica, dei tempi e delle conoscenze di un certo tipo, che possono essere molto utili nello sviluppare la propria identità artistica. Così come, altra faccia della medaglia, non bisogna dimenticare che il talento resta una componente ineludibile, e non è che suonare automaticamente col vinile e con un mixer rotativo ti rende uno più “autentico” e soprattutto più bravo – e questa è una vulgata che purtroppo sta prendendo piede.
E poi ancora:
Ci sono dj che danno il loro meglio mixando/riprocessando solo elementi digitali; ce ne sono altri che quando passano dal vinile vero a Traktor perdono due terzi della loro espressività, del loro “calore”, della loro identità. Varia da caso a caso. E ci sono anche molti casi intermedi, gente brava soprattutto coi file ma che se la cava col vinile, gente brava col vinile che se la cava coi file, gente che una sera gli viene benissimo il set coi sofware e due sere dopo gli viene altrettanto bene il set col vinile. E’ su questo che sarebbe più bello poter discutere, invece di accapigliarsi solo in una disputa cieca tra Guelfi e Ghibellini sul meglio il vinile e o la chiavetta.
Di sicuro un messaggio da far passare sarebbe: ragazze, ragazzi, è bello avere una preparazione completa. Volete fare il dj? E’ giusto che troviate la propria “voce” migliore, questo dev’essere il vostro obiettivo finale, ed essa può arrivare con qualsiasi mezzo (vinile, chiavetta, quellochevoletevoi); ma è altrettanto giusto che abbiate alla base una preparazione completa, che abbracci e conosca a trecentosessanta gradi gli elementi, la storia e la pratica della cultura/pratica in cui vi state tuffando e da cui volte ricavare soddisfazioni, magari sostentamento, magari fama.
Radio Slave, che non ha più niente da dimostrare a nessuno, può permettersi anche di dire “Ciao” ai suoi vinili; anche perché evidentemente non ha né l’animo da collezionista, né tantomano sente l’esigenza di essere percepito come “figo” per il fatto che usa (o anche solo possiede) migliaia e migliaia di vinili. Ma al tempo stesso la questione su cosa si debba poggiare la preparazione tecnica e musicale di un dj, su quanto il concetto di “fatica” sia importante per avere una piena consapevolezza di sé e delle proprio conoscenze, quella non viene meno. Radio Slave che si libera di tutti i vinili non è insomma la vittoria di chi ritiene il vinile un formato obsoleto ed ormai inutile. È invece, un modo più sfumato, una libera scelta, che per fortuna oggi si può fare, visto che le discussioni attorno a vinile-sì-vinile-no si sono un po’ svelenite, diventando meno una guerra di religione. Un po’ meno, almeno.
D’altro canto se non sono cosa buona gli approfittatori che usano il deejaying solo come mezzo per arrivare il successo, declinandone l’arte in maniera superficiale, spiccia e da mero simulacro finzionale, non sono nemmeno cosa buona i “guardiani del faro” che in realtà sono guardiani solo di proprie ossessioni e della propria voglia di essere rilevanti, anche se oggettivamente non lo sono più (e, nella stragrande maggioranza dei casi, non lo sono nemmeno mai stati). La chiave è sempre: consapevolezza. E non basta una collezione di vinili per farsela; aiuta, certo, ma non basta.