La cosa è andata forse perfino al di là delle nostre previsioni. E sì che avevamo puntato su Cosmo in tempi non sospetti: noi, una testata che si rivolge prima di tutto alla dance di un certo tipo, alla club culture, che fa molto attenzione a chi fa cosa (e soprattutto a qualche background appartiene, e quale background rispetta); ecco, per gente come noi in teoria Cosmo era un alieno, era cosa “altra”, era uno che arrivava chiaramente dalla scena indie e sì, flirtava con l’elettronica, e sì, sicuramente faceva cose interessanti di cui sarebbe stato giusto dare nota, ma non era in teoria uno dei “nostri”. Due cose: la qualità non ha steccati, punto numero uno, e non deve averli. Punto numero due, avevamo in qualche modo annusato che in Cosmo c’era una curiosità artistica ed intellettuale autentica nei confronti del clubbing. Lo avevamo fatto prima ancora che ne “L’ultima festa” e progressivamente sempre di più nei live successivi avesse inserito la cassa in quattro – cosa che poi è successa, convincendoci che eravamo sulla strada giusta. Ora però “Cosmotronic”, un disco generoso e complesso per mille motivi, è ancora un passo in più. Un passo in più che si merita un’analisi speciale, da parte di due dei fondatori di Soundwall: da un lato Antonio Fatini, da sempre fan di Cosmo e molto indie-oriented negli ascolti di suo, dall’altro Matteo Cavicchia, la persona fra noi che più e meglio conosce, descrive, respira le leggi dei dancefloor più di qualità, quello integerrimo, intransigente e pure un po’ sospettoso verso i “turisti della dance”. Due background opposti per sviscerare “Cosmotronic”: quanto riusciranno a convergere le loro analisi? – Damir Ivic
Matteo: Mi piace questa cosa di Cosmo di fare sempre e comunque di testa sua, di non aver paura di andare un po’ controcorrente e di provare ad imporsi con ciò che gli piace fare piuttosto con ciò che “funziona” o col prodotto che i suoi fan s’aspettano. Sarebbe facile restare nella “comfort zone” come parecchi suoi colleghi indie (o ex indie) ormai di successo, e invece ecco “Cosmotronic”: una roba da far drizzare le antenne e dire “Ehi, ma che gli è preso a questo qui?”. La parte da canticchiare in macchina come una ragazzina del liceo la lascio volentieri a te, che nel gioco dei ruoli sei certamente il più groupizzato dei due, ma diavolo…ci sono sei tracce da ballo nel CD 2, vogliamo parlarne? Questo qui vuole fare pure il dj, ormai ce l’ha confessato.
Antonio: Sicuramente è una cosa che ti spiazza! Non perché ci sia dentro la cassa, quella se ci pensi c’è sempre stata. Spiazza il fatto che ti trovi ad ascoltare un disco con un’identità forte. Parliamoci chiaro, una virata così decisa poteva portare a un disco banale. Invece no! Si vede che è il risultato di un percorso complesso ma consapevole. Credo che la risposta alla tua domanda ce la dia lo stesso Cosmo in Bentornato, brano che apre l’album. Pensa quanti conflitti deve aver avuto mentre ci lavorava. È un disco sincero, che ancora una volta lo mette a nudo. Non è presuntuoso, anzi, è ambizioso proprio per i motivi che hai sottolineato.
Matteo: Che poi la sfida non sembra delle più banali: alla fine, se ci pensi, Cosmo era uno dei cantautori più in ascesa dell’intero panorama italiano…e lui che fa? La butta sul club più di quanto non c’avesse fatto assaggiare con “L’Ultima Festa”; quello sì che è stato un lavoro uscito davvero al momento giusto, venuto fuori di slancio e in grado di dare coraggio a questa transizione che c’ha portato in dote “Cosmotronic”. Un disco che magari non sarà subito chiaro a tutti, ma non è che la naturale evoluzione del Cosmo emerso nell’ultimo tour: è arrivata l’elettronica più fisica possibile – forse il vero punto forte del disco due – e la voglia di mettere i dischi, chissà, non può più attendere. Ma c’è una credibilità tutta da costruire, non trovi?
Antonio: Vero, ma è un percorso che in realtà è già iniziato. Se “Bright White Light” dei Drink To Me – e la presenza di Alessio Natalizia in studio – ha giocato un ruolo fondamentale per “L’Ultima Festa”, Ivreatronic ha fatto lo stesso per questo disco. Prima c’era un produttore, oggi c’è un collettivo. Prima c’era la voglia di scoprire un suono, oggi la ricerca di un’alchimia che può crearsi solo in determinati contesti, tra cui la pista. Ivreatronic è un collettivo di artisti, è un party e a suo modo un’idea romantica (Ivrea non è proprio Berlino, se si vogliono ricreare certe dinamiche della club culture): se ci pensi è un contesto intelligente dove poter crescere. In fondo la fortuna di Cosmo è sempre stata questa continua contaminazione, la sua forza, quella di saperla gestire senza perdere l’identità. Infatti Cosmo è ancora un gran bel cantautore, lo dimostra il fatto che la fisicità che hai notato nei bassi viene espressa a suo modo anche nei testi.
Matteo: Però chiariamola ‘sta cosa del “disco fisico”: lo è, lo è assolutamente come impatto e approccio, ma poi dentro c’è una cura del suono e una trasversalità che l’elettronica “di pancia” se la sogna. Ecco: è importante non confondere l’impronta e la forma che ti danno i sintetizzatori modulari – con cui è stato prodotto “Cosmotronic” – con quei lavori sopra le righe e un po’ cafoni che troppo spesso ci spacciano per “roba al passo coi tempi”. L’approccio molto diretto con cui Cosmo va al cuore delle sue canzoni è un’altra cosa. A tal proposito, penso solo io che questo doppio, specie nel suo secondo CD, sarebbe stato benissimo anche su una label come Life And Death?
Antonio: Poteva starci benissimo. Cosmo è uno che certe cose le ha sempre seguite e infatti oltre alla cura del suono ci sono tanti riferimenti all’elettronica più “nostra”: penso ai Red Axes, alla pausa in “Tutto Bene” che ricorda proprio i primi Tale Of Us e anche i campionamenti (“Animali” si sviluppa su uno dei camponi più usati dell’ultimo anno). Fa tutto parte del percorso che sta portando Cosmo a immergersi in questo “nuovo” mondo. Creativamente credo sia la cosa più bella: sei in quella fase in cui trovi stimoli ovunque ti giri e l’elettronica, sotto questo punto di vista, è una miniera. Ma queste cose le sai già, sono più “tue”. Proviamo invece a spostare l’attenzione sul resto: voglio sapere cosa ne pensi della scrittura. Avevo paura che una voglia così forte di concentrarsi sulla stesura dei brani potesse abbassare la qualità dei testi, invece… cosa colpisce di Cosmo, e soprattutto di questo “Cosmotronic”, uno che non “bazzica” il mondo “indie”?
Matteo: “…e poi mi volto verso il microfono, dico quello che penso“. Ma a uno che inizia così – e lui inizia letteralmente così – cosa vuoi dire? Cosa c’è da aggiungere? Ma una cosa secondo me va sottolineata: io trovo che questo Cosmo 3.0 abbia il merito di aver costruito testi all’altezza della sfrontatezza della sua nuova sfida. Poi oh…tutte le basi di cui abbiamo parlato sono sì buone, ma per fare veramente la differenza c’è ancora un po’ di strada da fare – ascolti? Dj set in giro?. E allora qui entra in gioco la voce e quel mondo di parole che chi lo ama dagli inizi non può che riconoscergli. Ecco: i testi e la sua voce alzano veramente il livello di un lavoro ben fatto, ok, ma che senza di essi rischierebbe comunque di passare sotto traccia.
Antonio: Ho capito, non ti vuoi sbilanciare… me la vuoi accollare? E io me la prendo volentieri! Intanto diciamo che hai azzeccato un punto: Cosmo dice sempre quello che gli passa per la testa, questa è una costante. C’è stata però un evoluzione: in “Disordine” era molto più timido, si nascondeva dietro la filosofia. “L’Ultima Festa” invece usciva in un momento di sicurezza: i Drink To Me ottenevano recensioni positive e Cosmo si divertiva a sperimentare con leggerezza. Di conseguenza i testi erano più sciolti e spontanei. Oggi c’è davvero tanta consapevolezza e molto più convinzione, anche nelle provocazioni (“…quando parlo d’amore lo faccio dal buco del culo del cuore, senza pudore” confessa in “Ho Vinto”). “Cosmotronic” ha completamente eliminato ogni tipo di filtro. La fisicità esplode anche nei testi: ballo, sesso, droga, condivisione… c’è tutto. C’è una voglia totale di disinibirsi e lasciarsi andare: “…se ti senti morire dall’imbarazzo non farti schiacciare, chi ti giudica è il male, la vita è volgare, uomo o donna comunque animale”. I temi principali di questo album, oltre alle solite domande esistenziali di Marco, sono proprio il contesto sociale e l’inibizione formale. Se recuperi l’intervista che abbiamo pubblicato in cui Cosmo intervista Nico Vascellari (Ninos Du Brasil), capirai benissimo di cosa sto parlando.
Detto questo, forse è il caso di finirla… ti faccio un’ultima domanda, secca: il pezzo che suoneresti in un dj set e il brano che – in un mondo in cui Cavicchia canta – urleresti a squarciagola?
Matteo: Mi piace “Turbo” e mi convince un casino “Barbara”: questa sì che secondo me può dare del filo da torcere alla pista.