Uscito a maggio su Never Sleep (etichetta di Alberto Guerrini aka Gabber Eleganza), “XXYBRID” è il debutto di NZIRIA alias Tullia Benedicta D’Aquino Canestraro, un concentrato di immaginari che ripesca tra neomelodico, tradizione e tormento partenopeo per rifinire tutto in un futuro a tinte elettroniche dal fascino contemporaneo.
I ricordi, le espressioni e la cura del tempo sono per il suo nuovo progetto un colore determinante: la Napoli che ha lasciato da bambina — direzione Ravenna — si evolve nella sperimentazione sonico–linguistica del cantato neomelodico, quello che le ricorda casa dei nonni, Nino D’Angelo e la sceneggiata di Mario Merola. E per NZIRIA, come ci racconta in questa lunga chiacchierata, diventa connessione speciale tra hardcore e neomelodicità: hard neomelodic è la sua espressione sanguigna e viscerale, fuga da sovrastrutture intellettuali e missione voluta e cercata per cantare (di e per) l’amore queer e le identità non binarie.
NZIRIA è nella lineup della seconda edizione di Opera, experience festival in scena a Milo, alle pendici dell’Etna, dal 17 al 21 Agosto. Per vederlə esibirsi (insieme ad altri nomi come Alina Pash, Oklou, Mykki Blanco, Ditonellapiaga), tickets qui.
Nonostante NZIRIA sia un progetto relativamente nuovo, la tua carriera ha uno storico già abbastanza profondo tra elettronica post-club, reminiscenze shoegaze e tinte hardcore, che mescolavi nel precedente moniker Tullia Benedicta. Qual è stata la chiave, in questa nuova avventura, per mettere quelle influenze in un percorso del tutto inedito? Voglio dire, in primis con la ricostruzione di un neomelodico 2.0 anche 3.0? — e la forte presa di coscienza delle tue origini napoletane, ovviamente.
Di base non lo riconduco a una precisa chiave, è stato un percorso iniziato poco prima che scoppiasse la pandemia a inizio 2020, e che da lì ha preso forma in maniera ancora più naturale, durante i mesi di lockdown. Il processo di avvicinamento al neomelodico è avvenuto con la cura del tempo e la volontà di riscoprire le mie origini: la prima volta che i miei genitori mi portarono a Napoli avevo 10 anni e non ci sono più tornatə fino al 2016, quando ne avevo ormai 26. È stato il momento in cui effettivamente cominciai a ricostruire l’immaginario unico della città, a tradurre e contestualizzare le sue peculiari caratteristiche—musica compresa, ovviamente.
Che ricordi hai di quella che ascoltavi da più piccolə, nei viaggi da e verso Napoli?
Ho passato l’infanzia con i dischi dei miei nonni, che avevano un impianto Hi-Fi in salotto, una colonna di vinili e CD che includeva musica napoletana più classica e altra contemporanea, da Renato Carosone a Gigi D’Alessio (di cui tra l’altro mia nonna era grande fan). Sono tutti ricordi e ascolti che in qualche modo sono riuscitə a rievocare: con NZIRIA è tornato tutto questo.
In qualche modo è come se ti fossi riconnessə con un passato che stavi però vedendo per la prima volta, con occhi “nuovi”. Questo secondo me si riflette molto nel fatto che la tua idea di hard neomelodic abbia pescato con molta precisione in quell’immaginario, ma ci abbia messo dentro anche tanti elementi inediti, contemporanei.
Sì, il mio periodo a Londra, ad esempio, mi ha influenzato tantissimo in questo senso. Tullia Benedicta nasce in quegli anni lì, tra scoperta e ricerca, dalla new wave all’IDM passando per musica in certi casi anche completamente diversa, da quella che faccio adesso. Sono tutte parti di vissuto e di esperienze che mi sono portatə dentro, e che inevitabilmente rappresentano “XXYBRID”.
E fino a quel momento non avresti mai pensato di trovarti a cantare napoletano, immagino.
Affatto, la mia idea oscillava tra industrial-sperimentale a influenze techno più cupe, ma col tempo questa fantasia di cantare in napoletano si è fatta spazio un po’ da sola. Il legame coi miei nonni e con quella musica che rievocava la mia infanzia credo sia insomma sempre stato lì, da qualche parte.
Qual è stato il primo—vero—approccio a questa dimensione dei ricordi?
Un po’ di tempo fa sono finitə a cantare a dei matrimoni napoletani, invitatə da un mio amico di Bologna che faceva il dj. In quel caso andava a suonare ad un matrimonio in cui lo sposo, appunto, era napoletano, così gli venne l’idea di farsi accompagnare da me alla voce: accettai subito, era una cosa che stavo cominciando a sperimentare, spulciando nel repertorio e nei feticci neomelodici, da Nino D’Angelo a Tony Colombo.
Fu un’esperienza che segnò quasi del tutto il mio passaggio a NZIRIA, ma piena di aneddoti curiosi, specie durante le prime volte. Ricordo questa schiera di bambini a fissarmi, avrannno avuto dai 5 agli 8 anni, straniti un po’ per il mio aspetto e un po’ per la mia identità di genere. Rimasero per un po’ a bisbigliare: «Ma chest’ è maschio o è femmen?». Succedeva la stessa cosa con dei gruppi di ragazze, vestite in maniera super femminile, che mi fissavano e poi si stupivano perché sì, in qualche modo la mia voce le faceva ricredere del mio aspetto. È stata un’esperienza anche antropologica, sotto questo punto di vista. Ma lì ho proprio capito che il neomelodico mi piaceva cantarlo.
Quindi nasce NZIRIA.
E mi ha salvato. Mi ha dato la forza di superare il lockdown e di darmi stimolo a scrivere qualcosa trasformatasi naturalmente nel mio obiettivo. E con cui forse non sapevo ancora di volermi connettermi così ardentemente. È stato un periodo terribile per tutti, ma in un certo senso a me ha comunque restituito molto, di positivo: ti trovi con te stessə in un momento introspettivo, anche perché non hai alternative, chiusə in casa e per un periodo indefinito. Mi ha fatto mettere ordine, partendo dalle priorità che volevo rimettere a posto. E credo che in maniera inconscia lo sia stato per tutti.
Insomma hai deciso di fare all-in con una lingua a te formalmente nuova, per di più se usata per un contesto che volevi creare da zero.
Perché ho iniziato a indagare su di me, capire chi fossi, banalmente anche come volessi cantare. Prima cantavo sporadicamente e in Inglese, stando dentro a regole di genere e di contesto sonoro. Direi che molte cose sono cambiate, adesso. E poi cantare il Napoletano (e il neomelodico) è proprio un altro mestiere. È super barocco, ha un suo cantato virtuoso molto specifico che sembra quasi arabo — e che dopo un po’ si può trasformare quasi in una lagna. Ha comunque tutti quei crismi di erotico, passionale e sentimentale che sentivo molto miei. Stavo finalmente esprimendo una parte di me che non era ancora stata espressa.
Neomelodico che storicamente racconta sempre un tormento (d’amore), più che un amore normale. Nella tua ricerca però mi sembra ci siano anche riferimenti costruiti proprio da nuovo, che hai immaginato come le tante figure mitiche o mistiche di Napoli che canta di Napoli. Mi riferisco ad esempio alla figura del Femminiello e della leggenda della tombolata natalizia, con cui il disco parte in apertura, con “E Riavule”.
È un genere definito erotico e sentimentale che nasce dopo il declino della canzone “classica” Napoletana, alla fine degli anni Cinquanta: un amore più da cartolina. Il neomelodico appartiene alle classi popolari, scritto da autori di ceto non borghese e che di tematiche di quei ceti parlava. La vita di tutti i giorni nei vicoli di quartiere, il “tirare a campare”, la camorra: una Napoli completamente diversa, non quella vista dai turisti Americani. Il mio primo approccio è stato quello di emulare tutti questi aspetti, e “Amam Ancora”—che è tra le prime che ho scritto—aveva l’intento di simulare la scrittura di un neomelodico per un pubblico neomelodico.
Un esercizio simile l’ho fatto per “Pensiero”, che sempre molto influenzata dal lockdown riproponeva il tormento della lontananza dal luogo desiderato, dell’impossibilità (anche qui, tematica molto neomelodica) di potersi ricongiungere ad un amatə. Credo rifletta anche molto la mia storia, della mia vita a Ravenna con un vissuto Napoli visto solo attraverso i ricordi di mia madre, di mia nonna. È stata una lente per riportarli in vita, per tradurre un mondo che fino a questo punto vedevo quasi solo come immaginario. Ed è stato in fondo anche un atto terapeutico.
Come nella scena che descrivevi, quando cantavi ai matrimoni, si tratta anche di un’occasione per associare questa identità in un “luogo” storicamente molto più rigido (e non solo a livelli musicali).
Sono consapevole di aver voluto stravolgere delle regole di un territorio, in primis perché come parte della comunità queer si trattava di un’occasione unica per esporre certe storie, tradurle attraverso un linguaggio che prima non era previsto. E le ho associate al mio universo: è un neomelodico che esprime la mia identità nonbinary, che parla dell’amore per la mia compagna, che parla di me. Oltre alle sonorità, insomma, è qualcosa che si scosta dagli schemi linguistici e sociali, dalla rigidità da cui nasce: ho voluto rappresentare questa dimensione anche a livello visuale, come nel video di “Amam Ancora” diretto Bianca Peruzzi che racconta la storia di un matrimonio queer.
Con lei mi pare di capire esista una sinergia particolare—a parte la cura nei dettagli del video e la traduzione della parte narrativa che tu avevi pensato: è un linguaggio che sarà centrale anche dal vivo?
Sì, collaboro con Bianca dal 2018, ancora con il progetto Tullia Benedicta attivo e con la parte visuale del live pensato insieme. Con NZIRIA questo step si è evoluto, vogliamo sia un live molto immersivo e insieme intimo, che rifletta i concetti del disco con le immagini in stage. Abbiamo iniziato il tour ed è già un po’ in giro per l’Italia, partendo da Milano e passando anche da Berlino. Tra le altre cose, quest’estate lo porteremo anche in Sicilia, a Opera Festival.
Adesso che questo percorso è iniziato davvero che idea c’è del futuro di NZIRIA?
Uno dei desideri più grandi è sicuramente quello di esibirmi a Napoli. Ma mi piacerebbe farlo in un contesto giusto, mi piacerebbe fare qualcosa che non è ancora stato fatto. Sarebbe bello fare cose anche un po’ pazze, visto che, si sa: è la città che per eccellenza alla pazzia ci si presta. Sto anche cominciando a lavorare al disco nuovo, partendo prima di tutto dall’idea che adesso che un hard neomelodic esiste ed è definito—e sta semplicemente dentro questa idea di portare ad un 2.0 la struttura più classica del neomelodico—voglio che continui con una certa coerenza.
Insomma sì, NZIRIA è natə e “XXYBRID” ha mostrato sicuramente la mia voglia di uscire dalla comfort zone, di avere voglia di non ripetersi. Ma le cose funzionano bene una volta, appunto, poi credo ci sia bisogno di cambiare. Se vuoi riflette un po’ il carattere del napoletano, che è insito nell’arte di reinventarsi, spostarsi, arrangiarsi, creare alternative quando non ne puoi neanche trovare. E di nuovo, tutto questo pur rimanendo comunque coerenti.