Ve lo dovevamo: all’indomani dell’adunata di tifosi interisti a Milano, in Piazza Duomo, ben poco distanziati, ben poco protetti e molto assembrati, avevamo scritto “Ne riparliamo fra venti giorni, ci risentiamo il 23 maggio”. Eccoci. Siamo stati di parola. Al contrario di molti organi d’informazione che seminano allarmismi (o, altra faccia della stessa medaglia, facilonerie per cui “il Covid non esiste“), dandoli per certi e chiamando all’indignazione sulla base di queste “certezze” (virgolette d’obbligo); poi però quando la realtà dei fatti li contraddice, il loro ruggito da leone si fa squittio da criceto.
Brutta gente.
Ma è brutta gente, o almeno per un attimo lo è stata, quella che ha sentenziato con fare indignato e schifato “Eccovela servita, la quarta ondata“. Un surplus di disprezzo ed indignazione nato dal fatto che tutta questa gente si stava radunando per una motivazione “futile” come il pallone. Il che però fa capire che per lavorare invece sia allora un “po’ più giusto” andare a morire o almeno a contagiarsi, pigiati come sardine sui mezzi di traporto pubblico o chiusi otto ore al giorno dentro uffici poco areati e capannoni ben poco controllati. Due pesi due misure. Comprensibile; ma non necessariamente condivisibile.
E’ comunque questa ansia contro il “divertimento“, contro il “futile“, contro il “tempo libero“, contro gli “aperitivi” ad aver creato dei binari diversi, dei due-pesi-due-misure che colpiscono e danneggiano alcuni settori molto più di altri. E quelli legati a un certo tipo di musica ed al ballo più di chiunque altro: non esiste ancora un protocollo che consenta modi e tempistiche per una riapertura degli eventi non si sta seduti ma si fruisce in maniera fisicamente attiva (quindi, divertendosi, muovendo il “peccaminoso” corpo) le emozioni che la musica dona.
Ora, non facciamo i “facili indignati“, diventando in questo mondo l’altra faccia della stessa medaglia di quelli che paventavano iatture e quarte ondate: non siamo così ottusi, o così stronzi, o così opportunisti. Ci sono dei motivi scientifici per cui il ballo e lo stare pigiati sono più pericolosi dello stare seduti e distanziati. Certo che ci sono. Ed è giusto adottare maggiore prudenza, in questi casi. Ma “maggiore prudenza” non significa “non considerare il problema“. Urge, davvero urge uno sforzo per immaginarsi come riprendersi – sotto un ragionevole rischio – pezzi di vita, pezzi di socialità, pezzi di musica vissuta ballando e non seduti come si guardasse l’opera, perché si sa, per l’Italia e le istituzioni italiane ogni tanto sembra esistere solo l’opera (…d’altro canto la sola Scala di Milano da Stato, Comune e Regione prende in un anno, di contributi, quasi la metà di quanto era stato stanziato dal Ministero della Cultura per sostenere tutto il comparto della musica durante la crisi e lo stop da Covid: più chiaro di così).
Viva l’opera, patrimonio culturale italiano da preservare, ma così non va bene. C’è troppo squilibrio. Derivato forse dal fatto che chi siede in Parlamento e nelle principali istituzioni ragiona ancora come nel secolo scorso, a livello di politiche culturali. E nel rimettere man a questo squilibrio, beh, bisogna dimostrare di essere vogliosi di ripartire, pronti a ripartire, consapevoli che sia necessario ripartire – vale per chi lavora in certi settori (ovvio), ma anche per chi li frequenta. E questi ultimi sono tanti. Siete voi che state leggendo.
Bene: per tutto questo il 3 maggio e le 30.000 persone in Piazza Duomo a Milano sono state un’insperata occasione. Perché se è vero che fa girare le scatole il fatto che attorno ci sono mille divieti e chi li rispetta paga di tasca propria in termini di soldi o socialità mentre i tifosi, con la scusa di uno Scudetto, possono fare il cazzo che vogliono, è anche vero che quella piazza lì era l’occasione per fare – a costo zero – un test per capire un po’ meglio come diavolo si muove questa pandemia. In Italia faremo finalmente delle prova-pilota nelle discoteche (alla Praia a Gallipoli ed al Fabrique a Milano, il 5 giugno, con protocolli precisi), arrivando ben bene dopo Spagna, Olanda, Inghilterra. Meglio tardi che mai, via. Ma una cosa importante, positiva e rassicurante da dire è che 30.000 persone assembrate in piazza il 3 maggio, ormai lo possiamo dire, non hanno comportato una ripartenza improvvisa e drammatica della pandemia. Basta controllare su questa pagina.
Approssimativamente, nell’arco di venti giorni i dati invece di aumentare (o arrestare comunque il trend in discesa) hanno non solo continuato a scendere, ma ormai – per Milano e provincia, controllate pure – si può tranquillamente dire che oggi i numeri di nuovi contagi sono la metà rispetto ad inizio mese, rispetto cioè al periodo che ruota attorno al famigerato 3 maggio. Tant’è che anche il Corriere, non propriamente un barricadero foglio no-vax o la fanzine degli ultrà interisti più sciamannati, può pubblicare articoli intitolati “Festa Inter per lo scudetto in Duomo: i contagi Covid non sono aumentati”.
Questo non significa che il pericolo è passato.
Questo non significa che bisogna riaprire tutto e subito.
Questo non significa dimenticarsi che anche l’anno scorso pareva che il peggio fosse passato, poi autunno ed inverno ci hanno regalato la seconda e la terza ondata, con migliaia e migliaia di morti e decine di migliaia di persone ospedalizzate.
Significa però che bisogna avere coraggio. E va dato atto al governo Draghi di averne avuto, quando ha iniziato a programmare i primi allentamento delle limitazioni dal 26 aprile. Venendo attaccato da molti, magari ve lo ricordate (…essenzialmente, guarda un po’, soprattutto da chi dalle chiusure ha un danno economico nullo o risibile). Per dire: in un mondo civile (tanto per citarne uno, ma è in buona compagnia) il signor Crisanti, dopo quanto dichiarato un mesetto fa, dovrebbe avere la decenza di smettere di farsi intervistare o almeno di farlo sì ma adottando toni più pacati. Ve le riportiamo qui, le sue parole, come da articolo uscito su Adn Kronos:
“Con una situazione di contagio elevato, pensare alle riaperture vuole dire che tra un mese avremo un aumento dei casi di Covid-19 e l’estate sarà a rischio e dovremmo richiudere”. Così all’Adnkronos Salute Andrea Crisanti, direttore di Microbiologia e virologia dell’università di Padova, commenta le riaperture annunciate ieri dal ministro della Salute Roberto Speranza e dal premier Mario Draghi. “Riproporre le zone gialle, quelle arancioni e rosse, è continuare con un sistema infernale – avverte – ed è la dimostrazione che in un anno non si è trovata un’alternativa efficace e non si sono costruiti strumenti adeguati per contenere l’epidemia. Siamo sempre lì, con oscillazioni tra zone gialle e arancioni, nelle prime si apre e il contagio aumenta”
La verità è che sappiamo ancora troppo poco di questo virus. Il problema di Crisanti non è l’aver sbagliato previsione, è il modo in cui la sbagliata (e, soprattutto, comunicata).
La verità è che l’unica soluzione possibile è un mix di prudenza e coraggio, e nessuno – lo scriviamo in caps: NESSUNO – può avere la certezza di dove cada il mix giusto, di dove sia la delimitazione esatta che separa buon senso da azzardo, mentre una certezza invece c’è ed è quella che non possiamo permetterci di non fare nulla, di non provare nulla, di non tentare di capire come riprenderci pezzi di vita per l’intera collettività. Non possiamo. Lo dobbiamo all’economia, visto che l’economia è così importante che per il lavoro si può tranquillamente andare a sfidare il virus mentre col calcio o col clubbing non si può, ma lo dobbiamo anche alla società ed a quello che siamo come esseri umani – ovvero alla nostra vita, al nostro stato psico-fisico, al modo in cui ci relazioniamo col mondo, coi cari, con gli amici, coi conoscenti, con chiunque.
Stiamo esagerando? Troppa retorica? Mah. Venitelo a dire a chi in questi mesi si è impoverito, a chi non ha potuto vedere i propri affetti per un tempo infinito, a chi è stato rinchiuso in case piccole e scomode, a chi è stato sottoposto a convivenza forzata con persone che fa fatica a sopportare. Prima di insultare la gente perché “…pensa solo a fare gli aperitivi o a rincoglionirsi con la latino-americana in discoteca” chiedetevi se non è invece che la state facendo troppo semplice, e che forse ci vorrebbe un po’ più di compassione e comprensione (nel senso etimologico dei termini) verso chi vuole tornare a vivere, compassione e comprensione che chissà perché a qualcuno mancano.
Lo dobbiamo anche al dramma dei morti, un dramma purtroppo orrendo ed incancellabile, quello di cercare di capire come tornare a vivere un po’ pienamente, cercando di avere un atteggiamento positivo e propositivo: perché di sicuro chi ci ha lasciati fra i nostri cari non avrebbe mai desiderato per noi di restare chiusi ed impauriti ed inermi nelle nostre tane, ma avrebbe invece sperato per noi un destino migliore del loro.
Avevano sbagliato, i 30.000 di Piazza Duomo a radunarsi, lo scorso 3 maggio? Sì.
Sono stati stupidi e superficiali ed anche un po’ arroganti, nel fottersene delle limitazioni che erano in vigore in quel momento? Sì.
Ma chi dava per certa una “quarta ondata” ha sbagliato, e sarebbe utile per tutti facesse ammenda. Chi voleva che quella gente in piazza venisse bastonata o arrestata, ha dei problemi di ansia di controllo istituzionale (…sicuri stareste meglio con Regime, magari ventennale? Sicuri sicuri?). Se il problema è l’assembramento, e lo è, quello c’è stato e c’è anche ogni mattina andando al lavoro, andando nelle scuole. Forse il problema non è solo quello. Forse la questione è più complessa. Non siamo esperti, non siamo virologi, non siamo politici: siamo cittadini, e il dovere che abbiamo noi è quello di informarci e di pretendere le condizioni migliori possibili per vivere, spronando chi di dovere ad offrircele. Nel momento però in cui un cittadino vuole sostituirsi a un tribunale, a una forza di polizia o ad un comitato scientifico, crea una forzatura. Ricordiamocelo. Non sempre le forzature hanno le gambe lunghe, o la Verità con la “v” maiuscola dalla loro.
Con la pandemia ci dovremo ancora convivere per un po’, e non sarà facile né immediato. Ma per l’infodemia, non solo quella dei giornali ma proprio quella parlando fra di noi ogni giorno, potremmo agire subito.