Capibara è senza dubbio uno degli artisti più innovativi del panorama italiano. Personalità che si è fatta conoscere sin dal primo album “Jordan” del 2014, seguito appena un anno dopo dal mixtape “Gonzo”. Luca Albino sembra aver trovato adesso un’ulteriore completezza, una maturità e una forza espressiva che non prescindono certo dal suo background, e in “Omnia” mette al centro del proprio viaggio situazioni e visioni quotidiane ma non per questo banali. Anzi, è la pluralità di questi eventi, sui quali il produttore romano pare aver riflettuto a lungo, a essere esaustiva, indagata nelle più intime sfumature, ben colte dai progetti visuali elaborati per alcune tracce da Karol Sudolski, a partire da “Santa Roma”. La buona riuscita di “Omnia” si deve infatti senza dubbio anche alla presenza di quest’ultimo, vuoi per la sua esperienza, dai video per L I M ai visual per Mecna e Fabri Fibra, vuoi per l’apertura mentale e la voglia di giocare con l’immagine. Noi di Soundwall abbiamo avuto il piacere di intervistare entrambi.
Mattia Tommasone: Iniziamo facile, si fa per dire. Luca, mi racconti un po’ dell’album: come nasce, da dove arriva, di cosa parla, eccetera?
Luca Albino: In realtà, è una domanda difficilissima a cui non so proprio come risponderti, perché non è successo che mi sono messo lì un giorno e ho detto “adesso mi metto a fare un disco“, anche perché poi tutta la mia carriera è stata un po’ strana, ho fatto il mio primo disco, “Jordan”, e sono stato in tour per due anni senza nemmeno accorgermene, nel frattempo studiavo per fare l’art director e mi sono trovato tutto d’un tratto in un altro ambiente in cui non ho deciso di trovarmi. Dopo quei due anni in tour, ho fatto il mixtape “Gonzo” e quindi un altro anno e mezzo di tour, per cui di fatto, dopo tre anni e mezzo di tour, volevo stare un po’ fermo. Io però non riesco a non fare niente, e “Omnia” è nato un po’ così, con leggerezza, in un periodo in cui volevo stare tranquillo, per cui è nato come una cosa che facevo più per me, per sperimentare robe nuove e stramberie: da quando ho iniziato a quando ho finito, avrò fatto qualcosa come trecento produzioni fra beat, tracce abbozzate, campioni e cose del genere. È un po’ un racconto di tutto questo periodo, ecco.
MT: E di queste trecento e passa bozze che non sono finite nell’album cosa ne hai fatto?
LA: Ti ho detto trecento per stare basso, tra l’altro, perchè credo siano molte di più! Comunque le tengo lì per fare altri dischi in futuro, quando avrò finito le idee, se per caso dovessi perdere il talento.
Francesca Bortoluzzi: Ma quindi sei un animale da studio, non ti piace stare in tour? È un po’ strano, di questi tempi tutti sembrano affermare il contrario.
LA: No, io voglio solo i soldi, non voglio la fama (ride, NdI)!
FB: Potresti fare il trapper, allora!
LA: No, zero, quella è solo fama e niente soldi (ride ancora, NdI).
MT: Nel disco in realtà non ci sei solo tu, ci sono altre persone come Dengue Dengue Dengue o Maldonado: com’è successo che vi siete trovati e vi siete scelti per collaborare?
LA: Beh, a me fin dai tempi di “Jordan” è sempre piaciuto collaborare con altri, perché mi piace fare qualcosa e vedere come un’altra persona vede la stessa cosa, di fatto ho sempre vissuto come un esperimento mettere insieme due punti di vista diversi sullo stesso argomento. In questo album, però, dato che racconta un periodo mio, che in un certo senso è più “intimo”, se vuoi, anche le collaborazioni sono di persone che fanno parte di questo mio periodo: con Dengue Dengue Dengue c’è un rapporto che è nato durante quei tre anni di tour, mentre Maldonado per me rappresenta Roma, io e lui ci vediamo una volta a settimana, ci facciamo chiacchierate di musica lunghissime, lui è uno che fa musica ventiquattro ore al giorno e soprattutto è un caro amico; con i Sxrrxwland, invece, è successo che io sono diventato il loro manager e loro lavoravano al loro disco mentre io lavoravo al mio, per cui stando assieme dodici ore al giorno è venuto naturale provare a fare qualcosa insieme. In sostanza, comunque, non sono featuring forzati, tipo che decido scientemente di fare un beat per poi darlo a questa persona X che non conosco perché penso possa funzionare bene, ma sono featuring che rappresentano me e il periodo di cui parla l’album.
MT: Una delle cose che ho trovato più interessanti e mi hanno incuriosito maggiormente, in questo disco ma anche negli altri, sono i titoli: io ammetto di essere un nerd, ma devo confessarti che leggere “Kojima” e “Wall Maria” nella tracklist mi ha letteralmente fatto impazzire.
LA: Ah, quindi capisci le citazioni, grandissimo! In “Kojima” c’è una citazione di Steins Gate, che può sembrare messa lì a caso in una traccia dedicata a Kojima ma in realtà è una citazione che ricorda un po’ le fatalità delle trame di Kojima, e allo stesso modo “Wall Maria” e “Asteroid Blues”: sono due anime completamente diverse tra loro, però in entrambi i casi, anche se hanno in comune solo il fatto di essere nati in Giappone, il tema di fondo è molto simile. Ad esempio Kojima è uno che nei suoi giochi affronta sempre tematiche malinconiche legate al fantascientifico, ai mondi distopici e alla perdita dell’umanità nel progresso. Quindi anche se all’apparenza metto assieme opere che non c’entrano niente tra di loro, io ci vedo una somiglianza a livello di tematiche.
MT: Ma secondo te quanta della gente che ascolta il disco poi le coglie, queste citazioni, e capisce il paragone che hai voluto fare?
LA: Mah, in quattro, più o meno (ride, NdI)! Contando noi quattro, ovviamente. Però di base se mi fosse interessato piacere a un pubblico vasto, o comunque ottenere numeri giganti a livello di play, di views eccetera, fondamentalmente avrei fatto un altro genere. Mi interessa che capiscano quei pochi che vogliono capire.
MT: In effetti “Omnia” dà proprio la sensazione di dare il meglio di sé, di essere davvero bello, solo a patto che tu abbia voglia di capirlo.
LA: Sì, bravo, è esattamente così. Solo se hai voglia di capirlo.
MT: Ma tu come la vivi però, questa cosa di fare i dischi solo per chi ha voglia di capirli?
LA: Te lo dico sinceramente, non voglio che sia presa per spocchia, però a me basta che il disco piaccia a me, se piace a me poi non mi interessa davvero nient’altro. È una cosa che mi succede anche quando suono live: generalmente sono uno molto pacato, non parlo quasi mai, però quando suono mi fomento tantissimo, mi muovo un sacco, spesso me lo fanno notare gli altri e io non me ne accorgo nemmeno, semplicemente perché mi diverto troppo, mi diverte quello che suono. Poi mi fa piacere quando qualcuno, come hai fatto tu o come mi succede spesso con Karol, coglie le citazioni e i riferimenti, perché mi fa pensare che allora non sono l’unico coglione al mondo a seguire certe cose (ride, NdI)!
Karol Sudolski: No, tranquillo, ci sono anch’io!
LA: In sostanza, mi fa più piacere che lo capiscano in tre persone ma che queste tre persone colgano i riferimenti e le citazioni piuttosto che in cento che mi dicano, genericamente, “mi piace la musica“. Sono più contento così.
Capibara/Luca Albino
MT: Parlando sempre di citazioni e riferimenti, tra l’altro, nel disco ci sono tantissimi campioni vocali: da dove arrivano?
LA: Guarda, veramente da qualsiasi cosa: ci sono campioni che ho preso al Mediaworld. Una volta ho accompagnato un mio amico che doveva comprare un computer e mi sono messo a suonare le tastiere in prova in negozio registrandole, oppure ho campionato i ragazzini sotto casa che urlano, ci sono anche pezzi vocali tagliati e distrutti, ad esempio da “Metal Gear Solid” stesso, e poi, boh, non saprei dirti, ce ne sono almeno una ventina tra videogiochi e anime.
MT: Però tutti quanti mi hanno dato l’impressione, che tra l’altro si può ricollegare a Kojima, di avere un po’ quel feeling “da cinema”, non saprei come altro definirlo.
LA: Assolutamente sì! Anzi, guarda, questa è la cosa che più di tutte mi fa piacere che passi del disco. Questo disco è un film, io lo vedo così. A parte che sono un malato di cinematografia, di qualunque cosa che si muova su uno schermo, uno dei miei sogni è fare o curare le colonne sonore dei film o dei videogiochi, anche perché le tracce di questo disco le ho pensate per dei momenti specifici, e quindi sono colonne sonore per quei momenti. Che poi i momenti siano in una vita, in un film, in un anime o in un gioco non cambia la sostanza.
MT: A questo punto, però, sono praticamente obbligato a chiederti le tue colonne sonore preferite. Lo so, è una domanda stronza.
LA: Ti direi sempre “la prossima”! Però adesso mi piacciono un sacco le musiche che sta usando Kojima, ancora lui, per i trailer di “Death Stranding”, sono clamorose sia le tracce di altri sia la colonna sonora originale che è fatta tutta da un compositore americano con sintetizzatori modulari anni ’70. Io riguardo spesso i trailer, perché non c’è altro, sono usciti tipo quattro trailer in sei anni che in totale sono circa quarantacinque minuti, e io li rivedo all’infinito solo per sentirmi dei passaggi, per sentire come si intreccia la colonna sonora con i discorsi, col tono dei discorsi, eccetera. Ma ti ripeto, Kojima è il Michelangelo dei nostri tempi.
KS: Tra l’altro non ne abbiamo mai parlato tra di noi, ma in “Santa Roma” c’è un campionamento proprio di un pezzo dalla colonna sonora di “Death Stranding”.
LA: Come fai a non amare quest’uomo (ride, NdI)? L’urlo che c’è in “Santa Roma” è proprio l’urlo che c’è in “Death Stranding”, quando ci sono Guillermo Del Toro e Mads Mikkelsen nella fogna.
FB: Mi sembra che tra voi due ci sia una certa intesa… Com’è nata?
KS: A caso!
LA: Io lo conoscevo già per alcuni suoi lavori, ho detto a Marcello (Farno , management, ufficio stampa e altro, NdI) che avrei voluto provare a chiedergli di collaborare, lui mi ha detto di sì, e ha fatto male (ride, NdI)!
KS: C’è un aneddoto simpatico: quando mi è arrivata la mail di Marcello, ero in compagnia di un mio ex studente, ex stagista, del Politecnico che mi ha detto tipo: “Capibara, nooo, devi assolutamente lavorare con lui, ti prego!”
LA: Che infatti poi è diventato “ex stagista”!
KS: No, in realtà io lavoro con gli studenti del primo anno del Politecnico di Milano e cerco di demotivarli al massimo, di dire loro che lavorare con me fa schifo, però siccome loro arrivano con l’idea di farsi tutto agosto a lavorare con me sono già molto motivati in partenza.
FB: Ma quindi, Karol, il video di “Santa Roma” è tutta farina del tuo sacco o c’è di mezzo anche l’aiuto di qualche stagista?
KS: No, lui purtroppo aveva da fare con la scuola e non mi ha potuto seguire, però faccio una premessa: io non capisco l’audio. Per quanto lavori spesso con la musica, non capisco niente di audio, al punto che quando ero adolescente, che è una cosa che racconto a tutti a riprova di quanto sia impedito acusticamente, volevo suonare il basso e il mio maestro dopo un mese di lezione mi ha detto “senti, cambia hobby” .
MT: E poi saresti tu quello che demotiva i giovani!
KS: No, beh, ha fatto bene, io non riesco nemmeno a battere il ritmo con i piedi, figurati se avrei potuto suonare il basso! Per via di questo, comunque, ho dei problemi con il montaggio, perché non capendo bene l’audio ho sempre paura di sbagliare e finisco per essere troppo quadrato, troppo regolare e le cose dopo un attimo diventano noiose. Però c’è una persona con cui lavoro, Giorgio Calace, che in realtà fa il fotografo di moda, ma che ha un orecchio migliore del mio e riesce a gestire molto meglio i montaggi, perché riesce a introdurre quell’elemento indispensabile di errore o di alterazione del ritmo che io assolutamente non riesco a concepire, per cui gli dico “nooo, non è possibile, dov’è la geometria?“. Quindi, per quanto abbia fatto io tutta la parte di rendering 3D e visual, in cui ho costruito una serie di pezzetti come fossero dei loop, dei campionamenti (e di fatto sono dei campionamenti della realtà perché si tratta di una tecnica di rendering 3D che si basa sulla scansione fotografica di oggetti reali), poi li ho dati in mano a Giorgio e gli ho chiesto di tirarne fuori qualcosa. Da lì, a step, facendo delle bozze e iterando, è venuto fuori un video completo. È molto utile lavorare con qualcuno di cui ti fidi in questo modo, perché è bello potersi concentrare sui piccoli pezzi, sui dettagli e non inquadrare il tutto, perché guardando tutto assieme a volte ti perdi, o almeno io mi perdo, mentre lavorando su piccole cose riesco a fare tanti piccoli test di rendering che lancio nelle poche ore di sonno che mi concedo e poi li rivedo e posso decidere quali tenere e quali invece mi fanno schifo.
LA: Hai un “rhythmic assistant”, quindi.
KS: No, non è un assistente, è proprio lui che guida (ride, NdI)!
MT: Luca, correggimi se sbaglio, ma è una cosa che succede tantissimo anche quando si fa musica, nel senso che ci sono produttori che ti dicono che adorano concentrarsi su come suona ad esempio una cassa, e poi da lì costruiscono dischi interi, oppure ci sono quelli che partono dalla visione d’insieme e poi da quella cesellano un disco aggiustando i dettagli.
LA: Ma ti dirò di più, penso che sia un ragionamento che si può applicare a qualsiasi tipo di arte, se ci pensi, vale per la scrittura, in cui ci sono quelli che scrivono i romanzi a capitoli e quelli che scrivono prima la traccia di tutta la trama e poi la raffinano, o nella scultura, o in tutte le arti. Penso che sia questo che unisce tutte le arti e che le differenzia dalle attività non artistiche: è l’approccio al metodo.
Karol Sudolski
FB: Io a questo proposito, da storica dell’arte, volevo fare una domanda a Karol riguardo a “Santa Roma”: tu sei polacco, hai vissuto in Valtellina e ora sei a Milano, mentre Luca è di Roma. Come hai fatto a far combaciare tutti questi luoghi?
KS: Il mio rapporto con Roma si basa sul fatto che Giorgio, la persona di cui parlavo prima, che è effettivamente il mio ragazzo, è di Roma, è dell’EUR, quindi anche se non ci abita più da dodici anni io ho conosciuto Roma andandoci in gita con lui.
LA: No ma poi, ti posso dire una cosa su Karol? Lui qualsiasi cosa gli dica io, e io parlo male, lui la capisce subito, quindi quando gli ho spiegato il video di “Santa Roma”, ma anche tutte le altre cose che abbiamo fatto dopo, lui ha dimostrato una capacità di comprensione veramente assurda, che mi ha impressionato.
KS: Se lo dici tu!
LA: Sul serio, se andiamo a sentire i brainstorming che ti mandavo su come vedevo le cose e poi vediamo come sei riuscito a capire, io credo che sia semplicemente bravura.
KS: Secondo me è semplicemente un caso che ci piacciano le stesse cose.
LA: Sì, vabbè, ma a loro dobbiamo dire che l’abbiamo fatto apposta (ride, NdI)!
FB: Però è innegabile che nel video ci sia una romanità che non è quella scontata, perchè per dire potevi mettere il Colosseo preso da cinquanta punti di vista diversi.
KS: Beh, per quanto a me piaccia il Colosseo e mi sarebbe piaciuto fare dei rendering 3D del Colosseo, non si adattava bene a questo video, perché l’idea era proprio prendere della romanità ma un po’ “B”, un po’ laterale, per cui per quanto io nelle mie gite con Giorgio sia ovviamente andato a vedere il Colosseo, girare Roma con qualcuno che ci ha vissuto fino ai 20-25 anni ti permette di vedere dei posti da local, per cui ho scoperto luoghi che mi piacciono e che sono più nascosti, come ad esempio le carcasse delle macchine al porto fluviale, il gasometro, i vari musei non troppo centrali.
MT: Roma è una città che si presta tantissimo a questa idea perché, se è vero che ha un lato “A” gigantesco, ha anche un lato “B” probabilmente ancora più vasto.
LA: Pienamente d’accordo, guarda per esempio la Centrale Montemartini, è uno dei miei posti preferiti a Roma eppure penso che nessuno la conosca: per dirtela proprio coatta è un posto dove ci sono tante statue diverse una dietro l’altra, mettiamola così. Ci sono tanti luoghi così a Roma che sono, diciamo, al di fuori del cerchio di via del Corso, che è quello a cui spesso ci si ferma, no? Pantheon, Piazza di Spagna, eccetera, quando invece ci sono il MAXXI, l’Auditorium e tanti altri posti clamorosi.
FB: Tra l’altro, tornando a parlare di lato “A”, ho notato che spesso nei video compaiono immagini di tipo religioso ma non per forza in modo blasfemo: come mai? È per fare un video trasgressivo, o che altro? O sono io che cerco di trovarci del significato che magari non c’è?
KS: Allora, diciamo che non è stata una cosa tanto pensata e ragionata a priori. Sicuramente non c’è un intento di utilizzare in modo blasfemo i riferimenti religiosi perché è qualcosa che comunque non sento particolarmente mia. Per quanto io non sia religioso e non abbia molto feeling con la religione, comunque l’arte religiosa, semplicemente, mi affascina: tieni conto che io ne capisco di arte quanto ne capisco di audio, però (ride, NdI)!
LA: Però diciamo che nei miei brainstorming riguardo all’immagine del disco c’era anche molta religione: OK, nessuno dei due è religioso, però la religione nel disco, e quindi anche nei visual, è una religione che acquisisci per via dell’ambiente in cui sei cresciuto, è un percorso che un romano medio si trova a subire per forza di cose, se ne parla perché fa parte della vita e del tuo percorso. Poi anch’io sono contro la blasfemia, è soltanto una presa di visione di qualcosa che faceva parte dell’ambiente in cui hai vissuto e quindi in qualche modo, a livello artistico o umano, ti ha influenzato.
KS: Poi capirai, io sono polacco e mi chiamo come il Papa!
LA: Beh, io sono cresciuto a Roma durante Wojtyla, che mi ha pure baciato!
KS: Per quanto io ne capisca poco di arte e di arte sacra ancora meno, e non sia religioso, le chiese o i luoghi di culto a livello estetico mi piacciono: credo ci sia anche un legame con le comuni elucubrazioni sui videogiochi, visto che il modo in cui i giapponesi o gli orientali in genere recuperano lo stile architettonico delle chiese – penso ad esempio agli scenari dei duelli nei giochi di combattimento – è qualcosa che ho sempre apprezzato.
MT: In effetti, le chiese, ma anche tutto l’aspetto ritualistico della religione, si prestano molto alla visione cinematografica, quindi indipendentemente dal fatto che sia qualcosa che fa parte del vostro percorso e della vostra storia personale è qualcosa che si lega anche molto bene all’idea di fondo del disco.
LA: Certo, poi, sai, il disco di fatto è basato sull’idea che ogni uomo sia il risultato dell’ambiente in cui vive, per cui se io ho frequentato la chiesa fino alla cresima per imposizione dei miei genitori è inevitabile che questa cosa abbia influito sul mio gusto estetico. Io e Karol siamo stati attenti a evitare di essere troppo blasfemi perché non ci interessava fare della critica politica o religiosa bensì raccontare qualcosa che ha fatto parte della nostra vita.
KS: Diciamo che nel video, semmai, c’è un po’ di critica all’aspetto commerciale della religione: la Madonna incellofanata, simbolo impattante di “Santa Roma”, parla della replicazione a livello industriale dei cimeli della chiesa, del lato più commerciale e secolarizzato. Quella forse è l’immagine più blasfema del video, tanto che a qualche presentazione me l’hanno fatta togliere perché reputata non opportuna, per quanto esista veramente: se ti fai un giro a Roma, è strapieno di Madonne incellofanate.
MT: Rimanendo sull’ambiente in cui siete cresciuti: qual è la primissima musica che vi ricordate di aver ascoltato, quali sono i vostri primi ricordi musicali
LA: Devi fare un po’ di distinzione, secondo me, tra le prime cose che ho ascoltato passivamente e quelle che ho scelto attivamente di ascoltare. Mio padre era fissato con la musica classica e con Battisti, per cui ascoltavamo quello. Il mio regalo degli undici anni, della festa delle medie, sono stati “Chocolate Starfish And The Hot Dog Flavored Water” dei Limp Bizkit e il disco degli Slipknot, e a undici anni sentire questa roba ti devia il cervello, anche se almeno mi ha insegnato un po’ l’inglese. Il mio ascolto attivo, come quello di tutta la mia generazione, è nato accendendo MTV, che per la mia famiglia megacattolica era quasi un tabù, e il video di “Take A Look Around” dei Limp Bizkit, così cinematografico, così hollywoodiano, mi ha stravolto: forse sono stato preso dalla musica sul piano visivo ancor prima che sonoro, proprio per via di MTV.
MT: A questo punto, allora, se mi dici che ti ha preso prima l’aspetto visivo, che ci siamo detti per “Omnia” è così importante, sono praticamente costretto a chiederti, anche se abbiamo già parlato di Kojima, quali sono stati i film e i giochi che hanno influito di più sulla tua estetica.
LA: Questo, però, è come quando mi chiedono il mio artista preferito! Non so quanti film ho visto e non so quanta musica ho ascoltato, per cui non ce la faccio a darti delle preferenze, a me può piacere la roba di Xavier Dolan come mi possono piacere i film di serie B di Sam Raimi degli anni ’90, tipo io adoro “Sharknado” ma mi piace un sacco anche “The Master”, che è una rottura di palle assurda, però è bellissimo, capisci? Non ho dei capisaldi, se proprio devo trovartene uno ti dico Kojima per i giochi e Kanye West per la musica, ma proprio perché sono costretto a fare un nome.
FB: Sulla copertina del disco, invece, chi ci ha lavorato?
LA: Io. È necessario però citare Les Mires (Virginia Alessandra Carillo), che ha fatto il gioiello che c’è sulla copertina e mi è stata dietro per mesi, con me che la stressavo, ma tutto il resto è venuto da me, anche in maniera abbastanza ansiogena per via delle scadenze, fino a quando, un po’ per esasperazione e un po’ perché non potevo più sfuggire, dato che la copertina è stata l’ultima cosa che ho fatto, ho scattato la foto, mi sono messo a lavorarci, ho fatto giusto un paio di prove ed è uscita così.
MT: Vorrei tornare a un tema che abbiamo toccato brevemente prima, cioè la parte live: avete in mente qualcosa di visivo anche per gli show?
LA: Il mio sogno sarebbe di portarmi quel tizio lì nei live, però è troppo indaffarato! Poi non si sa mai, magari quando ci chiamano a suonare al Pitchfork Festival o a Coachella ci andiamo insieme! Comunque, sì, stiamo preparando delle immagini, naturalmente, ma su questo lascio la parola a Karol.
KS: Beh, già “Santa Roma”, che non è di fatto un videoclip perché non rispetta nessuna delle regole standard dei videoclip ma usa un approccio molto più dichiaratamente da visual, anche perché a me non interessava raccontare una storia o lanciare un messaggio, una morale, è qualcosa in cui l’aspetto estetico è predominante e in cui io ritrovo i miei significati che nascono lungo la strada e qualcun altro può ritrovarci i suoi. Abbiamo usato lo stesso approccio per tutte le tracce dell’album, quindi ci sono delle immagini che accompagnano ogni traccia. C’era un progetto visivo insieme a quello del disco, in modo che l’immagine del disco, sia a livello sonoro sia per il momento su YouTube, sfocerà in un live set che avrà anche un aspetto visivo.
FB: A proposito di YouTube, anche il video di “Guccification” ha ricevuto ottimi riscontri. A me, per esempio, è piaciuta molto l’alternanza colore/nero, che però a questo punto immagino non abbia chissà che significato nascosto e, se c’è, magari me lo sono inventato io.
KS: Mi piaceva così, in effetti! OK, puoi pensare che le parti più buie siano qualcosa che emerge. È una cosa visiva, non ha molto significato, magari c’è qualcosa di implicito, ma nulla che possa realmente spiegare. Non sono molto concettuali, le cose che faccio…
FB: Ci sono dei pro comunque, perchè tutto ciò è molto più immediato dal punto di vista dell’impatto visivo, nel senso che non è necessario per forza cercare qualcosa… Mi viene in mente per esempio Liberato: i suoi video, o meglio quelli di Francesco Lettieri, sono bellissimi da vedere, ma sono giocati su un filo conduttore che unisce un po’ tutte le tracce…
KS: Io non ho seguito troppo questa storia, perchè alla fine sono usciti troppi video e non sono riuscito a starci dietro, ma le immagini che Lettieri ha creato mi piacciono molto. Per quanto le cose impostate che seguono una storia e pretendono di raccontare qualcosa solitamente non mi piacciano perchè penso siano pretenziose, in questo caso le trovo stupende. Io non faccio storyboard, faccio finta di farli per lavoro, ma in realtà non ne sono capace, mentre faccio cose che funzionano e sono belle e le rimpasto col resto. Comunque, Francesca, mi dispiace deluderti, ma nei miei lavori non c’è tutta questa introspezione…
MT: Ma quanto vi va di sfiga che vi stiate facendo intervistare da una storica dell’arte e da un nerd della musica e dei giochi che cercano di trovare significati sopra le cose!?
LA: In realtà, penso che le cose che faccia Karol abbiano un significato…
KS: In realtà, per me ce l’ha! Il significato non è un segreto che non mi va di rivelare, ma è molto personale. Sono immagini di cose diverse…
LA: Come Liberato, che avete tirato in ballo voi, ha qualcosa da raccontare, così i video di Karol danno gli elementi per questo film, che poi è il disco. Come immagini le cose lo senti però tu a livello personale, così come quando lui produce il video. Dipende dal gusto.
KS: Se ti devo parlare delle cose che faccio, io me le immagino come delle scenografie. Spesso, quando immagino situazioni della mia vita o eventi che mi succedono, ovviamente con mille paranoie ed esagerazione, me le immagino sempre in mondi scollegati e poco reali, un po’ teatrali. È come se mancasse una parte dell’informazione in questi video. É come se ci fosse solo lo sfondo, ma non le storie davanti, perchè quelle le piazzi tu. Io ho le mie, ma sono molto personali, non ha senso esplicarle, perchè appunto sono mie.
FB: Per te è lo stesso, Luca?
LA: Sono d’accordissimo con ciò che dice Karol. Lui ti da un palco, e poi quello che ci metti sopra lo decidi tu, singolo ascoltatore. Presenza per assenza.
MT: Ritorna appunto quello che stavamo dicendo prima: il disco è bello se hai voglia di ascoltarlo. Non ti sbatte in faccia tutti gli elementi in maniera facile, ma ti dà i puntini e ci metti un po’ del tuo per unirli.
LA: Come i migliori film e le migliori canzoni: non sono quelle che ti piacciono da subito, sono quelle in cui ci metti del tuo per capirle.
KS: Spesso sono delle sensazioni. Non so se sono alla fine quelle che Luca si aspettava. Ad esempio “Guccification” a me mette una grande ansia, il modo in cui si sviluppa il pezzo mi mette un’ansia quasi martellante, che emerge un po’ zuccherosa alla fine. Ma non è che in realtà pensassi a questo quando stavo sviluppando il video, viene un po’ naturale. Il mio “a caso” corrisponde a “spontaneo”.
LA: Forse è che il tuo “a caso” coincide con il mio “a caso”. Quindi si ritrovano i nostri “a caso”!
MT: Cambiando discorso, io ho una domanda da fare a Luca. È una curiosità: perchè il disco esce su La Tempesta e non sulla tua White Forest?
LA: Sono felice che tu mi faccia questa domanda. White Forest è nata per far uscire i produttori sconosciuti dalle loro camerette e offrire loro un servizio completo, senza pagare nulla. White Forest nasce per questo, tu sei nella tua cameretta, io ti faccio da ufficio stampa, ti faccio uscire il disco e ti faccio fare le interviste, nella speranza che poi tu faccia cose più grandi di noi. Agli inizi sono uscito lì perchè non ero ancora nessuno, non che ora lo sia, eh. Voglio che sia una vetrina per gli altri. Ai tempi andava bene, perchè era il mio primo disco, era la seconda release della label appena nata, e in quel caso andava bene. Ma già “Gonzo” è un mixtape che è uscito da solo, senza l’aiuto di White Forest. Nonostante gli alti e bassi per quanto riguarda il numero di uscite, rimane sempre una vetrina per i ragazzi che hanno bisogno di essere ascoltati. Vedere i ragazzi uscire da White Forest, come Montoya, Godblesscomputers e altri che adesso stanno avendo molto successo, è la cosa che mi fa più piacere al mondo.
FB: Ma hai ancora rapporti con questi ragazzi?
LA: L’aspetto più bello di questo ambiente è che, visto che non ci sono soldi, siamo tutti amici. Con Montoya, Go Dugong, Ckrono, Yombe ci sentiamo spesso, quasi ogni giorno. Montoya l’ho sentito oggi, ad esempio. Non siamo né competitor né nemici.
MT: La risposta alla classica domanda conclusiva su quali siano i piani per il futuro penso sia ovvia: quella di portare in giro il tuo disco…
LA: In realtà, no. Il mio piano è quello di finire “Red Redemption II”. Ci sono anche delle musiche pazzesche, ci sono Arca, i Queens Of The Stone Age… È un gioco che solo di campagna dura 70 ore, senza contare il resto. La cosa bella di questo gioco è l’intelligenza artificiale. Loro ti danno un avatar e poi all’interno di quel mondo decidi tu cosa deve accadere.
MT: Io sviluppo software, ho letto che c’è un team di produttori e grafici che si è occupato solo delle palle dei cavalli.
LA: È pieno di cazzate, che sono quelle che lo rendono davvero bello. Perchè alla fine la vita è piena di cazzate, le cose importanti sono tre o quattro, e questo gioco è così. Questo gioco ha un avanzamento tecnologico assurdo.
FB: Ragazzi, vi interrompo perchè io non ne capisco nulla di videogiochi! Io vorrei capire invece i vostri punti di vista su quest’album. Definisci “Omnia”.
LA: Bello (ride, NdI). A parte gli scherzi, forse il modo migliore per definirlo è “film”. Come dice Karol, dò una scenografia e poi quello che c’è dentro lo decidete voi, io sto cercando di raccontare una storia in maniera cinematografica. Diciamo che “Omnia” è il mio primo film, anche perché vorrei buttarmi sui film e sui corti.
FB: Karol?
KS: In maniera poco poetica, “seghe mentali di un nerd nella sua cameretta”.
LA: Ecco, ha spiegato meglio l’album lui di come l’abbia fatto io!
KS: Io, come vi ho già detto, non ne capisco molto bene di audio, il mio giudizio solitamente è “mi piace/non mi piace”, quest’album mi piace. Riesco a ritrovarmici, ad avere un link emotivo. Il mio pezzo preferito in assoluto è “Cattivi United”, perchè mi dà sensazioni. La prima volta in cui l’ho ascoltato è stato a maggio, che è il mio mese preferito, perchè c’è quel mix di caldo/freddo e biciclettata post-temporale, e mi si accompagnava molto bene nelle cuffiette pedalando, mi dava emozioni non ben spiegabili. Non do valore all’audio perchè non capisco le varie sfumature, ma le capisco lavorandoci su, quando mi trovo ad ascoltare un pezzo 150 volte. “Cattivi United” mi è piaciuto dal primo ascolto, lo trovo “emotivamente zarro”.
LA: Che è anche il genere del disco, “emotivamente zarro”! Sì, emo-zarro! Abbiamo inventato un genere.
KS: Sì, effettivamente è un album molto emo questo.
LA: Ed è anche molto zarro!
Intervista di Francesca Bortoluzzi e Mattia Tommasone