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[tab title=”Italiano”]Il talentoso newyorkese Daniel Lopatin ha pubblicato musica dal 2007 sotto il moniker Oneohtrix Point Never, registrando alcuni dei migliori album degli ultimi anni. Se la sua musica si è sempre contraddistinta per l’eterea risoluzione, lo stesso non vale per l’iconografia che si è costruito intorno, la quale è andata via via secolarizzandosi durante gli anni. L’ultimo tassello di questa “scesa in campo” è ben rappresentato dal nuovo “Garden of Delete”, un disco rock – in pieno stile OPN ca va sans dire – dalle cupe atmosfere dark. Abbiamo incontrato Daniel un mattino per colazione ed abbiamo parlato di RPG, pubertà e nichilismo – giusto per non farci mancare nulla.
La prima cosa che ho notato, girando su internet e leggendo articoli su di te, è che nel corso degli anni la tua estetica è cambiata e non di poco. Prima OPN era un progetto con una chiara grafica astratta, mentre ora sembra che tu sia sceso nel mondo e ti sia secolarizzato sempre più. Voglio dire, all’inizio di OPN avevamo copertine con cubi nello spazio, linee nel tempo eccetera, ora abbiamo te e il tuo volto ad accompagnare l’uscita del disco nuovo. Come mai questa discesa in campo?
Non so perché, francamente. Magari perché è stato un processo molto naturale ed organico, forse all’inizio fai le cose in un modo, poi te ne stufi e cerchi dell’altro…
Le foto promozionali dello scorso disco “R Plus Seven” vedevano già te, ma con una maschera in mano, questa volta per “Garden of Delete” ci sei andato dritto di muso…
Sì, mi piace pensare che questo disco sia più personale – e quello è certo – ma non c’era una chiara intenzione di mettere me e la mia faccia… è vero però, ora che mi ci fai pensare, che quando scatto foto promozionali per un disco, cerco sempre di essere il più onesto possibile. Ripensandoci, in questo caso, ho intuitivamente abbinato una foto di me al disco più personale che ho pubblicato fino ad ora; forse, in passato, non ero così preoccupato da me stesso e dalla mia vita… ma questo disco è definitivamente un disco introspettivo…
Allora parliamone di questo “Garden of Delete”: titoli come “Sticky Drama”, “Rage”, “Animals”, “No Good” hanno un ché di oscuro, di dark. Considereresti questo come un disco di musica dark?
Assolutamente sì. Ho registrato il mio disco precedente “R Plus Seven” tra le mura di casa, in uno stato di benessere casalingo, un tranquillo e caldo ambiente entro cui sapevo come muovermi. Il disco che ne è uscito fuori era un disco calmo e rilassato – non necessariamente zen o da meditazione, ma potevi sentirci un ambiente sano e confortevole, quasi ogni canzone fosse un ikebana o qualcosa del genere. In questo caso, “Garden of Delete” è uscito più violento, ha una genesi differente: l’ho registrato in una cantina senza finestre, un ambiente claustrofobico, in uno stato di trance dato dall’assenza di finestre. Immagino che questo abbia influito sull’esecuzione del prodotto in termini di suono e attitudine. Inoltre, vorrei precisarti, il tono e il tenore del disco rispecchiano la mia attuale visione del mondo, più cupa rispetto al passato. Non intendo dire che il mondo sia diventato un brutto posto o robe del genere, ma che la mia prospettiva di analizzarlo e di interpretarlo è cambiata (in negativo). Con “Garden of Delete” ho provato a trasportare questa visione in musica.
Qual è dunque il tuo approccio filosofico alla musica? Usa la musica per descrivere stati o per creare cose, come sentimenti o emozioni?
Mmmh, penso di avere un modus operandi che implichi entrambi gli approcci che hai elencato. Posso usare la musica in una maniera -diciamo – allegorica, e dunque per descrivere cose o fatti, ma credo che esista una considerazione formale della musica che implichi una certa materialità, che implichi una certa attenzione per la forma in quello che sto producendo, ed è questa che genera sentimenti. Credo, in questo nuovo disco, di essere riuscito ad integrare questi due aspetti, quello descrittivo e quello formale in un unicum. Credo che sia un disco di canzoni, una collezione di singoli, per la precisione – anche perché nel 2015 la gente ascolta solamente brani e non più album interi. Ho pensato dunque che fosse interessante pubblicare o cercare di pubblicare una raccolta di singoli che però, allo stesso tempo, riuscisse a diventare un disco intero. Volevo che, se analizzato da distante, il disco suonasse monolitico, come quei dischi degli anni ’70. Volevo che suonasse così e allo stesso tempo come una collezione di brani del 2015 che puoi trovare su iTunes.
É questo il motivo per cui suona molto “rock and roll”? É un insulto per te?
Tutt’altro! Mi piace l’importanza che il rock e il pop hanno dato per decenni al concetto di album nella sua totalità, e penso a dischi come Sgt. Pepper e altri di quel genere. Per questo motivo mi sono chiesto come riuscire a pubblicare un disco che suonasse come un “The Wall”, come riuscire a pubblicare qualcosa che avesse un certo peso, in anni come questi dove la gente vuole brani pret a porter. Volevo unire questi due aspetti in un unico disco, ed è dunque nato “Garden of Delete”.
Il tuo disco mi ha ricordato “Metal Music Machine” di Lou Reed, non tanto per il suono ovviamente, ma quanto per la decomposizione strutturata dell’idea di rock and roll che entrambi presentate. La differenza forse sta nel fatto che il disco di Lou Reed non fosse affatto empatico… tu sei una persona empatica? La tua musica è empatica?
Non so! Dovresti chiederlo a chi mi conosce, credo. Di solito, posso dirti, mi ritengo un essere umano che prova empatia verso fatti politici e sociali che mi circondano anche se cerco come musicista di starne alla larga…
Credi che sia necessario per un musicista essere nel mondo, politicamente attivo?
No, non lo penso. Gli artisti non devono per forza mostrarsi socialmente e politicamente. Non ho mai pensato che uno lo debba fare, chiaramente è libero di farlo, ma non è obbligatorio. Sai, credo che l’empatia sia uno dei tanti aspetti della consapevolezza di sé. Sapendo chi siamo, diventiamo empatici…
Che mi dici del titolo del disco? Suona come un ossimoro: “Garden” implica un posto sereno, tranquillo e sicuro (Jardin Secret, Hortus Conclusus alcuni classici riferimenti), ma “Delete” implica un violento atto totalitario, come quelli di cancellare, rimuovere… come questo titolo?
Be’, è esattamente come l’hai messa tu… mi piace il modo in cui l’hai descritto. Da un punto di vista forse più pratico, mi piace l’idea che da situazioni negative e annichilenti possano nascere elementi positivi. Da un punto di vista ancora più mistico, invece, “Garden of Delete” sta per una rappresentazione di uno scenario ineffabile, qualcosa che risulti difficile da immaginare.
Cercavo di decifrare la copertina del disco…mi ha richiamato alla mente scenari medievali…
Cerco sempre, con le mie copertine, di definire parametri che gli altri non hanno ancora raggiunto. Cerco di trasmettere una certa emozione nelle copertine dei miei dischi. In questo caso, l’idea per la cover mi è venuta da una collezione di immagini che questo tizio ha disegnato per delle magliette che vendeva sul suo sito internet. Le immagini sono prese ed elaborato partendo da un RPG chiamato “Dungeon & Diagraph” (questo è quello che pensavo di aver capito, ma non ho trovato nulla online… scusate), e l’artista ha creato questo scenario nel quale tutti i personaggi del gioco si ritrovano insieme, quasi fosse una specie di Sgt. Pepper… Ho pensato che fosse un’immagine creativa e allo stesso tempo melanconica e triste, perché di fatto, non capiterà mai in un RPG che tutti i personaggi si ritrovino nello stesso momento e nello stesso luogo. L’ho trovata molto melanconica perché se potessimo incontrare tutti i personaggi insieme, non li troveremmo spaventosi o crudeli, ma ci sarebbe quella specie di aria da festa, come se stessero celebrando qualcosa… Allegorico abbastanza per finire nel disco. Fun fact: mentre ci stavo lavorando su Photoshop, non so perché, i personaggi che avevo selezionato sono usciti schiacciati in verticale… mi è piaciuta l’idea e l’ho tenuti così.
Hai menzionato sentimenti come “ironia” o “tristezza” o ancora “nichilismo”: qual è il sentimento che più di ogni altro di spinge a scrivere?
Qualunque sia la ragione, e sebbene sia un cliché, ti dico che tendo a scrivere musica migliore quando sono depresso, quando mi sento più competitivo e solo…
Be’ perché magari quando stiamo bene, preferiamo uscire che stare in casa…
Esattamente. Quando sto bene e sono felice, esco o preferisco fare altro. Non ho molta voglia di guardarmi dentro ed analizzarmi…
So che sei stato in tour con i Nine Inch Nails e i Soundgarden, come è stata l’esperienza?
É stato fantastico! Una vera esperienza rock and roll, davvero scioccante, a tal punto che mi ha spinto a riconsiderare il mio concetto di musica e dell’industria musicale in toto. Ho fatto parte di un’enorme macchina da concerti, come una specie di organismo dai ritmi marziali; veder montare e smontare questi spettacoli in giro per gli Stati Uniti è impressionante, fidati. Mentre le band dormivano nei bus, io pernottavo in motel, e la mattina seguente guidavo la mattina fino al mio soundcheck delle 5.30 del pomeriggio. Guidare per questi lunghi tratti, attraverso gli Stati Uniti, mi ha dato tempo per pensare al fatto che stessi suonando con due band che ascoltavo da ragazzino, due band che ho amato quando avevo dodici anni. Mi ha fatto parecchio pensare al tipo di persona che sono oggi e a quella che ero al tempo… ho elaborato parecchi ricordi legati alla mia pubertà e alla mia adolescenza…
C’è parecchia frustrazione sessuale in questo disco, vero? Magari perché è legata ai ricordi della tua adolescenza e pubertà…
Sì, c’è una tensione sessuale che attraversa il disco…
[momento di gelo, colpo di tosse, sorseggiando acqua senza guardarci]
Considerando la musica come un “linguaggio organizzato”, quanto di non organizzato c’è in OPN?
Fino a qualche anno fa, la storia di OPN era una storia basata sulla disorganizzazione. Sto diventando invece sempre più organizzato, e mi sto dirigendo sempre più verso una situazione in cui gestisco lo spazio di disorganizzazione creando deliberatamente strutture caotiche colme di idee, mentre prima avevo questi contenitori di idee straripanti di disordine che spesso non riuscivo a gestire. Diciamo che mi sto muovendo verso una più canonica definizione di musica.
Be’ se vuoi entrare nel mainstream rock è la mossa giusta…
Eheh, hai ragione. Sia chiaro che la mia idea di entrare nel mondo del rock è puramente concettuale. Mi piace come hai posto il problema perché è quello che mi ripetevo in studio, dicendomi che con questo disco sarei entrato nel rock business. La musica che ascolto oggi giorno è la musica che produco, se ora voglio ascoltare musica più rock me la devo scrivere, se voglio un brano di batteria per quaranta minuti me lo devo scrivere… non riesco a dividere il mio essere fan da mio essere scrittore…
Quando hai terminato di produrre un brano, quale sentimento provi? Voglio dire, credi in quello che hai scritto o sei ipercritico e smonti quello che produci?
Dipende dalle volte. Ci sono situazioni in cui il brano esce fuori perfetto, come lo voglio, senza che debba lavorarci su troppo. Come nel caso di “Animals” che in due o tre ore era pronta e l’ho mandato all’etichetta la sera stessa. Altre volte, come nel caso di “Sticky Drama” in cui per raggiungere il risultato che desidero ottenere, devo lavorarci parecchio… il brano sembra che suoni molto semplice – grazie ad una melodia in effetti semplice, ma in verità ha una costruzione complessa, dietro alla quale ho trascorso parecchie settimane…
Due domande basilari per terminare: come funzionerà il live set?
Come è facile immaginare, stiamo lavorando ad un live set più rock, ora che nel disco ci sono delle chitarre, potremmo infilarle anche dal vivo… Vorrei proporre qualcosa che fosse divertente come un live rock, ma allo stesso tempo interessante come una performance elettronica…
Per finire, quali progetti hai in serbo?
Lo vuoi davvero sapere? So che è il più grande cliché della storia, ma voglio scrivere un’opera, magari un’installazione teatrale, tipo quella proposta da Marina Abramovìc lo scorso anno… mi piace l’idea di riunire un gruppo di gente di talento su di un palco e vedere che ne esce…
Hai già qualche idea?
Sì… ma sai una cosa? Preferisco tenermela per me… quando dico qualcosa nelle interviste è come se piantassi un seme nella mente di qualcun altro, qualcuno con più soldi e idee migliori delle mie che inevitabilmente me la ruba e diventa famoso![/tab]
[tab title=”English”]The brilliant new yorker Daniel Lopatin has been realizing high quality music since 2007 under the moniker Oneohtrix Point Never, recording few of the most iconic records of the last eight years. While his music has gone more and more sophisticating, we might say that the musicians has been shifting the image of himself slowy by slowly from a very conceptual iconography to a more specularic representation. The last step of this transformation is the latest album “Garden of Delete”, a sort of dark album – written in a very intellectual way, obviously- with a precise rock attitude. We met Lopatin in Shoreditch for a coffee and we talked about puberty, RPGs and Nihilism.
The first fact that I have noticed, surfing on the web, about your promotional pictures, is that, from an aesthetic point of view, the image of yourself have been changing during the last years. I might say that there has been a shift from a very abstract formalism (pictures with cubes floating in space, lines, elements in space and time) to a very actual representation of yourself, when I say this, I mean the fact that now you put yourself, with your face, in front of the camera. Is there a reason for this secularization?
I don’t really know, I mean, I guess it was a very natural and organic process, so maybe you just start somewhere and then you loose your interest naturally and you gravitate into other things…
The promotional picture of your last records were showing yourself already, but with a mask. This time there is not mask…
I think that this record is just more personal, that is for sure, but there were no intention in taking picture of me and my face. When I take photos of the album, I am always trying to make something that looks honest with the material, so I think I have intuitively got the point where I wanted to show something a little bit more about myself and my persona. While, maybe, in the past I was not so self focused and centered I guess. But this recored has more me myself…
Well, let’s talk about the songs of the records: “Sticky Drama”, “Rage”, “Animals”, “No Good”, it seems that, semantically speaking, we are in the area of the dark-rock. Do you consider this record as a dark-music record?
Yes, absolutely. I recorded my last album “R Plus Seven” at home in a state of domestic bliss, it was a tranquil and safe, environment, because recording from home is safer, and so I ended up recording this interior record I would say, that does not mean that it was a meditation record, but that each piece of music felt like a piece of my home, an ikebana or stuff like that. This one is more unleashed: I was working in a basement without windows, perhaps I was spending something like eighteens hours down there, going nuts and getting into this windowless trance. I also I think that the tone and the tenor of the way I am now seeing the world is quite obscure, dark, not very happy. I don’t think that the world has become a worst place, or a more dangerous place, it is just my tension through it, the vision I have of the world that has changed, and I wanted somehow synthesized these visions into an account.
So, what is your philosophical approach to music? Do you use music to describe things or to make things, like building up emotions?
I think both to be honest. I can use music in allegorical way, and therefore to describe things, but also I believe there is a formal consideration about the shape, the materiality of the things I am making. I think in this record I am starting to integrate the descriptional aspect with the material aspect into one full things. To me this records is about songs, and collection of songs. You know, in 2015 people don’t listen to albums anymore, they listen to songs. I thought It was very important and interesting to me to make a record that was just a collection of singles and songs, one after the others, but also a record that, if seen from a step aside, sounded also monolithic. I wanted this sounded like a proper whole record like in the ’70s and at the same time like a collection of songs of the 2015 on iTunes. I really wanted this things worked together.
Is this the reason why it sounded very rock and roll? Is this an insult to you?
No, not at all! I like the importance rock and pop music gave to the idea of a whole record, writing an entire album like Sgt. Pepper and stuff like that, therefore I was asking myself, how would it be now to release an album like “The Wall”, how could I make a statement record when everybody nowadays wants fast music pret a porter? How could I hybridize these two forces in the contemporary music market?
This record really reminds me of “Metal Music Machine” by Lou Reed, not in terms of sound obviously, but as a conceptualization of a rock aesthetic. The Lou Reed album was not very empathic though. Would you say that your music is empathic? Are you an empathic person?
Mmmh, I don’t know, it is those kind of things we should I ask to other people. Typically, I can say that I am politically challenged but I tend not to engaged these big broad political problems…
Do you believe that is mandatory for an artist to be socially/politically involved?
No I don’t, they don’t have to. I have never thought that It was for an artist to be involved in something to be honest. I can say that empathy is a result of some sort of awareness, there are a lot of effect of awareness, and empathy can be one of those.
What about the title of your now record, I mean, it sounds to me like an oxymoron, “Garden” clearly reminds of something safe and beautiful, like the “Jardin Secret” or a “Hortus Conclusus”, while “Delete” can carry a very sad meaning, like a violent action, a totalitarian act. Why?
Well you just said it. I liked the title and you got it. More broadly, I like the idea that good things can come from negative and nihilists situations. I think in general the more mystical way “Garden of Delete” is more of a representation of an ineffable scenario, something that would be hard to image. It is pretty much what you said, anyway.
I was trying to decoding the cover of the records, and it reminds me of some Medieval Glass window…
I always try, with my covers, to define stuff that others haven’t yet, I tent to see some sort of emotionality in the covers of my records. The image of this one, actually, come from a collection of images that this guy designed for some t-shirts, that he was selling on his websites. They were these characters from this RPG called “Dungeon and Digraph” and he put every single creature you encounter in the game in a composed image, like St. Pepper-type. I thought that was kinda creative and also melancholic and sad, because it is a moment that you never live in the game because it never happens that you meet all of the character together. It was ver artistic. If you could encounter all of them together, none of them would result intimidating, because they seem having a party kinda and they are to me dancing. So I thought it was an nice allegory for the album, and then when I was working on it, something went crazy on photoshop and squeezed those figures all together.
You mentioned “Irony”, “Sadness”, “Nihilism” what are the main feelings that drive you to write music? Do you write better music when you are depressed or happy?
For whatever reason, maybe it is a cliché, I tend to write better music when I am depressed. When I am feeling most competitive/lone/and depressed…
Well, perhaps because when we are happy we want to go outside and live…
Yes, exactly. When you are happy you just want to do something else, and not analyze your inner self.
I know you have been touring with Nine Inch Nails and Soundgarden for the last months. How was this experience?
It was great! A rock experience, very shocking and in a way it forced me to think about to music business and industries more than I have ever had before, in my little life. It showed me all the live machines, the live music world and how it like a military machine, just setting up these shows every day and pull them down every night, that was fascinating indeed. While the bands where sleeping on bus, I was sleeping in some motel and then in the morning I was driving my car, basically all day until my soundcheck at 5.30 pm. Driving all the country, thinking about the tour, the bands that invited me, so it forced me to reconsider all the music industry. I remember these bands like actually two of the few first bands I approached when I started listening to music, when I was 12 and with tapes. This fact made me think about the kind of person I was when I was young, the tour made me think a lot about adolescence and puberty…
there is a sexual tension in the record… I felt it, during the tracks of the album, maybe because it is linked to adolescence and puberty…
There is a big sexual tension in those years, and you can fell it in the record too.
[few seconds of silence…]
Considering music as an “organized language” I would ask you how much of organization is there in your music?
In the past, there was more un-organization, the story of OPN is a story of organization, I am becoming more and more organized and more and more moving away from an open ended kind of organization where you have ideas that are like buckets and that can be filled with chaotic stuff, to a situation when I purposely am creating chaotic structures that are filled with ideas. I am more and more moving into a more traditional concept of music.
Well, if you want to make a move in the rock business you have to be more organized…
Well, yes. But my idea of stepping into the rock business is like purely conceptual, but I like what you said, because is what I am saying to myself when I am in the studio, I am saying to my self “ you are making a step in the rock business” and it becomes a formal consideration and a statement. You know, the music I want to listen to these days is the music I am doing right now, I won’t making anything else than what I am doing at the moment. I can separate my urge as I fan to the music I want to write, so if I want to listen to a 40 minutes drum piece, I am going to write it.
When you write down something, do you hate it? What are the feeling you are living when the creative process is over? Do you believe in yourself so much that you like what you do, or do you hate it but at the end it results being a good product?
It really varies, there are very lucky moments where things are so strong that it is like a one way ticket. Like “Animals” came together in 2/3 hours and I know it was perfect, and I sent it to the label the very same night because I know that was the single, but it is not always like that. Like “Sticky Drama” that it is such an insane construction that even it feel very direct in terms of melody I wanted to be as elaborated as possible, and I took a lot of refining…
Two regular questions to finish our interview: how does your new live set work?
We are working in a rock live obviously, now that the material allows to, we are going to use guitars and it will challenging. I am still trying to synthesize what makes a live set a fun experience and what make an electronic set an interesting experience.
And, what’s next for OPN?
Do you really want to know? I know it is the biggest cliché in the world, but I really want to write something like an opera, a theatrical installation I would call it to be sure… Maybe something close to what Marina Abramovìc did last year… I want to mix very talented people together in a stage and see what will happened…
Do you have already an idea about it?
Yes, it is like….hum… wait, you know what? I am not going to tell you, sorry. You can record this in the interview, I feel like when I say things in interviews I put a germ in the world, and someone out there, with more ideas and money is going to make that idea.[/tab]
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