Ormai va detto: assieme a Kappa FuturFestival e Club To Club, è giusto aggiungere anche Jazz Is Dead. Delle tre è chiaramente la compagine più piccola, scomposta, irregolare, barricadera, quella meno educata e che difficilmente entrerà mai nei “salotti buoni”, ma il modo in cui la rassegna nata in primis dalle intuizioni e dalla sensibilità di Alessandro Gambo sta crescendo è veramente ma veramente bello. Una crescita organica, non “drogata” da elementi esterni ma basata unicamente sulla forza (e la testardaggine, e la competenza) di chi la porta avanti. E, ricordiamolo, la porta avanti scegliendo un misto di elettronica irregolare, avant-jazz, sonorità black non-occidentali, noise e solo qualche scheggia di traiettorie un po’ più standard da club. Un percorso accidentato, pieno di spigoli, ma bellissimo per chi vive la musica come un’esperienza ad alto impatto emotivo e ad alto tasso di avventura. Un percorso che vive acquattato negli interstizi rispetto alle “autostrade” dei generi codificati, degli artisti universalmente affermati, delle scelte facili da comunicare, dei pubblici già ben identificati. Non è questione di cosa sia meglio o cosa sia peggio, occhio, questo sarebbe il modo sbagliato di affrontare la questione: è questione che è bellissimo ci sia un approccio non convenzionale, ed è bellissimo che questo approccio funzioni sempre più, abbia cittadinanza e possibilità di crescita.
Sì, perché nel 2022 Jazz Is Dead – dal 27 al 29 maggio, con extra date il 4 maggio, 7 maggio e 10 giugno, tutte di altissima qualità – cala la line up probabilmente migliore di sempre. Scorrendo alla rinfusa tra il programma: non possiamo non partire da Not Waving (ecco perché), ma ci sono anche il reverendo The Bug, Stephen O’Malley in una sua nuova avventura, Charlemagne Palestine con una band di pregio notevole, Dälek, l’incendiario Fire! capitanato da Mats Gustafson, Colin Stetson, Moor Mother, Oren Ambarchi, Holy Tongue con Valentina Magaletti, Katatonic Silentio – ma l’elenco è ancora lungo, da interessanti focus sul “nuovo” clubbing di matrice africana a punti di riferimento sempre fermi come The Dreamers con MC Kwality (praticamente dei “padroni di casa”, nonché la proposta più schiettamente festaiola e “codificata” del festival).
Nato col piglio del nascondiglio carbonaro per chi voleva musica irregolare a contrastare i grandi filoni già consolidati e organizzati, Jazz Is Dead – per meriti acquisiti – sta diventando via via un’ammiraglia di peso europeo, almeno nel suo, e si sta in generale consolidando come realtà importante in sé e non più solo un avamposto “di rimessa”. Siamo però abbastanza sicuri che il suo spirito – molto semplice, molto alla mano, zero pretenzioso – non cambierà. Insomma: se c’è da essere orgogliosi dei grandi festival torinesi Kappa FuturFestival e Club To Club (ma anche ToDays e il Torino Jazz Festival o la costola “cinematica” Seeyousound, allargando l’obiettivo…), che offrono una declinazione di livello internazionale come qualità ed impatto del concetto di “festival” nei propri rispettivi campi, ormai al club suddetto va aggiunto anche Jazz Is Dead. Non farà certi numeri, non piacerà altrettanto agli ambienti più sciccosi ed affluenti, ma accidenti che bella cosa che è diventato. Tutte le info pratiche le potete trovare qui. Weekendone a Torino a fine maggio, su.