Poche ore separano la fine di luglio dall’ingresso di agosto, la luna si staglia luminosa su un cielo blu profondo, dal palco risuona una voce calda e incalzante su un tappeto bolero elettronico dalle tinte scure, che dice: «Mi riconosco in quella roccia senza tempo / Per far cessare il tempo intorno ad essa» (Me reconozco en esa roca atemporal / Para hacer que cese el tiempo en su entorno).
È quella di Lucrecia Dalt, che nei versi della sua “Atemporal” sembra involontariamente fare un’ode alle mura del Castello Maniace, a dominare l’ultima parte di terraferma che separa Ortigia dalle calde acque dello Ionio. Sono gli istanti che ci avvicinano alla fine di un nuovo ed intenso Ortigia Sound System, e fotografano un momento di trance che tutti sembra stiano cercando di godersi in religioso silenzio: il main stage è stato infatti teatro di tre notti—per così dire—un po’ turbolente, tra cancellazioni dell’ultimo minuto e switch di lineup da abbozzare all’istante (la presenza di alcuni artisti come Joy Orbison, Moin e BADSISTA, tra gli altri, è stata affetta dai dieci giorni più problematici dell’anno, tra incendi e conseguenti disservizi all’aeroporto di Catania e fuochi su tutta l’isola). E nonostante tutto, la forza della musica ha voluto avere la meglio sulle intemperie di questa edizione.
L’offerta del festival siciliano, che da esperienza “boutique” con sguardo sull’elettronica in rampa di lancio si sta muovendo sempre più verso un’idea di oasi club a cinque stelle e per tutti i palati, ha confermato di potersi sedere a giocare ai tavoli più ardui, sia in materia di lineup che in generale per la varietà di venue che—per rimanere in linea con la metafora—era possibile pescare dal mazzo in modo sempre diverso, per godersi l’esperienza. Uno showcase Hyperdub all’aftershow nell’esotica campagna poco fuori Siracusa (con capitan Kode9 ad accompgnare Ikonika e Scratcha DVA), uno per PSY X (con Buttechno, Nikolajev e Triš), le escursioni nel pop del futuro inseguito da Marina Herlop (in scena al Teatro Comunale di Siracusa) e dalla stessa Dalt, il club che si muove dal Mediterraneo all’Atlantico con Nick León, Bitter Babe, Toumba e due lunghe preview in versione dj set interamente co-curate dalla palestinese Radio Alhara, nella zona del porto (ospite insieme alla greca Movement Radio, dedicata invece a sonorizzare il risveglio mattutino in zona mercato con un’altra fitta girandola di ospiti, in partnership con Carhartt WIP).
C’è già un gran giro del mondo in queste poche righe, c’è stato anche e soprattutto per le strade dell’isola, fino allo stage del lido tra le onde che abbracciano gli scogli: come vuole il mito della ninfa Aretusa, trasformata in fonte d’acqua per sfuggire dalle grinfie dell’innamorato Alfeo, siamo un po’ diventati acqua anche noi, nel continuo esodo tra tropicali vicoli assolati e albe jungle da bere. Non si fuggiva da nessuno, però, si cercava rifugio (e refrigerio) nella musica, che da queste parti rimane una certezza oltre le temperature proibitive ed anche oltre la terraferma, grazie al ritorno dei boat party (in collaborazione con l’agenzia creativa Kadmonia, La Barca Ortigia ed il supporto di K-Way) a circumnavigare il golfo tra i beat di John Talabot, Dj Plead (mattatore assoluto, sia in versione dj set che live, su tre palchi diversi) e Nikki Nair, tra gli altri.
Cosa manca, a questo racconto? Il tempo per fare tutto, probabilmente lo stesso che Lucrecia Dalt vorrebbe far cessare dallo scorrere—esattamente come dicevamo un anno fa. Il main stage, in particolare, sembra sempre un po’ penalizzato dalla transumanza verso gli after, che si traduce nella volontà di molte persone di bissare su buona parte degli act principali, ad inizio serata: sopravvissuti bene i ritmi incessanti degli Acid Arab nella parte centrale di venerdì, ne hanno fatto le spese gli Space Afrika in quella di sabato, ne sono usciti nonostante tutto in trionfo i Salò, che dalla suggestiva performance che prende vita nel loro covo romano hanno portato in live un suond che ha mangiato come in pochi altri casi il palco del Maniace. E dato che siamo arrivati alle conoscenze nostrane, da aggiungere e impossibile da non menzionare anche la psichedelica performance di Valentina Magaletti (artista in residency con la portoghese Nídia, che ci aveva anticipato il racconto del live a OSS poco tempo fa), in un magnetico dialogo tra giochi di batteria e skit vocali sperimentali che diventano materia da dancefloor, così come bene sta andando il nuovo esperimento di Lamusa II in formazione band come Lamusa II & The Assembly Group—anche in questo caso a richiamare a suon di bassi e voci ancestrali la folla accorrente al castello.
La vera scoperta, alla fine di questa edizione, è che il linguaggio di Ortigia Sound System sta silenziosamente attirando a sé la capacità di incastrare un gigantesco tetris di evoluzioni musicali, da Berlino a Londra passando per l’America Latina e il Medio Oriente, pur mantenendo un’ossatura molto simile, a livello strutturale, alle recenti edizioni (e lottando anche con qualche imprevisto di troppo). Perché in Italia, a questi livelli, è difficile trovare (e chiedere) di più, oltre i soliti nomi e soprattutto senza i soliti nomi. Incendi e aeroporti in crisi a parte, significa che questo racconto è da continuare facendo all-in, seduti ancora una volta al tavolo più duro, indovinando le carte giuste.
E le premesse per la maturità definitiva, da una base che parla già una lingua internazionale, dicono che a fine Luglio ci sarà sempre più possibilità di veder traslocare il soundsystem del Fabric su una barca o l’oscurità del Berghain nel verde di palme, papiri e ficus.