Ortigia, Ortigia… quanto mi manchi Ortigia! Nonostante sia passato qualche giorno
dalla chiusura del festival ho già fatto partire il countdown per la quinta edizione.
Perché adesso, a mente lucida, Ortigia Sound System è uno dei “boutique festival” migliori d’Italia, o meglio, di più: ha tutte le carte in regola e le potenzialità per essere uno dei festival “must be” dell’estate italiana. D’altronde la Sicilia resta sempre una terra incredibilmente accogliente, e l’isola di Ortigia è quel pezzo di paradiso dove si mangia bene, si beve bene, i diversi scorci tolgono il fiato e le architetture sono un patrimonio mondiale dell’umanità, e qui gli organizzatori sono stati intelligenti nel rendere il festival una vera e propria esperienza da vivere non solo quando il sole muore in acqua e la luna sta lì in alto, ma anche la mattina e il pomeriggio sono stati costruiti in modo tale da poter di essere vissuti con la stessa intensità.
Considerate che OSS (per abbreviare il nome intero) quest’anno, meglio degli
anni passati, ha avuto un tocco luminosissimo per quanto riguarda la formazione
della line up, con nomi belli e sorprendenti, il tutto con un focus sullo stimolo
intellettuale – vedi alla voce Awesome Tapes From Africa, Sevdaliza e Rocco
Pandiani – perché su questo punto l’organizzazione da sempre instaura un dialogo
tra la Sicilia, il mare Mediterraneo, l’Africa e il resto del mondo. E in questa quinta
edizione la strada battuta ha dato i suoi frutti.
L’edizione 2017 ha proposto con consapevolezza una visione di modernità musicale diversa e senza compromessi, arricchito la line up di tante piccole chicche che hanno reso questo festival una vera gioia per le orecchie. Perché sì, c’era l’unico show in Italia dei Mount Kimbie, la prima volta su un palco italiano di Sevdaliza, c’era Palms Trax, a rassicurare un certo pubblico “presenzialista” tipico dei festival più lanciato sulle frequenze da club. C’era Erlend Øye, e il suo concerto in acqua di pinkfloydiana memoria è andato sold out in meno di una settimana (ed è stato uno dei punti più alti del festival). Il mare mosso ha penalizzato la logistica e la tempistica del concerto, ma nonostante questo Erlend Øye ha portato a casa il risultato, suonando di fronte a tre barche gremite di fan pendenti dalle corde della sua chitarra – chitarra da cui sono uscite le note di alcuni dei pezzi più belli della storia musicale italiana, per terminare infine il concerto con un bagno in mare e un saluto al suo pubblico: un gesto che sapeva molto di calciatore che va sotto la curva dai suoi beniamini.
I dj set di Baba Stiltz, Palms Trax e Paquita Gordon, unica concessione al
mercato della club culture più canonico, hanno dato i loro frutti. Il primo, produttore per Studio Barnhus e Public Possession, ha murato l’Antico Mercato con un set molto furbo tra suoni tech-house e minimal e qualche chicca come “Chappell” di Barnt. Palms
Trax, nostro pupillo da una vita, si è dimostrato molto maturo nel reggere una
sfida come il closing set del main stage. Nonostante gli sia stata data una posizione defilata rispetto alla centralità del palco e nonostante gli operatori stessero smontando alle sue spalle il set up dei Mount Kimbie (ahi! ahi! ahi!), Palms Trax ha fatto il suo e lo ha fatto molto, molto bene: Unit 2 – “Sunshine (Kink remix)”, Chaka Kenn – “All Night” e Purple Disco Machine – “Disco Funk” sono stati alcuni dei momenti più belli passati sotto cassa. La terza, Paquita Gordon, nome sempre più solido del dancefloor italiano, a cui è stata affidata la chiusura di tutto il festival, ha composto un set-mosaico che ha toccato tutti i lati della musica elettronica, dalla liquid passando per la breakbeat e l’acid step, finendo alla techno e all’house di Larry Heard con “The Sun Can’t Compare”. Bello si, ma mai quanto quello dell’anno scorso affidato a Young Marco. Pazienza.
Di dj set ce ne sono stati tanti altri, come quelli dei ragazzi di Rituals, Marguerite
Records e D.KO Records (di loro vi parlerò più avanti), ma se Lock Eyes e
Santo me li sono persi, nonostante avessi sentito parlare bene dei loro set, Alter.D, in
dj set, ed Elio, con un set up live composto da drum pad e 303, hanno soddisfatto
chi avevano davanti, andando a parare su house e techno con suoni un po’ brutti
ma efficaci, dando in pasto alla gente un set per famelici del dancefloor.
Finiti i dj set, quest’anno ci sono stati tantissimi live, alcuni molto attesi. Come per
esempio il “Live Solo X” di Moses Boyd. Lui, la next big thing del jazz contaminato
dal groove made in London, che, armato di batteria, pad e Mac ha proposto un
live vigoroso contrassegnato da un’alta dose virtuosismi; virtuosismi che in parte erano
interessanti e hanno funzionato, dall’altra parte hanno reso la sua ora scarsa di
live un po’ monotona. Forse sarebbe stato più interessante vederlo all’opera in
compagnia di Binker. Altro live grazioso quello di Yombe: penalizzati dall’orario e
della scarsa presenza di pubblico, Alfredo e Cyen non si sono risparmiati e hanno
dato il meglio di loro, e s’è sentito.
Stessa storia per Sevdaliza. La ragazza mezza iraniana e mezza tedesca,
considerata dai più la nuova FKA Twigs, accompagnata sul palco da due ballerini,
ha dato tutta se stessa. Tra mosse di danza e movenze da pantera, non si è
risparmiata neanche un secondo, ballando e cantando su tutta la superficie del
main stage. Il suo live è stato costruito principalmente sul suo ultimo album “ISON”
pescando anche qualcos’altro dai suoi precedenti EP. Anche qui stessa
considerazione: peccato, veramente peccato per la poca presenza di pubblico ad
assistere al suo live. Ma ovviamente siamo in Sicilia, terrà già poco reattiva ai
canonici nomi della musica elettronica, figurarci con la prima volta in assoluto di
un ragazza che canta su basi trip-hop ed elettronica storta.
I Mount Kimbie, headliner del festival che avrebbero dovuto fare da spartiacque tra i big name del curriculum del festival, hanno soddisfatto a metà. Il cambio palco di ben quaranticinque minuti ha palesemente influenzato la loro performance, surrogata in un’ora striminzita e tirata al massimo dove hanno eseguito una dietro l’altra, con piccolissime pause, “Carbonated”, “You Took Your Time”, “Break Well”, “So Many Times, So Many Ways” e l’immancabile “Made To Stray”. Live suggestivo e ipnotico ma che è volato via con troppa fretta.
A mio avviso la vera differenza l’hanno fatta artisti come Mézigue e Flabaire della
D.KO Records e Awesome Tapes From Africa, ambasciatori di una musica e un
immaginario di prima qualità, che hanno stravinto a dispetto dei nomi più grossi.
Mézigue e Flabaire, della parigina D.KO, label devota all’house music che sta
spopolando in tutta Europa, hanno fatto terra bruciata intorno a loro, prendendosi
scettro, corona e mantello come miglior showcase tra tutti quelli che ci sono stati
da lunedì a giovedì. Non si sono risparmiati nemmeno mezzo secondo per tutte le
tre ore del loro stupendo back to back, versando litri di sudore sulla consolle –
specialmente Mézigue – e scandendo il tempo con disconi quali Funk Force
Project – “Funk In NJ”, Pepe Bradock – “Deep Burnt”, DSK – “What Would We Do
(Hurley House Mix)” di DSK e JKmata – “Jackin In Paris”. Inutile dirvi che il mio
Shazam ha letteralmente preso fuoco durante il loro set – tutti usiamo Shazam,
non nascondetelo!
Invece con Awesome Tapes From Africa buona parte del pubblico non sapeva
cosa aspettarsi. E invece? Si sono tutti ricreduti, dal primo all’ultimo. Se Moses
Boyd aveva disorientato il pubblico, ATFA li ha incollati con il mastice tutti davanti
a sé, prendendoli elegantemente sotto braccio e teletrasportandoli dentro i suoni
di un’Africa primordiale e affascinante, ruvida ma di sicuro impatto emotivo.
Una menzione speciale a parte se la merita la lecture di Rocco Pandiani sulla sua
Easy Tempo, ovvero una rilassata chiaccherata condotta da Gianluca Runza che ha proposto una panoramica sulla vita e la carriera discografica di Rocco condita di retroscena e aneddoti. Altra menzione se la meritano a pieno titolo i ragazzi di Automat Radio, online radio di Elita Milano e Armani che ha animato il mercato di Ortigia e soprattutto la piazza Cesare Battisti, sede di due istituzioni culinarie come i Fratelli Burgio (ciao Ale!) e il Caseificio Borderi. Questo triangolo Automat – Burgio – Borderi è stato il naturale ritrovo per organizzatori, addetti del settore, dj, volontari e chiunque avesse voglia di passare una mattinata in compagnia con ottima musica ed eccellente cibo. Inutile dirvi che tra un tris di affumicati e una, facciamo anche cinque, Poretti ai 4 luppoli ho assistito con molto piacere ai djset di Matisa, Fabrizio Mammarella, Corrado Fortuna, Cheval, Vinile Del Giorno, Gommage DJ Team e Salvatore Peluso. Ultima, ma non meno importante, nota di merito è per il boat party degli Stump Valley: ormai i due
giovani si stanno prendendo le sacrosante luci della ribalta. Con una sicurezza
d’altri tempi hanno fatto divertire con una selezione determinata dal flow musicale
preparatogli dai prodi Andrea Montalto e Alberto Costa. Da Crystal Waters a Pino
Daniele, ballando per tutte le direzioni della house music, gli Stump Valley hanno
proprio spaccato! Ci hanno raccontato grandi cose del set di Avalon Emerson, del live dei Kassiel e dello showcase della 800HZ Records, ma purtroppo me li sono persi tutti e tre, mea culpa.
A mente fredda adesso lo posso dire. Questo deve essere il posto: Ortigia Sound System. O meglio “this must be the place” tanto per citare i Talking Heads. Questa quarta edizione è stata fondamentale per capire tante cose. Innanzitutto la formula “alla croata” funziona: i quattro boat parties sono andati tutti sold out, chi prima chi dopo, ciò che conta è il risultato. Quindi questo “spin off” del festival è da custodire con amore. La line-up è stata disegnata in maniera impeccabile ed è da apprezzare lo sforzo di progettazione del festival spalmato su sette giorni.
Un’eternità per gli organizzatori ma non per chi ne usufruisce, e fidatevi, sette
giorni in teoria sono veramente tanti e massacranti. Un cartellone dall’ampio respiro
europeo rivolto principalmente all’audience siciliana che venerdì ha vinto ma
sabato un po’ meno. Magari anche per l’intramontabile provincialismo tutto italiano per cui presentarsi alle 21 ad un festival è da loser quindi meglio arrivare più tardi quando la situazione è già piena. In questo senso Sevdaliza, Yombe e Kassiel sono stati
penalizzati. Non è colpa del festival, ci mancherebbe, ma per educare a pieno il
proprio pubblico ce ne vuole di tempo e questa quarta edizione, mai come nelle
precedenti, ha iniziato ad instradare la propria gente sul giusto percorso.
Ottima la scelta di cambio di location del venerdì, dal più striminzito Ex Convento dal Ritiro al più arioso Antico Mercato: qui la gente s’è goduta meglio gli act proposti con
una buona dislocazione tra palco, zona chill e bar. Stessa storia per il main stage
all’Arena Maniace: ristretta l’area per dare più profondità piuttosto che larghezza,
molto buona l’idea di un’area vip per i possessori degli accrediti qualora si fossero
presentate tremila persone. Se ne sono presentate di meno, ma va bene così.
Per niente bene il cambio palco di quarantacinque minuti tra Sevdaliza e Mount
Kimbie: per chi ambisce ad entrare nel giro dei grandi festival questi errori sono da
eliminare immediatamente. Altra nota negativa i prezzi del bar veramente eccessivi: 10€ per un cocktail! Ok la storia dei token, ormai tutti i festival non ne possono fare a meno, però mi è sembrato alquanto assurdo alzare così tanto i prezzi a discapito del pubblico. Bastava uscire dall’Arena Maniace per andarsi a prendere un cocktail o una birra a prezzi molto più accettabili. Fate due più due…
Per il resto OSS non si giudica da una serata soltanto ma bisogna analizzarlo in
tutti i suoi sette giorni. Sette giorni che ci hanno regalato momenti importanti in cui
la musica dal vivo ovviamente ne è stata protagonista, e supportata da molti altri
piaceri collaterali. Oltre le già citate location mozzafiato che ne fanno da cornice ci
sono state tutte queste attività come le lecture, le mattinate da Burgio, i boat
parties, l’after show, o anche una semplicissima passeggiata in via Landolina dritti
fino alla piazza del Duomo, che servono come il pane ad OSS per essere un
punto di riferimento nella programmazione europea estiva. L’anno prossimo sarà
la quinta edizione del festival, stiamo tutti sul chi va là! Io sono già pronto in costume, calice di bianco e tris di affumicati proiettato all’anno prossimo.
Foto: Rossana Rizza e Claudia Gambadoro