La storia di Paula Tape si articola attraverso alcune sliding doors molto importanti. L’avvicinamento al mondo della musica come batterista, il lavoro presso un celebre after party di Santiago del Cile in cui entra in contatto con il mondo della musica elettronica, il trasferimento in Europa per inseguire il sogno di poter fare del djing la sua professione. Dapprima a Barcellona e successivamente a Milano. Una crescita graduale che la porta in contatto con le grandi realtà europee e che, dopo una solida gavetta, trova la sua consacrazione a livello internazionale in festival di riferimento come Glastonbury ed in club di culto come il Fabric di Londra ed il Panorama Bar di Berlino. Abbiamo colto l’occasione del suo ritorno in Italia per alcuni dj set a Basement ed al Basic con il suo party Hola Mundo per parlare di questa fase della sua carriera, dell’uscita del suo ultimo lavoro discografico “Acid Latino” e delle prospettive differenti tra club e festival nella sua vita.
Partirei facendo un po’il punto della situazione sulla tua carriera. Parecchie cose sono cambiate nel corso degli ultimi anni e la tua schedule è sempre più densa di impegni internazionali. Da Glastonbury al tour in Asia, passando per il Robert Johnson, Panorama Bar, Fabric e molti altri ancora. Come stai vivendo questo periodo della tua vita umanamente e musicalmente?
Vivere tutto questo è davvero entusiasmante. Ti dà energia e gioia, perché vedi i frutti dei tuoi sforzi tradursi in esperienze nuove ogni volta che attraversi nuovi confini. Nel 2024 ho tolto il piede dall’acceleratore perché arrivavo da un anno intenso di heavy touring in cui rimbalzavo dall’Australia al Messico, per poi tornare in Europa e UK, andare in Egitto, Libano, Marocco e ripartire subito per gli USA, East Coast, West Coast e poi “al volo” in Sudamerica, di nuovo tour in Europa e poi Giappone, Thailandia, Indonesia fino in Rajasthan in India… Ogni viaggio ha portato con sé un sacco di esperienze che, anche se non sono immediatamente tangibili, piano piano si trasformano in ispirazione musicale. Questa ispirazione nasce da tutto: dai momenti belli, ma anche dalle difficoltà che ti mettono alla prova. Non romanzerei troppo la cosa, ma cerco sempre di mantenere un equilibrio. Da un lato, c’è tanta energia positiva che ti riempie, dall’altro, se non sei preparata, può giocarti brutti scherzi, sia fisicamente che emotivamente. Noi donne, poi, abbiamo ormoni diversi, e ci sono giorni in cui è davvero difficile portare avanti i tour. Per questo motivo cerco sempre di mantenermi allenata, sia fisicamente che mentalmente. La quantità di informazioni che ricevi è incredibile, e va tutto così velocemente: quindi è fondamentale mantenere la calma, respirare profondamente. Negli ultimi 10 mesi sono riuscita a riorganizzare la mia agenda bilanciando meglio tutti gli impegni e riservando tempo anche a me stessa e al mio team, che è sempre in espansione. Ho cambiato agenzia scegliendo Fabian di Temporary Secretary come mio agente. Sono felice di come vanno le cose, mi aspetta una lunga stagione di festival per la primavera-estate 2025: Glastonbury, Flow, Sonar, Horst, Gala, Way Out West, ritornerò al Kala Festival dove portiamo anche Hola Mundo, poi quest’anno farò il closing set al Love International, non vedo l’ora. Dopo tanti anni, penso di riuscire a gestire meglio tutto e a godermi ogni singolo momento, connettere meglio con le persone che credono nel mio gusto musicale e condividere le esperienze che vivo. Sono molto grata per questo.
Il mio background musicale è molto più vasto, parte da lontano, da quando suonavo la batteria nelle band, e forse è proprio questo che fa sì che le mie produzioni siano sempre in evoluzione
Il tuo nuovo EP “Acid Latino” è uscito di recente su vinile. Qual è stato il processo produttivo per realizzarlo? In cosa hai cercato e trovato ispirazione?
L’Ep “Acid Latino” è uscito su Future Classic Records alla fine dell’anno scorso e in vinile nei negozi da pochi giorni, ed è bellissimo poterlo toccare con mano. Il processo è stato piuttosto frenetico, perché ero sempre in viaggio per i tour e avevo poco tempo per finire le idee che avevo in mente. A volte è stato frustrante, perché non riesco a produrre quando sono in giro, per esempio in aereo. Le uniche cose che riesco a fare bene durante i viaggi sono i remix. Ma alla fine, con i miei tempi, sono riuscita a completare tutto. Avevo ben chiaro in mente il tipo di pezzi che volevo creare, cioè qualcosa di adatto al “club”: quindi già da lì avevo un focus preciso. L’ispirazione è un mix di influenze che ho accumulato nel tempo. Penso che, inconsciamente, mi ispiri anche la musica che ascolto durante le sessioni di “digging”. Per esempio, “Acid Latino” è nato mentre stavo ascoltando una playlist di salsa. Mi piace molto la salsa, mi dà una sensazione di vitalià e mi connette con il mio DNA sudamericano. Da lì ho pensato che fosse una buona idea provare a creare qualcosa con quella progressione in chiave elettronica, ed è venuto fuori proprio come volevo. Sono molto contenta anche del risultato dei video che abbiamo realizzato con il team di The EntTV: abbiamo osato un po’ creando qualcosa di freak, per questo devo ringraziare anche Future Classic che mi ha sostenuta in tutte le idee, pur strane che fossero. Riuscire ad avere un output visuale è qualcosa che mi è sempre interessato ma con i tempi che corrono non tutti sono aperti a supportare la creazione di qualcosa di diverso, soprattutto nel mondo DJ/ producers dove c’è molta omologazione.
(Eccolo, “Acid Latino”; continua sotto)
Ascoltando “Acid Latino” e le tracce che lo compongono si nota un filo conduttore declinato a diverse influenze. Dai ritmi tribali a influenze break come in ‘Feel 2 Real’. Pensi che questo EP rappresenti un po’ la summa delle tue influenze musicali nel periodo più recente della tua carriera?
Penso che siano influenze che mi hanno sempre accompagnato nel corso della mia carriera, ma che per come concepisco la mia musica, ha avuto più senso tirarle fuori in questo EP. Mi piaceva l’idea di mettere insieme tutte queste influenze in un unico spettro di suoni. Probabilmente anche nelle prossime produzioni ci saranno elementi simili, ma chissà. È difficile dirlo, mi piace sempre sperimentare e spingermi oltre.
Il 30 novembre al Fabric di Londra c’è stato il launch party per questo EP. Hai scelto un club così iconico per un motivo specifico? C’è un legame particolare con Londra ed in generale con la scena UK?
C’è stata una connessione molto importante con il Fabric, grazie a Jorge, che ho conosciuto la prima volta quando ho suonato lì qualche anno fa. Lui è sudamericano e mi ha sempre supportata. L’idea di fare il release party è nata naturalmente, e quando abbiamo iniziato a pensarci, siamo arrivati alla conclusione che Fabric fosse il posto giusto. Jorge è stato molto aperto a questa idea e tutto è fluido con lui. Londra è una città vivace e cosmopolita, e mi sorprende sempre vedere il mio seguito che cresce lì. Ci sono tante persone che vanno a cercare eventi di qualità, e Fabric è uno dei posti dove il pubblico è molto vario, e questo è un aspetto positivo quando vuoi mostrare qualcosa di nuovo. Quindi un grande grazie a Jorge e a Fabric per avermi dato questa opportunità. Il party era stato bellissimo, avevo invitato Suze Ijo’ e Cormac che hanno suonato alla grande.
(continua sotto)
In passato eri distaccata dall’idea di produrre musica da dancefloor nonostante fossi già una dj affermata e riconosciuta. C’è stato un trigger particolare che ti ha spinto a cambiare idea nel corso della tua carriera?
Credo che la voglia di esplorare qualcosa di diverso sia sempre stata la forza che mi spinge. Sentivo che era arrivato il momento di mettermi alla prova e di spingere i BPM un po’ più in alto. Come ho detto prima: oggi è così, domani magari mi verrà in mente un’altra idea e proverò qualcosa di ancora più diverso. Per me è fondamentale che si percepisca la mia identità, indipendentemente dal genere o dallo stile che decido di produrre: non mi piace sentire la pressione di dover fare musica da club solo perché sono DJ. Il mio background musicale è molto più vasto, parte da lontano, da quando suonavo la batteria nelle band, e forse è proprio questo che fa sì che le mie produzioni siano sempre in evoluzione.
Da qui ai prossimi mesi sarai impegnata in molti contesti diversi. Dai big stage come quello del Sonar di Barcellona a quelli più intimi di club come il Flash di Washington. A questo punto della carriera come vivi questa dicotomia? Qual è l’energia che riesci ad incanalare in due realtà così diverse?
Queste due energie si attraggono, si completano a vicenda. Suonare su palchi grandi è sempre un’emozione unica, ti senti fortunata a essere lì e sentirsi parte di un festival che ti dà tanta fiducia. C’è un’energia incredibile in questi momenti, anche se a volte ti devi adattare alla situazione. Per me, l’importante è mantenere sempre la mia identità. D’altra parte, la connessione che riesci a creare in club più piccoli, con un pubblico più “cultore”, è qualcosa di speciale. Il soundsystem preciso, le luci soffuse, l’atmosfera intima, il sudore, la possibilità di entrare davvero in sintonia con il pubblico… È un altro mondo che adoro. In questi contesti ho più libertà di sperimentare, di giocare, e questo è qualcosa che mi affascina profondamente. Nei club posso esprimermi con i set lunghi, cosa che nei festival è più difficile. Da quest’anno ho aggiunto alcune date speciali anche come b2b: non vedo l’ora.