Tornato in gioco pesantemente dopo i fasti di un tempo e la lunga pausa, il leggendario marchio R&S è sembrato in questa sua seconda vita diviso fra due strade principali: pop elettronico sognante di derivazione ’80 e declinazioni creative di area bass/house. Forse è presto per dirlo, ma questo secondo singolo di Paula Temple – che arriva ben undici anni dopo il primo, Speck of the Future, uscito nel 2002 per Materials e apprezzato da tanti, Jeff Mills e il compianto guru radiofonico John Peel in primis – potrebbe aprirne una terza, quella della techno di tendenza industriale e rumorosa. Ritrovandosi così parte di quella fascia nerissima e trasversale che sta coprendo anche le derive estreme del mondo dubstep, coinvolgendo Raime e Vatican Shadow, Haxan Cloak e Demdike Stare, con il mondo Sandwell District come padre nobile.
Prima donna in trenta anni ad uscire per l’etichetta belga, l’autodefinita “noisician” britannica non è comunque stata con le mani in mano, avendo fatto tour e programmi radio, e avendo lavorato come sviluppatrice di uno dei primi controller midi (MXF8) e come insegnante di djism per i ragazzi del suo quartiere. Ma è piuttosto ai capannoni abbandonati del suo quartiere, e di qualunque quartiere, che rimanda la musica che ascoltiamo in Colonized. Musica dura, distorta, che sa di Regno Unito e rave illegali d’annata, che unisce aggressività e anima in un impeto di liberazione. La title-track suona come la colonna sonora di scontri di piazza, imprevedibile nel suo alternare cariche e ritirate quasi irreali, e nuove cariche chiamate da un “bum bum” usato quasi come segnale. Quello dei celerini sugli scudi, o quello dei tamburi del Black Bloc (singolare e senza la k, qualcuno lo dica ai media ufficiali), che pare di vedere uscire in parata direttamente dalle casse. Scegliete voi cosa preferite. A occhio e croce – “[l’ispirazione per le tracce arriva dall’] immaginare come suonerebbero la resistenza ai sistemi di controllo che incontriamo ogni giorno, e il rifiuto della standardizzazione e delle forme nascoste di colonizzazione” – Paula dovrebbe averlo già fatto, e noi con lei.
Ancora più brutale, anzi brutale e basta, il “Metal Mix” firmato per la stessa traccia da Perc: un martello pneumatico con squarci di rumore, con un break saturo e violentissimo prima solo accennato, e in un secondo tempo lasciato andare il giusto, che promette devastazioni nella pista giusta. “Cloned” suona molle in confronto, con delicati frammenti di voce femminile e synth gutturali su beat IDM futurista, con ingrossamento epico nella seconda parte. Solo in digitale, bis di Perc con un “Bubble Mix” lievemente più commestibile di “Colonized”, in cui spiccano accordi effettati da film horror, e ciliegina con “Decolonized”: ritmo dritto senza pietà e altre sventagliate di tamburi, che lasciano però spazio nella seconda parte a una miscela di voci quasi da chiesa, echi e ritmi spezzati, che si ricompattano strada facendo per poi dissolversi nuovamente poco dopo.