Oggi vi raccontiamo la storia di un gruppo di ragazzi che, non senza una buona dose di follia, ha deciso di creare una radio a Milano per ospitare tutte le realtà che non trovano spazio nei normali circuiti radiofonici. Solo a scriverla sembra una pazzia, eppure funziona: nel giro di un anno e mezzo Radio Raheem diventa punto di riferimento e di incontro per le mille sfaccettature musicali trasmettendo dal capoluogo lombardo e raccogliendo risultati importanti da tutta Italia, tutta Europa, tutto il mondo.
Oggi abbiamo incontrato quattro dei suoi fondatori, Marco Aimo, Michele Rho, Paco Salvini e Giacomo Colombo (mancavano solamente Diego Montinaro e Ambrogio Ferrario), per farci raccontare come è stata concepita, nata e cresciuta Radio Raheem, ma soprattutto come diventerà ancora più grande in futuro.
Questa è un’intervista molto desiderata perché avete realizzato il sogno di tanti ragazzi tra i trenta e i quaranta anni che sognavano di aprire una radio. Esiste un’ampia filmografia e tanti libri su questa cosa qua. Allora vi chiedo una cosa che vi avranno chiesto in tanti: come è nato questo sogno?
È nato dalla voglia di divertirsi perché la radio, per quelli come noi che hanno sempre bazzicato la musica, hanno fatto il dj magari, è un modo di proporre la musica agli altri slegato dal dancefloor. È una cosa che ti permette di spaziare, questo da sempre è il suo fascino. Il sogno è partito perché onestamente non si vedevano all’orizzonte progetti così in Italia, o almeno non così come lo abbiamo pensato noi. Noi conoscevamo East Village Radio e ci siamo detti “facciamolo, buttiamoci”.
Quanti sono venuti da voi a dirvi che siete dei pazzi?
Non hanno avuto il tempo di dircelo perché l’abbiamo aperta nottetempo; anzi molte persone ci hanno sostenuto da subito, ci hanno spalleggiato. Che poi ci sia stato il retro pensiero che fossimo dei matti può essere, come anche quello di lasciare che ci arrangiassimo, di mandarci avanti in questo azzardo. La domanda successiva, ti anticipo, sarà: “come fate a stare in piedi?”
In effetti viene da chiedersi come facciate nella follia a proseguire un discorso di questo tipo proprio a livello economico, soprattutto partendo dalla considerazione che in Italia manca, e se non manca è ormai poco incisiva, questa cultura della radio.
Sicuramente manca questa cultura, è vero, però è proprio questo deserto che ti trovi di fronte. Sicuramente qualcosa di folle c’è stato perché venivamo tutti da situazioni stabili lavorativamente che ora non ci sono più. Sicuramente abbiamo investito quello che potevamo permetterci, di fatto è una start-up che inizialmente si finanzia e che poi cerca di trovare delle economie. Ogni giorno ci chiediamo come fare ed ogni giorno impariamo un pezzettino in più su come farlo. Ovviamente bisogna cercare di mantenere in piedi una scommessa che sia sempre coerente con l’idea iniziale. Per rispondere alla domanda e non girarci attorno, secondo noi il modello di business è un modello che va ad integrare la collaborazione con vari brand, con attività istituzionali facendo comunque anche un discorso culturale. Quello che stiamo cercando di fare è una certa propositività verso i brand, è un gioco sicuramente di equilibri, questo sì.
Esatto, qual era l’idea iniziale?
Come ti dicevamo prima, ci siamo trovati davanti ad un deserto fatto di un mercato radiofonico piatto, completamente indistinto, che non rispetta né l’evoluzione dell’ascoltatore né l’evoluzione della musica stessa. Partendo da questo deserto è nata l’opportunità di provare a tracciare una nostra rotta con un progetto radio dal respiro molto lungo. Sapevamo sin dall’inizio che sarebbe stata una maratona e non una corsa sprint, piena di difficoltà, ma ne eravamo coscienti. La cosa positiva è che sin da subito abbiamo messo le vele e il vento ci è stato molto favorevole e più forte di quello che ci aspettavamo.
Anche perché avete trovato un terreno fertile…
Molto fertile. Ci sono due cose importanti da dire: la prima riguarda il gruppo che siamo, innanzitutto c’è amicizia. Il gruppo storico è fatto da gente che si conosce da una vita, questo secondo noi è molto importante quando metti insieme un’idea di questo genere. La seconda è questa cosa per cui Marco dice di aver messo insieme la band. Veniamo tutti da campi diversi: c’è un regista, un dj storico, un competente di branding. L’essere così eterogenei è fondamentale per questa macchina, noi la vediamo un po’ come la nascita di un figlio. Quando ti nasce un figlio non hai istruzioni di sorta, con la radio è la stessa cosa. I progetti che abbiamo chiuso ultimamente, la torre Branca, i concerti in Triennale, non sono sicuramente le prime idee che ti vengono quando fai una radio, sono cose che si sviluppano nel tempo. La diversità rispetto ad altre realtà, che ci viene riconosciuta soprattutto da gente più addetta ai lavori di noi, viene dall’aver strutturato bene il progetto con le competenze che ognuno ha.
Quali sono le regole base che vi siete dati per partire?
Più che regole base parlerei di intuizioni. L’idea era chiara, abbiamo combinato elementi diversi: il fatto di essere una radio, il fatto di avere una radio fisica e riconoscibile e il fatto di essere una comunità. La socialità è una cosa molto importante, il fatto di essere all’interno di un pub oltre alla zona dove siamo comunque centrale e di grande passaggio. Siamo diventati un punto d’incontro dove la gente passa anche quando non ha magari una trasmissione da fare. Voglio dire: stiamo surfando su diversi binari: fisico, digitale, il binario di avere una radio che davvero esiste, questa è una cosa molto importante. Molti adesso dicono “facciamo una diretta Facebook e chiamiamola radio”, noi siamo una radio vera che funziona ventiquattro ore su ventiquattro che giustamente si declina con la diretta Facebook, con Mixcloud, con il nostro sito: io definirei Radio Raheem un hub. Mi sento di tornare alla tua prima affermazione: pazzi sì assolutamente, ma non sprovveduti.
In una Milano che ha molta sete di cultura, come siete stati accolti? Non parlo solo delle persone che vi ascoltano o che ascoltano e seguono la musica proposta dalla vostra radio, penso alla Milano più istituzionale. Si sono accorti di questa realtà, del fatto che a Milano c’è una nuova radio o – se vogliamo – un nuovo polo culturale?
Non vogliamo essere autoreferenziali, però ci sentiamo come quelle persone che non fanno altro che soffiare su una brace già bella che accesa. Milano è una città che storicamente ha sempre avuto molta voglia di cultura, poi magari è una città che ha sofferto. Emilio Tadini disse che Milano era un po’ la punta avanzata del paese, l’antenna, quindi soffre la crisi prima di tutto il paese così come gode dell’avanzamento prima di tutto il paese. Non dimentichiamoci che Milano è la capitale della musica, vuoi o non vuoi, gli stessi producer ultimamente fanno di tutto per trasferirsi a Milano. Non crediamo sia stata l’Expo o perlomeno non solo l’Expo. Crediamo ci sia una percezione della città che ti consenta di progettare e fare alcune cose. C’è un’aria frizzante a Milano.
Credo sia anche una città con forte desiderio di socialità. Logicamente ora è amplificato da un’agorà virtuale come Facebook…
La cosa bella di questa Radio sta anche nel fatto che abbia parlato sin da subito ad un certo modo di fare clubbing, facendo un pochino da ambasciata tra tante realtà, facendo un filtro imposto da una certa linea editoriale, che non vuol dire per forza andare a pescare nella nicchia, ma che comunque portino un senso alla nostra idea di radio. Balera Favela, ad esempio, rappresenta una certa scena che noi abbiamo voluto seguire. Di dj bravi ce ne sono tantissimi, quello che noi privilegiamo è che oltre alla musica ci sia una storia, un’idea, una comunità dietro
Il termometro del successo si misura anche nei “no” che date. La riflessione nasce dal fatto che quando una cosa ha successo a Milano automaticamente questa deve subito diventare come una cosa di proprietà del popolo, per cui se ci va uno ci deve andare anche l’altro, anzi ci devono andare tutti.
Per rassicurare tutti: guardiamo e leggiamo tutte le mail, lavoriamo fino a tardi per cui a volte ci vuole un po’ di tempo per seguire e vagliare tutte le richieste. Crediamo sia anche una questione di rapporti: secondo noi ci si deve conoscere, si deve condividere insieme qualcosa. I “no” ci sono, però sono giustificati dall’esigenza di avere uno spettro ampio che sicuramente è in pieno allargamento ma che non può logicamente contenere tutti. Molto è legato dalle ore quantitative che possiamo fare, crediamo molto che la cura e la preparazione dello slot che andiamo a concedere sia fondamentale. In alternativa si creerebbe soltanto una carrellata di cose che, per carità, può essere uno stile ma non ci interessa. Inizialmente qualcuno ci ha anche criticato perché venivano giornalisti che non erano dj e che poi lo sono diventati. Smontiamo subito anche questa: non stiamo parlando di un club, ma di una radio, una radio che contiene qualcosa di un club, che contiene etichette e anche giornalisti. Noi amiamo tantissimo i personaggi skillati, funamboli della consolle, ma non può esserci solo quello, è comunque una radio di ascolto, non è la radio di Boiler Room. Fortunatamente questa cosa poi è arrivata, creando anche una selezione naturale nei confronti di chi pensava a un’altro modo di fare radio. Ripeto, i “no” ci sono ma anche lì sono situazioni in evoluzione, tanti “no” iniziali poi sono diventati “sì”. Chiariamo anche un’ultima cosa: il “no” non è una mancanza di rispetto, purtroppo molte volte si prendono come un’offesa al proprio lavoro mentre semplicemente, come ti abbiamo appena spiegato, nasce da molti fattori. Siamo un paese molto familista su questo genere di cose, per cui se viene il fratello, deve venire per forza anche il cugino, ma non è detto e non è previsto vada così. C’è anche un discorso di esplorazione di più generi no? Se abbiamo già tutto ciò che riguarda il Bass e le sue mille scene è logico che guarderemo prima altrove.
È una continua ricerca che credo si renda in qualche modo obbligatoria per chi intraprende un progetto come il vostro.
Noi lo chiamiamo sistema auorigenerante, abbiamo quarant’anni con una cristallizzazione ormai definita dei propri gusti. Una volta ammessa questa cosa, e non è facile, la capacità sta nell’ascoltare innanzitutto chi passa da noi perché sono i primi a consigliarti le cose. Naturalmente ci deve essere apertura mentale e forte curiosità.
Quali tendenze state fotografando in questo periodo a livello musicale?
Ieri uno di noi è passato all’uscita di una scuola e ci raccontava che in effetti basta guardare la multicuturalità delle persone. Secondo noi è lì la cosa, stiamo mettendo cose reggaeton, speriamo di avere presto dei ragazzi filippini a portare il loro suono e i loro gusti. Molto è dato anche dalla città: siamo una radio che si ispira a radio urbane che fanno il suono delle città.
Che suono ha Milano?
Noi andiamo a pescare un po’ dappertutto, da Crookers a fenomeni di nicchia molto piccoli. Vediamo un meltin’pot vero che tra le altre cose questo paese non ha mai avuto. Sicuramente se parliamo di Milano e di giovani il suono è fatto dalla trap e dal rap, almeno questo è quello che sento in giro.
È un suono molto legato anche ad una certa socialità secondo voi?
Sì, credo sia più o meno la domanda da farsi chiedendosi soprattutto cosa sia la socialità oggi. C’è molta gente che vive attaccata al proprio telefono con molta meno voglia di uscire di casa. Sarà che siamo di un’altra generazione, ma quello che secondo noi viene da dire è che è la socialità che sta cambiando oltre che il suono. Si leggono anche tanti articoli sul discorso dei grandi club che hanno chiuso da anni perché la gente predilige situazioni più intime. È logico che questo vada a cambiare la percezione del suono che si ha di una città.
Voi avete portato grandi ospiti: da Ralf a Guè Pequeno, sono passate le Ibey, Reynolds…chi vi manca? Chi vorreste? Avete un sogno proibito, dando per scontato che siate comunque dei sognatori?
Sogni proibiti forse no, al momento siamo molto soddisfatti di quello che abbiamo fatto. Forse la risposta, per quanto anche abbastanza scontata, è che ogni giorno esce qualcosa di nuovo per cui ti diremmo tutti quelli che mancano. Il nostro è un progetto talmente in evoluzione e con talmente tanta curiosità che la tara o, meglio, la voglia di portare contenuti alla gente, andando oltre la standardizzazione dell’ascolto, che non può essere altro che questo il sogno proibito come l’hai definito tu. Cosmic Perspective non l’abbiamo piazzato lì per caso, crediamo di essere soprattuto una radio di scoperta.
Avete mai pensato di allargare il campo anche verso contenuti più giornalistici? Mi viene in mente l’approfondimento politico, ma è ovviamente solo un esempio.
I programmi parlati stanno crescendo molto, l’importante è dare un nostro taglio alle cose. Due o tre idee ci sono, il tempo deve essere maturo non solo per farlo ma anche per la radio. Noi abbiamo una grande fortuna rispetto alle altre radio e si chiama indipendenza, noi davvero possiamo fare quello che ci pare, l’unica regola è che ci sia il giusto taglio, la giusta idea, il giusto format per Radio Raheem.
Voi potreste essere considerati una bolla tipicamente milanese, abbiamo parlato tanto di socialità e di comunità in questa intervista, secondo voi qual è la ricetta giusta per uscire da Milano?
Intanto con Torino abbiamo un rapporto speciale sin da subito, quindi se vuoi un pò da Milano la cosa è uscita. È sempre una questione del giusto tempo, certo noi abbiamo fretta di fare le cose e di farle bene, considera che però ospitiamo gente che davvero viene da tutta Italia. Se chiudo gli occhi logico che sogno cinque sedi e tutto il resto. Noi abbiamo un’ossatura milanese ma già di partenza questa radio non è solo e unicamente milanese. L’idea di partenza è sempre stata quella di dare visibilità alle tante scene che non passano nelle altre radio, è una cosa che nasce a Milano ma che prende tutte le città. C’è fame in due sensi: c’è che fame di gente che ha qualcosa da dire e di gente che ha qualcosa di ascoltare. La gente si è rotta le palle di farse le microscoperte da sola, c’è fame di comunità.
L’ultima domanda va ovviamente alla sede fisica che vi ospita, una scelta insolita, penso alle prime volte in cui passavo e vedevo due poli opposti della stessa città: la gente che passava per radio Raheem e la gente che arrivava nel locale per fare un aperitivo ignorando l’esistenza della radio. Ripassandoci ultimamente ho pensato che la fusione si fosse completata.
Sì, ci siamo molto vicini. È un equilibrio in continua evoluzione, l’innesco che ha portato a questi risultati è nato su più fronti. Sicuramente c’è stata la voglia da parte del locale di alzare l’asticella e avvicinarsi di parecchio alla qualità proposta dalla radio, inseguendo questo cavallo di razza che davvero correva veloce. Secondo noi il bello di questo posto è che era già un porto di mare che non ha fatto altro che unirsi alla radio che non era altro che un porto di mare.
Cosa immaginate per il futuro?
Ci sarà sicuramente un art director straniero, molto giovane, mentre noi saremo come nel finale di una poltrona per due, che poi è sempre il nostro sogno, mentre diciamo “questo è solo l’inizio“.