Oggi 28 settembre e domani 29, fate un pensiero in più a visitare un cinema, come programma per la serata: controllando attentamente su questa pagina, potreste infatti scoprire che dalle vostre parti proiettano “Sono in lista”, documentario prodotto da RS Productions – più di un link con Rolling Stone, ovviamente – e la realizzazione esecutiva di Dreamers & Makers, su input originario di Stefano Fontana. E’ una occasione ghiotta: raramente è e sarà possibile vedere su grande schermo i protagonisti del clubbing di casa nostra, nello specifico in questo caso di Milano, raccontati non in maniera romanzata tanto per fare facile “spettacolarismo” (o scandalismo pruriginoso… ché per il clubbing spesso si usa così, alla cazzo) ma in modo molto preciso e lineare.
Si parte da Cecchetto, si arriva a Take It Easy (posto d’onore, giustamente, al Plastic); in mezzo, un grandissimo numero di protagonisti (dj, promoter) che, ai ponti del comando in varie maniere, hanno reso negli anni Milano una realtà solidissima nel clubbing. C’è qualche assenza da rimpiangere (ad esempio, tutto il nucleo di persone che ha dato vita all’epopea del Dude), altre inevitabili (facile che la galassia degli spazi occupati, peraltro correttamente citata, non avesse troppa voglia di apparire in un documentario di questo tipo, molto trasversale), ma in generale è un affresco corale che rappresenta con equilibrio il “sapore” di Milano nel clubbing dagli anni ’80 ad oggi, passo per passo, mutazione per mutazione.
Lo rappresenta fortemente nella professionalità, nella visione, nella commistione tra sistema del fashion e dancefloor; lo rappresenta anche nella rapparesentazione molto “pulita” e precisa che ha e si dà di se stesso: chi appare sullo schermo sono infatti tutte persone con esperienza e lucidità, e tutti vengono messi nelle condizioni di esporre con chiarezza idee, aneddoti, considerazioni. Manca forse un po’ la componente epica, surreale e cazzona, o non si è riusciti a tirarla del tutto fuori: ma quelle attitudini a Milano ci sono sempre state – perché sì, ci sono state, ci sono e ci saranno – ma probabilmente meno che in altre città, più “disordinate”, viscerali, garibaldine. La capitale lombarda e i suoi cittadini (quelli di nascita, o gli acquisiti: stessa cosa) hanno in effetti spesso questa visione molto precisa di se stessi come imprenditori, come persone che, pure quando si divertono e/o lavorano per il divertimento, lo fanno in maniera precisa, prefessionale, ben architettata. “Siamo in lista”, con la figura narrante in video di Albi Scotti (che ha un ruolo più che importante anche nella scrittura del tutto e nei suoi meriti), racconta in maniera davvero nitida ed efficace tutto ciò, grazie anche ad una mano registica di Andrea Paulicelli che si destreggia con gusto ed efficacia coi mezzi a disposizione.
Insomma, un racconto preciso e circostanziato. Vale un viaggio al cinema. Oggi che Milano è al centro dell’immaginario collettivo, nel bene o nel male, è cosa buona e giusta andare a capire chi è che è stato protagonista nella sfera del clubbing: una delle sfere comunque più vive, umane, attive. Viva per l’energia che, di periodo in periodo, non ha mai mancato di rinnovarsi; umana perché rispetto al mondo della moda o della finanza il clubbing è un paradiso in cui ritrovare ossigeno per la mente e il cuore; attiva perché lo spirito “imprenditoriale” di gran parte del clubbing milanese ha sempre portato a misurarsi con gli esempi esteri migliori, con le realtà più professionalizzate, con le innovazioni più intraprendenti e strutturate.
C’è forse una riflessione da fare (…e il fatto che questo documentario ti porti a farla, è un suo ulteriore merito): iniziano a mancare i ventenni, in città. La storia del clubbing, in Europa, è stata fatta spessissimo da ventenni. In realtà, a Milano, pure. Nell’ultimo decennio però è venuto a mancare un ricambio generazionale o, se c’è, è stato al momento assorbito quasi solo nella “bolla” degli spazi occupati e non si è invece diffuso a macchia d’olio in tutti i settori. Un’anomalia che speriamo si risolva, e si risolva in modo naturale: c’è bisogno di nuovi attori in città e delle nuove generazioni, che non stiano solo nelle frontiere estreme di Macao e del Tempio del Futuro Perduto oppure, al contrario, lì dove se la regnano rap e trap.
Ad ogni modo: in attesa di poter tornare in tutto e per tutto a ballare nei club, (ri)vedere chi nell’arco di quattro decenni ha fatto ballare migliaia, anzi, centinaia di migliaia di persone spendendosi in prima persona in tutto e per tutto per farlo, beh, colpisce parecchio. Dà un senso dolceamaro. Questo documentario è stato pensato quando ancora sarebbe stata imprevedibile una pandemia, un lockdown, un divieto del ballo: ha un valore a prescindere. Ma vista oggi, con la situazione che stiamo vivendo, aumenta d’intensità.