Ok. Se seguite queste pagine, il Dude Club non ha bisogno di troppe presentazioni. Fin dalla sua nascita, uno dei locali-guida per quanto riguarda la club culture in Italia nell’ultimo decennio, nelle forme che ha finito coll’assumere (sincronizzandosi finalmente con alcune belle esperienze europee). Nota bene: sono ancora tanti, per fortuna, i club e le realtà che portano avanti il discorso su un clubbing di qualità qui dalle nostre parti. Molti di più di quanti fossero dieci o vent’anni fa, quando c’erano le avanguardie degli spazi occupati e dei centri sociali (con pregi e difetti) dove la musica era interessante e saporita davvero o, altrimenti, la discoteca commerciale; dove magari la musica era anche ok, con delle punte di eccellenza, però ecco, il modello dell’edonismo coca&champagne e della gente in camicia che veniva a farsi vedere era il motore di tutto (o meglio, lo era la volontà delle gente di entrare nel club coca&champagne e di quelli che “si fanno vedere”…). Poche esperienze gloriose e visionarie sparigliavano i giochi: il Cocoricò di Loris Riccardi o magari il fenomeno l’Insomnia, di cui vi abbiamo parlato diffusamente un mese fa, giusto per fare due esempi. Divertitevi voi a farne altri, magari includendo le realtà a metà fra coraggio e commerciale (da un certo momento in avanti, parecchi).
Se ne è parlato troppo ma al tempo stesso troppo poco: da un certo momento in avanti, i club e le discoteche hanno iniziato ad avere delle difficoltà pratiche pesanti. La crisi economica, volendo; ma soprattutto i maggiori controlli per strada (che, all’italiana, non sono andati a braccetto invece con delle modalità alternative di trasporto al mezzo privato), una stretta legislativa in varie modalità, l’avvento di internet (perché sì, Netflix ci tiene a casa soprattutto le generazioni e le classi sociali in target con la club culture e YouTube ci permette di “gustare” schegge di clubbing di qualità anche stando sul divano). Risultato: il settore è in difficoltà. Vera.
Che siano in difficoltà (o abbiano chiuso) discoteche vecchio stile, guidate da “localari” interessati al fatturato e non ad un discorso culturale coerente ed organico, non ci fa scendere nemmeno mezza lacrima sul viso. Che siano invece in difficoltà realtà fatte di veri appassionati, di gente che rischia di suo e lo fa per passione e fame di cultura prima ancora che per tornaconto, è un problema che dovrebbe toccare tutti voi che state leggendo queste righe, nessuno escluso. Oh, ecco: non crediate che non sappiamo che c’è chi col clubbing si è arricchito tanto e in fretta, ma questi tempi sono passati. Prima era un nuovo settore in impetuosa crescita, dove era “facile” fare i soldi (…anche in nero), oggi il gioco si è fatto tremendamente più complicato.
Eppure, in tutto questo panorama fosco, come dicevamo ci sono realtà che hanno resistito e resistono, e altre nuove che nascono e fanno delle cose notevoli; e c’è anche il caso straordinario di Milano, che a partire da circa il 2010 ha intrapreso un percorso di crescita, nel clubbing, che l’ha portata ad essere la città europea con forse più eventi “di peso” nel weekend, incredibile ma vero. Controllate i calendari: spesso e volentieri a Milano ci sono forse più dj e live set “nostri” di qualità che a Berlino o Londra – e sicuramente più che a Parigi o Barcellona. Sul come sia successo, ne parleremo a brevissimo da queste parti (e affronteremo il discorso live&direct nel panel che abbiamo organizzato assieme a Resident Advisor domenica 9 settembre, alle 16, a Spazio Base). Quello che qui ci interessa è ribadire come, di tutta questa “golden age”, il Dude Club sia stato un capofila. Anzi: molto probabilmente, sotto parecchi punti di vista “il” capofila.
(La sala principale del Dude Club; continua sotto)
Un ruolo faticoso. Nessuno può essere “at the top of the game” per forza d’inerzia, men che meno può restarci: la gente dopo un po’ vuole cose nuove, si vizia, inizi a diventare il “solito noto” e perdi fascino agli occhi delle persone per quanto tu possa continuare a fare molto bene il tuo lavoro, secondo le coordinate che ti hanno reso giustamente grande.
Ecco. Questa è la fase storica che sta attraversando il Dude. E, dobbiamo dire, ci piace il modo in cui si stanno muovendo. Già da un paio d’anni, è stata operata una scelta precisa, un progressivo aggiustamento di rotta anche rischioso, perché dal ritorno non immediato: dare sempre più spazio ad un clubbing “adulto”, valorizzando l’Osservatorio Astronomico (la parte “elegante” del club) e chiamando non solo dj techno o tech-house di altissimo livello ma anche artisti in grado di spaziare di più nei propri set, tra funk, soul, psichedelia, rarità, gemme dimenticate. “Ah sì il Dude è quello dove c’è la techno” è una frase che andava bene nel 2013 o 2014, oggi è sbagliata, parla di una verità solo parziale. La techno c’è sempre, le sonorità “scure” restano nel DNA del posto, ma molto spazio viene dato alla batteria di resident (Abstract, Walking Shadow, Oniks, Insecurity Syndrome, Vg+, Mcmxc, Black Swan, Riccardo Bhi) che quest’anno anzi ha due acquisti importantissimi: Brioski (per le derive più “disco”) e un totem come il romano Giorgio Gigli, da anni uno dei migliori dj techno italiani. Senza contare la presenza regolare in Osservatorio di Lakuti e Tama Sumo, o comunque il sapore portato dalle serate Futura, coi Younger Than Me di mezzo.
(Un particolare dell’Osservatorio Astronomico; continua sotto)
Probabilmente non torneranno, almeno non a breve, i tempi in cui il Dude sparava cinque, sei headliner internazionali attiraclubber, da top 20 di Resident Advisor, a weekend; ora, per navigare meglio nei mari più complicati e sofisticati di oggi, si lavora molto sull’identità, sul calibrare le scelte. Ma dal lato opposto – e anche questa è una forma di clubbing “adulto” – si guarda con inedita attenzione alla possibilità di offrire dei veri e propri live set. In questo mese, ad esempio, Ninos Du Brasil e HVOB, oltre alla giornata dedicata al Synth Day & Night. E sicuramente è “adulto” avere come primo, vero grande ospite internazionale della stagione 2018/19 uno come Marshall Jefferson, il 7 settembre.
Altri nomi di settembre, quelli nella categoria “guest internazionali”? Eccoli: Hunee ed Andrew Weatherall. Solo due da aggiungere, dite? Solo due. Ma a parte il fatto che questi due signori per quanto sono bravi in console valgono venti, il punto è proprio che il Dude non ha più la sistematica “collezione di figurine” di guest internazionali potenti (una “collezione” che però è stata fondamentale per portare il clubbing milanese tutto al top d’Europa, facendo da stimolo e da benchmark di spessore), ma sta lavorando ora in altro modo. Un modo che ci piace. Un’evoluzione intelligente. E quindi speriamo che ancora una volta l’identità del club milanese diventi un esempio virtuoso da imitare. Non solo a Milano. Ognuno a suo modo, ognuno con la propria specificità, ovvio; ma la direzione ospiti calibrati + valorizzare i resident + club culture non più solo per ventenni/trentenni che vogliono toccare gli estremi, beh, ci piace parecchio.
L’Italia ha dimostrato, a metà tra primo e secondo decennio dei 2000, che può avere tutti i nomi di richiamo e di qualità, c’è riuscita; ora lo diamo per scontato ma no, non lo era proprio per un cazzo. Per vedere certe cose dovevi andare per forza a Londra o Berlino o simili, mentre lo sforzo di posti come il Dude (non quindi un giga-club alla Cocoricò o Amnesia o le grandi arene estive pugliesi) ha invece dimostrato che si poteva fare anche qui da noi. Adesso è il turno, secondo noi, di un’altra fase storica. Per migliorare sempre di più. E per continuare a rendere la club culture un’esperienza davvero profonda ed intensa e in grado di connetterti col mondo creando consapevolezze “diverse” – non solo uno dei tanti mezzi possibili per fare soldi.
(Artwork di Gianni Ludico)