Magari qualcuno è troppo giovane per ricordarlo, ma c’è stato un momento in cui tutto era diventato veramente pessimo, ma pessimo: dopo il periodo d’oro dei primi anni ’90, a parte qualche rara eccezione il mondo delle discoteche era entrato in un lento declino mascherato da routine (o era routine mascherata da declino?) in cui mancavano sempre di più le idee ed invece entravano sempre di più i soldi, gli sciampagnini e la bamba. Una fine triste, riguardando a quali storie incredibili erano riuscite a nascere, a quali innovazioni sociali, a quale voglia di mettersi in gioco, a quale forza sociale per stravolgere l’ordinario era riuscita a mettersi in campo. Chi aveva creato tutto questo si era infilato in una coazione a ripetere in cui contava più che altro ottenere soldi facili e tanti (e, all’epoca, pure in nero), piuttosto che fare ricerca artistica e sociale.
A salvare tutto fu una nuova generazione di appassionati (sia promoter che clubber, e spesso i due ruoli si sono sovrapposti) che riportò il fuoco sulla ricerca artistica, sul coraggio, sulla voglia di battezzare strade inesplorate o poco battute. Gli anni del Maffia, del Brancaleone, del Link, gli anni in cui si è iniziato a parlare di “club culture” per differenziarsi da quello che era diventata la “discoteca”; gli anni in cui si cercavano avidamente nuovi stimoli, nuovi nomi, trame sonori sorprendenti, ed anni in cui ti dispiaceva vedere i Masters At Work o i Todd Terry e in generale l’house storica tutta ostaggi del soldo e di locali che pensavano solo ai già citati bamba&sciampagnini.
Oggi, venti-venticinque anni più tardi, siamo tornati in una situazione simile. I nomi più celebrati ormai chiedono talmente tanti soldi che suonano solo o in mega-festival, o in luoghi dove ti spennano vivo e dove più che clubber incontri degli ostentatori professionisti (c’è chi ostenta divertimento da immortalare in tempo reale su Instagram, chi alternativismo hippy-pauperista autentco come una banconota da 7 euro, chi ricchezza, chi tutt’e tre le cose contemporaneamente). Il “clubbing” è diventato la nuova “discoteca”, troppo troppo spesso: ovvero un campo dove non si fa più ricerca. Dimenticandosi che se il “clubbing” è diventato potente, popolare, remunerativo, è solo ad esclusivamente grazie a chi si è fatto il mazzo per fare ricerca, uscire dalla stasi, evitare gli sciampagnini, scovare nuovi stimoli e nuove suggestioni. Ironia della sorte, proprio chi ha fatto ricerca più sinceramente e meno per tornaconto è quello più spesso escluso dal nuovo banchetto, dalla nuova torta.
In realtà volevamo giusto ricordarvi due eventi questo weekend, NODE (Modena, 6, 7, 8, 9 dicembre) e Dancity Winter (Foligno, 8,9 dicembre). Avremmo potuto fare il compitino: un articolo di qua, citando i nomi in line up – soprattutto quelli più “attirapubblico” – e stendendo complimenti di rito per il coraggio, un articolo di là, facendo esattamente lo stesso.
(La line up di NODE 2023; continua sotto)
Invece vogliamo vedere se c’è ancora la voglia di andarsele a cercare, le cose. Perché tutta questa lunga introduzione serve solo a far capire che di nuovo, come nel decadimento discotecaro dopo le fiammate della prima parte dei ’90, stiamo entrando in una fase di declino: vogliamo sempre più solo la pappa pronta, siamo sempre più dipendenti dagli headliner e dalla loro importanza (ogni anno che passa ci facciamo colpire solo dai più grossi e pop, ogni anno di più), ci facciamo impressionare più da chi sbatte il membro sul tavolo con produzioni gigantesche ed artisti tanto pagati – scusate l’immagine poco fine, ma è per far capire la volgarità della pratica – che da chi prova davvero a fare ricerca. Ecco: NODE e Dancity, fin da quando sono nati, fanno ricerca.
NODE e Dancity, fin da quando sono nati, hanno deciso di scuotere l’apatia dei loro territori e di provare a chiamare a raccolta gli appassionati veri, non gli occasionali; ma anche di trasformare gli occasionali in appassionati veri, riuscendoci in più di un caso, perché la loro offerta è sempre stata di qualità.
(La line up di Dancity Winter 2023; continua sotto)
Il problema è che proprio il mondo della “qualità”, nell’elettronica, sta prendendo le stesse dinamiche del pubblico mainstream e generalista ma non se ne accorge. Il mondo della “qualità” ormai pare considerare solo C2C (e, in parte, ROBOT) dando sempre meno attenzione a tutto il resto. Come se la sperimentazione elettronica o il clubbing “intelligente” potessero svolgersi solo lì. C’è stata una fase in cui era motivo di vanto andare in posti particolari, scoprire eventi nuovi, adottare festival fuori dalle rotte abituali; oggi abbiamo l’impressione che anche il lato più “progressista” del pubblico elettronico si sia molto impigrito. Non legge più o legge sempre meno e testi sempre più brevi, utilizza più energie a demolire sui social ciò che è commerciale e/o funziona bene che a rendere accattivante ed interessante il proprio, snobba gli eventi in giro per l’Italia tranne le feste comandate (appunto, C2C e poco altro). La dimostrazione aritmetica di questo è la poca affluenza finora ad una rassegna così bella ed artisticamente coraggiosa e ben studiata come quella messa su da Klang a Roma. Se tutte le persone che insultano Peggy Gou o addirittura Caterina Barbieri perché “troppo commerciali” si fossero fatte vedere ad uno degli eventi di Klang ci sarebbe stato il sold out, invece di un’affluenza davvero troppo bassa rispetto al necessario. Un’affluenza insultante, rispetto al valore messo in campo. Ma ehi, la rassegna va avanti: c’è ancora tempo per recuperare.
Come andranno allora quest’anno NODE e Dancity Winter? Come andranno due eventi che sono fra i più meritevoli per aver reso la scena elettronica italiana un posto migliore? Come andranno due festival che ad un certo punto, per scelta o impossibilità, non hanno adottato la scelta della crescita a dismisura, per restare invece nel loro DNA originario? Come andranno due festival che non hanno cavalcato la dinamica dell’”injazzimento” delle line up ora tanto di moda, quando in realtà sono pochi (vedi Jazz:Re:Found) che certe cose le facevano anche quando non se le filava nessuno?
Come andranno due festival che in questa edizione hanno fatto uno sforzo notevolissimo per mettere in campo un cartellone pieno di mille meraviglie, scelte forti, proposte affascinanti, punti d’interesse?
Non vi faremo la guida di cosa c’è a NODE e di cosa c’è a Dancity Winter, infatti. Per una volta, non la faremo. Vediamo l’effetto che fa. Vi diremo solo: entrambi hanno mantenuto altissima la qualità e sono stati perfettamente coerenti alla loro storia. Una storia fatta di consapevolezza, di competenza, di equilibrio tra nomi più di richiamo e scelte più complesse, di venue scelte andando a scavare per quanto possibile nel cuore cittadino (teatri, auditorium storici) anche se qualche volta con la necessità di finire in luoghi meno caratterizzati e caratterizzanti.
Entrambi meritano di essere sostenuti. Tantissimo. Perché mentre altri hanno fatto gli avvoltoi o sono comunque passati all’incasso, mutando anche pelle nel farlo, loro testardamente hanno inseguito la loro etica artistica, con l’idea di portare del “bello” al proprio pubblico, sperando che bastasse questa sola idea a renderlo più grande, questo pubblico.
Il pubblico siamo noi. Chi vogliamo premiare? Vogliamo premiare solo e comunque i soliti nomi, per poi lamentarcene? O vogliamo non premiarli boicottando gli eventi in cui suonano, ma stando comunque comodamente seduti a casa senza supportare chi invece ancora oggi, in questi anni ’20, testardamente insegue la ricerca e le idee vere, quelle non scontate? Perché questo è quello che sempre più sta succedendo. Sì: c’è la grande bolla dei festival estivi, dove si è riversata tanta qualità fino a diventare appunto pericolosamente troppa, fino a essere davvero “moda“, rispetto alla reale domanda di mercato (per la goduria finale dei veri grossi&cattivi), ma per tutto il resto dell’anno il panorama sta diventando sempre più grigio. Siamo sempre più chiusi a casa nostra, lamentandoci che il mondo lì fuori fa schifo e non succede nulla di nuovo se non le solite commercialate (…in realtà, nemmeno quelle). Se NODE e Dancity Winter non faranno trionfi di pubblico (specifichiamo: di pubblico intelligente e pensante), che è quello che meriterebbero per la proposta artistica che offrono in questo 2023, allora iniziamo davvero ad avere un problema. Anzi: iniziamo ad essere noi, il problema.
Il COVID ha fatto piazza pulita, anche in maniera dolorosissima, di molte realtà legate al clubbing tech-house più standard. Ma chi ha resistito, sta dimostrando una cazzimma ed una voglia di ripartire dal basso e dalle cose più essenziali ed importanti che è davvero degna di nota, (ri)creando delle community coese. Ne parleremo più volte nel 2024. Il vero grande malato ora è la frangia più “intelligente” del clubbing e dell’elettronica: parla tanto, soprattutto giudica tanto, ma vediamo se merita di avere ancora voce in capitolo, o se è tutto un “…armiamoci e partite”.