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[tab title=”Italiano”]C’è una cittadina in UK, magari non grande o economicamente importante come Londra, Manchester o Liverpool, che però ha avuto un’importanza devastante nella musica degli ultimi vent’anni, al punto che è tra le poche al mondo ad avere un proprio sound caratteristico: se vi parliamo di “suono di Bristol”, infatti, è facile che siate subito in grado di pensare ad un’identità sonora ben precisa, le cui origini risalgono al trip-hop dei Massive Attack e dei Portishead e che poi prosegue lungo tutto lo spettro del dubstep e delle sue ibridazioni. Phaeleh è originario proprio di Bristol, e come è naturale la sua musica cade all’interno del solco tracciato dal suono di tutta la città, fatto di ritmiche lente e dilatate e di echi dub: se dovessimo indicare il portabandiera del suono di Bristol nel 2014, non avremmo dubbi e guarderemmo subito a lui.
Prima di tutto, qual è l’origine del nickname “Phaeleh”? Si pronuncia “Fella”, giusto?
È una combinazione di lettere di cui mi piaceva l’aspetto viste una vicino all’altra. Io lo pronuncio “Fella”, ma è assolutamente aperto a interpretazioni diverse.
Parliamo dell’inizio del tuo rapporto con la musica, prima ancora che decidessi di diventare un musicista. Quali sono i tuoi primissimi ricordi associati alla musica? Cosa ascoltavi da bambino? Ha avuto influenza sulla musica che ti piace e che fai oggi?
Mi ricordo che i miei genitori ascoltavano musica a casa e in macchina, ed era roba tipo i Beatles, o Mike Oldfield. La prima musica che davvero mi piacesse è stata probabilmente il grunge, perchè suonavo la chitarra da qualche anno e quel suono semplicemente mi parlava quando ci siamo trovati. Penso che la musica che ascoltavo quando ero più giovane abbia avuto un impatto enorme su di me, ascolto ancora gruppi come i Tool, che ho sentito per la prima volta una ventina d’anni fa.
E poi, com’è stato crescere come un musicista agli inizi a Bristol? Avevi una parte attiva nella scena trip-hop, quando sono usciti gruppi come i Massive Attack, i Portishead e così via?
In effetti sono cresciuto fuori Bristol, ma sapevo comunque che c’era una scena di Bristol. Il trip-hop è successo in un periodo in cui io ero ancora piuttosto giovane, anche se ovviamente conoscevo gli album più grossi, come “Dummy” e “Mezzanine”, quando sono usciti. E’ incredibile come i dischi di quel periodo stiano ancora perfettamente in piedi quando li riascolto oggi. Mi piacerebbe riuscire a ottenere qualcosa di questa portata, in qualche momento della mia carriera.
La tua musica ha qualche elemento riconducibile al dubstep e allo UK Garage, ma non ricorda comunque completamente nessuno dei due generi. Tu come la descriveresti? C’è un contesto in particolare per cui pensa sia adatta?
Questa è la domanda a cui non so mai rispondere. Non impazzisco per le descrizioni o i generi che gli altri attribuiscono alla mia musica, ma nemmeno io riesco mai a descriverla. Di solito dico che è musica elettronica con un bel po’ di risonanza emotiva. Anche se penso che sia musica che funziona bene sia a casa che in un club, penso che molte persone vi siano legati in maniera molto personale, per cui è sicuramente perfetta per l’ascolto a notte fonda con le luci spente.
Parliamo del dubstep in generale, o qualunque nome abbia assunto la sua ultima evoluzione: anche se è iniziato come un fenomeno prettamente UK, ha poi raggiunto tutto il mondo e influenzato uno spettro vastissimo di altri generi. Perchè pensi che un suono così peculiare sia comparso in UK e non altrove? Che parte hai avuto nell’evoluzione che ha avuto negli ultimi anni, e dove pensi che si dirigerà in futuro?
Penso che il Regno Unito sia molto fortunato geograficamente, perchè il tempo fa spesso schifo e quindi passare una giornata intera in studio è piuttosto facile. Credo che il dubstep sia stato solo una naturale evoluzione a partire da molti dei suoni che c’erano all’epoca, e che in qualche modo sia stato semplicemente frutto del tentativo di recuperare alcuni dei suoni del garage, che poi recentemente è stato spinto in un contesto più mainstream. Io ho scoperto il dubstep solo verso il 2005, per cui direi che sono stato un po’ un ritardatario, ma mi sento fortunato a esserci stato in quel periodo perché è stato un momento davvero ricco di ispirazioni per la musica. Ho sempre prodotto seguendo il mio stile, ma mettere quei suoni nel contesto del dubstep a 140 bpm sembrava funzionare davvero bene per gli ascoltatori. Personalmente, non credo di aver avuto un gran ruolo nella sua evoluzione, ma sicuramente penso che ora che non è più così popolare in UK, finalmente i produttori che non sono saltati sul carro successivo, della “next big thing”, stiano ritrovando un po’ della creatività dei primi tempi, dopo anni in cui tutti volevano suonare come i Kryptic Minds o come la roba più pesante che andava per la maggiore allora in America.
Parliamo del tuo ultimo album, “A World Without”. Come è nato? C’è un concetto che lega le tracce tra loro?
Beh, tecnicamente è un EP, proprio per quel motivo. Non c’è in effetti un concetto che unisca le tracce. Le ho scritte con un album in mente, ma poi avevano stili così diversi che volevo comunque continuare a provare idee diverse e ho pensato che un EP fosse la strada migliore da seguire. Mi ha anche dato un po’ di libertà creativa in più e ho sentito meno la pressione di dover fare qualcosa strettamente per i fans, credo che queta release sia stata molto più a beneficio mio e della mia sensazione di tornare a divertirmi in studio. Non credo che tracce come “City Rose”, “Pulse” o la collaborazione con Geode, “Neon Melt”, sarebbero mai arrivate se fossi rimasto con l’idea dell’album.
Hai anche rilasciato un album ambient, “Somnus”, come free download su Bandcamp. Come è nato? Come mai hai deciso di seguire questa strada per il suo rilascio? Che parte credi che abbiano oggi nella carriera di un musicista i free download?
Avevo in mente di stampare un album ambient dal 2011. Ci è semplicemente voluto tutto questo tempo per metterlo assieme. Ho fatto uno “Slumber Session Mix” per iD Magazine all’inizio di quest’anno che conteneva alcune delle tracce dell’album, e ha ottenuto una risposta così positiva che ho pensato fosse ora di finirlo. Alcune delle tracce sono state prodotte di recente, altre hanno più di dieci anni. So perfettamente che molto del mio pubblico ascolta la mia musica mentre studia, o cerca di rilassarsi, e altri l’hanno usata per superare dei problemi personali. Ho semplicemente pensato che fosse bello dare loro qualcosa in cambio del supporto che mi hanno dimostrato negli anni. Per quanto riguarda il ruolo nella carriera di un musicista, dipende molto dalla musica e dal musicista in questione. Io ho usato le tracce free quando stavo iniziando, per aiutare a far circolare il mio nome, perchè nessuna etichetta sembrava interessata in quello che facevo. Penso che molti produttori, se non hanno ancora fatto molti show o non hanno release recenti possano usare i free giveaways per ricordare alla gente che ci sono ancora. Capisco il punto di chi sostiene che regalando la musica la si svaluti, ma credo che non guardino il disegno più grande. So che il mio pubblico supporta le mie release ascoltandole su Spotify o comprandole su iTunes, e anche con la release free, la maggior parte ha donato su Bandcamp per scaricarla, ed è stata una cosa che ho molto apprezzato.
Hai remixato il pianista italiano Ludovico Einaudi. Come è nata l’idea del remix? Conoscevi già il suo lavoro prima di remixarlo? Ci sono altri artisti italiani che ti piacciono o con cui vorresti collaborare, sia dentro che fuori dalla scena elettronica?
Il manager della sua etichetta mi ha contattato per un paio di mesi con l’idea di un remix, ma ero piuttosto impegnato all’epoca per cui ci è voluto un po’ prima che riuscissi a sentire la sua musica. Allora non conoscevo l’artista, per cui ho semplicemente ascoltato la sua musica alla cieca. L’album mi ha davvero commosso, per cui ho risposto di corsa scusandomi per il ritardo e chiedendo di poter iniziare immediatamente. in effetti, ho fatto un sacco di remix di diverse tracce dell’album, ma quello che è uscito è quello di cui ero più soddisfatto. Se devo essere onesto, sono così fuori dal giro della musica in questi giorni che farei fatica a elencare artisti di qualunque paese con cui mi piacerebbe lavorare, visto che non ascolto musica nuova da anni.
Oltre a essere un produttore, sei anche un dj con un ottimo gusto per i beat spezzati e il dubstep. Cosa è arrivato prima per te, il djing o la produzione? E oggi, ti ritieni più un dj o un produttore? In generale, come credi vada gestito l’equilibrio tra il djing e la produzione delle proprie tracce, da parte di un musicista, oggi?
Ho prodotto musica per circa dieci anni prima anche solo di provare a mixare, per cui penserò sempre a me stesso come un produttore che ogni tanto mettei dischi nel weekend, non l’opposto. Come produttore, credo sia possibile diventare conosciuti senza il djing, ma è un rischio ed è poco probabile che succeda; credo che suonare in giro sia molto importante perchè fa circolare il tuo nome e aiuta a supportare le release che hai in uscita. Detto questo, però, preferirei essere un produttore che non fa il dj piuttosto che il contrario.
Di recente, sei stato in tour in Nord America. Che ricezione hai avuto dal pubblico? Ultimamente, gli Stati Uniti sembrano essere più interessati che mai alla scena elettronica, grazie all’esplosione dell’EDM. Pensi che questo possa essere una cosa positiva anche per gli altri tipi di musica elettronica, come ad esempio la tua?
Penso che il Nord America sia sempre stato uno dei miei pubblici più importanti, solo che non sono mai stato in grado di suonarci finché non ho ottenuto un visto lavorativo, per cui è stato bellissimo riuscire ad andarci dopo tutto questo tempo. Il pubblico è stato fantastico e mi ha accolto davvero bene. E’ sicuramente vero che c’è stata una grande esplosione del fenomeno EDM là, e credo che l’enorme scena di festival che hanno abbia sicuramente aiutato. Credo che se un qualunque tipo di musica elettronica ha una maggior esposizione sia buono per ogni produttore. Più cose mainstream possono spesso essere un ponte che la gente può usare per trovare la tua musica.
Ultima domanda: che piani hai per il futuro dopo il tour che hai appena finito? Ci sono possibilità di un tour europeo che magari tocchi anche l’Italia?
Sono stato chiuso in studio a lavorare durissimo su musica nuova. Credo che questo sia il mio unico piano per i prossimi mesi, ho intenzione di lavorare su un po’ di tracce con qualche altro produttore che conosco, è una cosa che ho fatto di recente e che mi è piaciuta molto. Dal punto di vista del touring, penso che mi rilasserò un po’ e farò giusto qualche show ogni tanto, ma appena avrò finito il prossimo album sarò di nuovo on the road. Quando sarà finito, ci sono dei piani per un vero e proprio tour europeo, visto che non ho fatto molti show qui attorno di recente, e mi piacerebbe molto riuscire a passare anche dall’Italia. Non ci sono mai stato davvero ne ci ho mai suonato, per cui è un paese che vorrei proprio aggiungere alla mia lista![/tab]
[tab title=”English”]There’s a city in the UK, maybe not as big or economically important as London, Manchester or Liverpool, that has had a tremendous relevance in all music of the last twenty years, up to the point that it is one of the very few all around the world that are able to have their own characteristic sound: if we tell you about “the sound of Bristol”, you will easily think of a very specific sound that begins with trip-hop, Massive Attack and Portishead and then goes on through the whole dubstep spectrum and its byproducts. Phaeleh comes from Bristol, and as you may expect his own music falls into his hometown’s footsteps, made of slowed down rhythms and dubby feelings: if we had to choose the most relevant artist in the Bristol sound, in 2014, we’d immediately look at him.
First of all, what’s the origin of the nickname “Phaeleh”? It’s pronounced like “Fella”, right?
It’s a combination of words and letters I liked the look of next to each other. I pronounce it like ‘fella’ but it’s definitely open to different opinions.
Let’s talk about the beginning of your relationship with music, even before you decided you would become a musician: what are your very first musical memories? What did you listen to when you were a kid? Did it affect the music you like and you make today?
I remember my parents listening to music at home and when we were driving, that would be stuff like the Beatles and Mike Oldfield. The first music I was really into was probably grunge, as I’d been playing guitar for a few years and the sound just spoke to me when I found it. I think the music I listened to when i was younger had a massive impact on me. I still listen to bands like Tool who I first heard nearly 20 years ago.
And then, what was it like to grow up as a starting musician in Bristol? Did you participate in the Bristolian trip-hop scene when Massive Attack, Portishead and the likes came out?
I actually grew up outside of Bristol, but was slightly aware of there being a Bristol scene. The trip hop thing first happened when I was still fairly young, though I obviously was aware of the bigger releases like Dummy and Mezzanine when those happened. Still quite amazing how well all the albums from that time still stand up when I listen to them. Would love to achieve something like that at some point.
Your music has some dubstep and UK garage elements, but it still doesn’t feel entirely like any of them: how would you describe it? Is there a specific context for which you think it may be best suited?
This is the one question I can never answer. I don’t seem to like the descriptions or genres people attach to my music, though I can’t ever describe it. I normally say it’s electronic music with quite a lot of emotional resonance. Whilst I think the music works equally well at home and in a club, I think a lot of people connect with it in a personal way, so it’s definitely suited to late night listening with the lights down.
Let’s talk about dubstep in general, or however its current evolution may be called: although it started as a UK phenomenon, it then crossed over to the whole world and influenced an extremely wide range of other genres; why do you think such a peculiar sound emerged out of the UK and not out of somewhere else? How did you take part in the evolution it had in the latest years, and where do you see it going in the future?
I think the UK is lucky geographically, as the weather is normally quite miserable, so spending all day in a studio is quite easy to do. I think dubstep was just a natural evolution from a lot of the sounds at the time, and in some ways was peoples attempt at taking back some of the garage sounds which had recently been pushed into a more mainstream context. I was only aware of dubstep around 2005 so a bit of a latecomer, but felt fortunate to be there as it was such an inspiring time for music. I’ve always produced in my style, but placing those sounds in the 140 dubstep context seemed to work really well with the listeners. Personally I wouldn’t say I had any great influence in it’s evolution, but do feel that now it isn’t that popular in the UK any more, the producers not jumping on the next bandwagon are actually getting some of that early creativity back after years of everyone wanting to sound like either Kryptic Minds or the heavier stuff which was popular in America at the time.
Let’s talk about your latest album, “A World Without”: how did it come together? Is there a concept that binds together the tracks?
Well it’s technically an EP, for that very reason. There isn’t really a concept that binds the tracks together. I was writing them with an album in mind, but the styles were so different that I just wanted to keep trying different ideas and felt an EP was the best way to do that. It also gave me a bit more creative freedom and I felt less pressure to make something purely for the fans, I think this release was a lot more for my own benefit and to get back into enjoying being in the studio. I don’t think tracks like ‘City Rose’, ‘Pulse’ or the collaboration with Geode, ‘Neon Melt’ would have happened if I’d stuck with the album plan.
You also released an ambient album, “Somnus”, as a free download on Bandcamp; how did it come along? Why did you decide to release it as a free download? What part do free releases take, in your opinion, for a musician’s career?
I’d been planning on releasing an ambient album since about 2011. It’s just taken this long to get around to putting it together. I’d done a Slumber Session mix for iD Magazine earlier in the year which featured some of the tracks. It got such a positive response that I thought it was a good time to do it. Some of the tracks were made recently, others were made over 10 years ago. I’m very aware a large part of my audience listen to the music when studying, or trying to relax, and others have used it to get through some personal issues. I just felt it would be nice to give something back for all the support over the years. It really depends on the music and the musician in question. I used free giveaways to help get my name out there when I was starting, as no labels were ever interested in what I was doing. I think a lot of producers, if they haven’t been doing a lot of shows or had recent releases can do a free giveaway to help remind people they’re still there. I understand the argument some people make that by giving music away you devalue it, but I don’t think that looks at the bigger picture. I know my audience support my releases by streaming on Spotify or buying on iTunes, and even with the free release, most people have donated on Bandcamp to download it, which I really appreciate.
You remixed Italian pianist Ludovico Einaudi: how did the idea of the remix come along? Did you already know his work before doing the remix? And are there any other Italian artists that you appreciate or would like to collaborate with, both inside and outside the electronic scene?
His publisher had been hitting me up for a few months about doing a remix, but I was quite busy at the time so it took a while to get round to listening to the music. At the time I didn’t know the name, so just listened blindly. The album really moved me, so I eagerly replied apologising for the delay and asking if I could start straight away. I actually did loads of remixes of different tracks off the album, but that was the one I was happiest with. If i’m honest, I’m so out of the loop with music these days, I’d struggle to list any artists from any country I’d like to work with, as I haven’t listened to any new music in years.
Besides being a producer, you are also a dj with a great taste for broken beats and dubstep: what came first for you, the djing or the music production? And do you consider yourself more as a dj or as a producer nowadays? In general, how do you see the balance between djing and producing one’s own tracks for a musician today?
I’d produced for about 10 years before I even attempted to mix properly, so I will always think of myself as a producer who occasionally djs at weekends, rather than the other way round. As a producer, it is possible to get known without djing, but it is a risk and isn’t that likely to happen. I think playing out is really important as it gets your name out there and helps support any releases you have out. Though saying that, I’d rather be a producer who doesn’t dj than the other way round.
You recently completed a North American tour. What reception did you get from the crowds? Lately, the US seem to be more interested than ever in the electronic scene, thanks to the explosion of EDM. Do you think this may be positive also for other flavours of electronic music, like yours?
I think North America has always been one of my biggest audiences, I just haven’t been able to play over there until I had the proper work visa, so it’s great to finally make it over there after all this time. The crowds were all great and very welcoming. It’s definitely true there’s been a massive explosion of EDM over there. I think the big festival scene they have over there definitely helped that. I think if any electronic music is in the public eye it’s good for all producers. The more mainstream stuff can often be a bridge to people finding your own music.
Final question: what are your plans for the future after the tour you just finished? Any chance for a European tour touching Italy as well?
I’ve been locked away in the studio working on music really hard. I think this is the only plan for the next few months. I’m going to work on a few tracks with some other producers I know as well, as really enjoyed that again recently. In terms of touring, I think I’ll be relaxing a bit more, and just doing the occasional show, but once I’ve finished the next album I’ll be out on the road again. When that’s done there are plans for a proper European tour, as I’ve not done so many shows there recently, and would love to make it over to Italy, I’ve never visited properly or played there, so it’s one I really would love to tick off the list![/tab]
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