Ricerca, evoluzione, sperimentazione. Quella della techno è una scena musicale che sin dal momento della sua nascita ha subito cambiamenti ed influenze a seconda della personalità degli artisti che vi hanno sguazzato all’interno e delle altre correnti musicali con la quale si è scontrata, unita, incastrata, modellata. Phase Fatale, giovane artista newyorkese di nascista ma di stanza, guarda caso, a Berlino, è uno dei volti più rilevanti della corrente post punk industriale che oggi sta cavalcando l’onda della techno influenzandola così fortemente. Da sempre all’interno della scena underground, Phase Fatale ha iniziato a suonare basso a chitarra all’età di dieci anni, e dopo una forte evoluzione musicale, è nella techno che ha trovato il suo vero “Io” artistico. In occasione dell’uscita del suo primo album da solita sulla Hospital Productions di Vatican Shadow, che ancora una volta si conferma supporter per la pubblicazione di lavori di qualità superiore, abbiamo intervistato il giovane artista americano chiedendogli di raccontarci il suo percorso musicale, dalle origini, quando suonava nelle band underground di New York, fino ad oggi, giorno in cui è un apprezzato dj techno di livello internazionale prossimo a rilasciare il suo primo album da solista, “Redeemer”.
Il 13 ottobre uscirà “Redeemer”, il tuo primo album da solista su Hospital Productions, l’etichetta di Dominick Fernow (Vatican Shadow//Prurient). Tu stesso hai definito questo album come un “pezzo profondamente personale”. Cosa vorresti intendere? C’é forse in questo album un po’ di più di Phase Fatale di quanto non ce ne fosse nei tuoi precedenti lavori?
Questo album è stato creato in modo più diretto e preciso, è passato direttamente dalla mia mente alla fase di registrazione. In realtà, a pensarci bene, tutto ciò che faccio avviene in questo modo; ma stavolta ho potuto lavoro più a lungo non limitandomi al formato singolo dei 12″, ho potuto sviluppare sonorità più varie e sfaccettate che mi appartengono più nel profondo. Questo album è stato partorito dalla parte più oscura della mia psiche, canalizzando tutto ciò che più mi disturba o disgusta…dall’orrore di camminare fuori in strada in un giorno abituale, e testimoniare la caduta dell’umanità che è così evidente nei volti vetrati di tutte le persone che mi camminano vicino. Inoltre, in questo album, ho voluto inserire ancora più chitarre e voci. Per me sono queste le sonorità alle quali sono affezionato sin da quando ero un adolescente alle prime armi che suonava nelle band, e per questo il significato di questo album, per me diventa più profondo. Il colpo diretto delle corde sulla chitarra o il tirare le corde vocali aiuta a spogliarne le sensazioni mettendolo a nudo e rendendolo molto più cinico e tetro.
Dall’uscita di “Grain” su a + w II avvenuta nel 2015 fino ad oggi, in coincidenza anche con l’esplosione del filone EBM post-punk industriale, sei stato protagonista di una forte crescita artistica, ben visibile a tutti nel panorama musicale. Per uno come te che ha sempre sguazzato in questa scena deve essere stata una bella rivincita immagino, no?
Non la definirei propriamente come una rivincita, ma onestamente, fa molto piacere vedere che dopo tutti questi anni di separatismo e stigmatizzazione, questo suono post-punk e cold wave abbia finalmente ottenuto maggiore attenzione cavalcando l’onda trasportata attraverso quel motore molto forte che è la techno. Tutte queste scene stanno giocando a incastrarsi l’una con l’altra al fine di creare un qualcosa di completamente nuovo…in fine, vorrei dire, che non ho mai fatto EBM e non mi considero assolutamente un artista EBM come a molti piace rapidamente etichettarmi. E poi, inoltre, c’è ancora molto terreno da scoprire in profondità…
Ti dispiacerebbe raccontarmi dove e come ti sei formato artisticamente? Quali sono state le tue influenze, qual è il tuo background?
Mio padre era attivo nella scena musicale di New York e Philadelphia negli anni ’80, lavorava spesso con band post-punk, new wave o industrial. È lui che mi ha trascinato in questa musica, già quando ero molto piccolo, ascoltando gruppi come The Sisters Of Mercy, Killing Joke o The Cure. Ho imparato a suonare la chitarra e il basso all’età di dieci anni, poi da adolescente ho iniziato a suonare in alcune band. Poi, dopo un po’ ancora, iniziai ad andare alle feste a Manhattan e fui catturato dai suoni più oscuri della cold wave e della minimal synth. Così, affascinato da queste sonorità, iniziai anche io a fare questo tipo di musica e cominciai a gravitare verso suoni più adatti al dancefloor. Alla fine, ad un certo punto poi, è arrivato il momento in cui ho deciso una volta per tutte di abbandonare le band e di concentrarmi musicalmente solo come artista techno solista. Con la techno, mi sono sentito davvero ispirato e motivato nell’esplorare nuove sonorità, e l’ho preferito di gran lunga alla possibilità di restare a navigare nella nostalgia.
Sono curioso di sapere se le persone che ti sono vicine e con le quali collabori ti aiutano a trovare ispirazione e in che modo. Mi viene in mente Dominick appunto, o Silent Servant per esempio…ho avuto la fortuna di assistere alla vostra performance l’anno scorso all’Atonal ed ero rimasto positivamente impressionato!
Hospital Productions è da sempre un’etichetta molto influente per me. La label tutta e il progetto di Dominick, Vatican Shadow, sono stati anche molto responsabili del mio avvicinamento alla techno e da sempre mi hanno fortemente aiutato a capire e riuscire a collegare i punti tra industrial, post-punk e techno. Ovviamente mantenendo la techno come scura, cruda e pura… non parlo della tech minimal boogie woogie. Anche l’album di Silent Servant su Hospital Production è stato un momento importante. Conosco Juan da molti anni e quando abbiamo iniziato a lavorare insieme è successo tutto in maniera molto naturale…è venuto tutto da sè, naturalmente e intensamente culminando nella performance all’Atonal. Con Juan scambiamo sempre idee e sensazioni verso la nostra musica e i nostri lavori, e anche senza parlare l’influenza che uno ha per l’altro va avanti e indietro continuamente. Poi, ci sono Adam X e ad Ancient Methods…sono molto grato di considerarli amici e di poter scambiare con loro idee, o anche semplicemente poter andare a berci qualcosa.
Da protagonista del momento, cosa ti sentiresti di dirmi, se ti chiedessi come vedi la scena e il filone musicale che ti riguarda in particolare, tra cinque, dieci, vent’anni?
A un certo punto, alla fine della strada, sarei felice di vedere questo percorso che abbiamo intrapreso, diventare un vero e proprio movimento piuttosto che lasciarlo limitato e ristretto come solo un altro, ennesimo, sottogenere della techno…perché in realtà è questo quel che è e ciò che noi siamo. Penso che questa scena musicale si sposterà probabilmente anche verso l’est Europa; accadrà lo stesso che accadde anni fa nei paesi dell’ovest europei e del centro. La club culture crescendo capitalizzerà in società povere e completamente danneggiate. Nei club e nelle città dell’Europa dell’Est, come il KHIDI a Tbilisi per esempio, questo tipo di techno più scuro, più difficile ed emotivo, è necessario! Le persone hanno fame di musica e di sonorità in cui possano esprimersi, sentono il fortissimo bisogno di riunirsi in spazi appartati e abbandonati affinché riescano a trovare la libertà che cercano.
A livello artistico e più personale invece, come ti vedi proiettato nel futuro? L’uscita di un proprio album per un artista determina sempre un momento importante della propria carriera. Per te “Redeemer” é un punto di arrivo o uno di partenza?
“Redeemer” è sia un punto di arrivo che un punto di partenza, è l’inizio di un nuovo capitolo e la fine di un altro. Questo album riassume le influenze dalla mia lunga storia nei gruppi cold wave e di altri generi, le mie esperienze fatte qui da quando sono a Berlino e la mia idea di techno che è stata esercitata anche nelle mie precedenti pubblicazioni. Alchimizza tutte queste cose insieme in qualcosa di completamente diverso e pone anche le basi per la prossima evoluzione.
[Scroll down for the English Version]
Research, evolution, experimentation. The techno scene is a musical scene that has always changed and been influenced since the time of its birth, by the personality of the artists who were into and the others music trends with which it clashed. Phase Fatale, a young New Yorker artist Berlin based, is one of the most prominent faces of the current post-punk industrial scene that nowadays is riding so strongly the wave of techno. Into the underground scene forever, Phase Fatale has started playing guitar at the age of 10, and after a strong evolutionary music path, it’s into the techno that he has found his true “I” artistic. On the occasion of the release of his first ever solo album on the Vatican Shadows’s Hospital Productions , which once again proves his support for the publication of top quality works, we interviewed the young American artist asking him to tell us about his musical journey, from his roots, when played in the underground bands of New York, to date, the day when he is a well-liked international techno Dj next to releasing his first solo album, “Redeemer”.
The 13th October will be released “Redeemer”, your first solo album on Hospital Productions, the label of Dominick Fernow (Vatican Shadow / Prurient). You have defined this album as a “deeply personal piece”. What do you mean? Is there in this album, perhaps, a bit more of Phase Fatale than you did in your previous work?
This album was created in a more direct and precise manner. It was more straight from my mind to the instruments then recorded down. Everything I do comes from this point; but because I worked faster and could explore outside of the 12” single format, I could develop sounds in many different facets of myself. This album came from the darkest part of my psyche, channeling everything that disturbs or disgusts me. The horror of walking outside on a usual day and witnessing the downfall of humanity made apparent in the glassed-over faces of all that walk by. As well, I incorporated even more guitars and vocals on this record. For me, these are sounds that I’ve been using since a teenager in bands, so the meaning of them goes deeper. The direct hitting of the strings on the guitar or straining of my vocal cords lays bare the feeling of this album making it more cynical and bleak.
From the exit of “Grain” on a + w II in 2015 to date, coinciding with the explosion of the post-punk industrial EBM line, you have been protagonist of a strong artistic growth, which was visible to everyone in the musical panorama. For a person like you, who has always flipped in this scene, I imagine must have been a nice revenge, right?
I wouldn’t call it revenge, but it’s very pleasing to see, after all these years of separatism and stigmatisation, that this post-punk and cold wave sound is coming into a larger fold transported through the harsh vehicle of techno. All these scenes are playing off each other now to create something entirely new. However, I must say I have never made EBM and do not consider myself an EBM artist as many like to quickly label me as. There is still much unknown territory to dive deeper into.
Would you mind telling me where and how you were artistically formed? What were your influences, what is your background?
My father was involved in the music scene in New York and Philadelphia in the ‘80s, mainly working with post-punk, new wave, and industrial bands. He got me into this music at a very young age listening to bands like The Sisters Of Mercy, Killing Joke, or The Cure. I started learning guitar and bass at the age of 10, playing this music as a teenager in bands. When I started going to the Wierd parties in Manhattan later, I got deeper into more obscure minimal synth and cold wave. This is also where I first started DJing this kind of music and began to gravitate towards more dancefloor sounds. Finally, at one point I decided to put my main focus into making music as a solo techno artist rather than playing in bands. With techno, I felt inspired to really explore new sounds rather than dwelling on nostalgia.
I am curious to know if people who are close to you and with the ones you collaborate with help you find inspiration and how they do. Dominick comes to my mind, or Silent Servant for example … I was lucky enough to attend your performance last year at Atonal and I was positively impressed!
Hospital Productions was a very influential label for me since I was a teenager. Dominick’s label and project, Vatican Shadow, were also responsible for getting me more into techno and drawing those clear connections between industrial, post-punk, and techno. Keeping techno dark, raw and pure, not some boogie woogie minimal. As well, Silent Servant’s album on Hospital was a very defining moment. I’ve known Juan for many years and when we started working together it was very natural and everything came together precisely and intensely culminating in the Atonal performance. We always exchange ideas and feelings towards music with each other and even without speaking the influence goes back and forth. Along with Adam X and Ancient Methods, I’m very thankful to consider them friends and can exchange ideas with them or also just have a drink.
As a protagonist of the moment, what would you feel like telling me if I wondered how you see the musical scene in general and the one you are particularly into in 5, 10, 20 years?
At some point down the road, I want to see this path we’re on become its own movement rather than just being another subgenre of techno, because actually I find it quite different. This music scene will also move further east eventually as western and central Europe just capitalize on club culture while societies are completely dumbed down. In Eastern European clubs and cities, like KHIDI in Tbilisi, this darker, harder and emotional style of techno is needed. People are hungry for music where they can express themselves and come together in secluded spaces that allow them the freedom they seek.
At personal level, on the other hand, how do you see yourself projected in the future? The release of his own album for an artist determines always a very important moment in his career. Is for you “Redeemer” a point of arrival or a departure point?
“Redeemer” is both a point of arrival and a point of departure, the beginning of a new chapter and the end of another. This album sums up my influences from my long history in cold wave bands and other music, my experiences made here since being in Berlin, and my idea of techno that was also exercised in my previous releases. It alchemizes these things together into something altogether different and also lays the foundation for the next evolution.