Occhio: è il momento del rush finale, per quanto riguarda le application alla Burn Residency. Il termine ultimo scade infatti il primo aprile (…non è un pesce!) e, ve lo ricordiamo, potete trovare tutte le istruzioni del caso qui (per quanto riguarda le finali, dove il 22 aprile si sfideranno i selezionati per la sfida definitiva chiamata Mix Off, quella cioè dove si elegge il vincitore nazionale che se ne va al Bootcamp, tenete d’occhio questo link). Motivi per provarci ce ne sono parecchi: ve li abbiamo raccontati in varie occasioni (qui e qui, ad esempio), fondamentalmente se avete un approccio molto “concreto” alla figura del dj – dove cioè contano arte, stile e conoscenza, ma conta altrettanto il farcela a vivere e a mantenersi grazie alla propria passione – la Burn Residency fa effettivamente al caso vostro. Lo si capisce benissimo da questo bella chiacchierata che abbiamo avuto con Philipp Straub, da anni il deus ex machina dell’intero progetto. Senza filtri e con molto senso pratico spiega un sacco di concetti importanti, per capire lo spirito e gli obiettivi concreti dell’operazione. Un’operazione che, lo ricordiamo, mette sul piatto 100.000 euro per chi vince: soldi non cash da spendere in bagordi, ma convertibili al 100% per costruire al meglio la propria carriera, contratti garantiti con management cazzuti compresi. Insomma, quando il deejaying diventa, o vuole diventare, una professione seria. Dove la competizione è pane quotidiano (ma è anche un modo per lavorare su se stessi migliorandosi, come nota giustamente Straub).
Cominciamo proprio dagli inizi: come sei entrato in contatto con Burn, e in che modo l’idea della Burn Residency è saltata fuori?
Ho iniziato a lavorare per la Burn Residency quando già esisteva da un paio d’anni. Ho incorporato in quello che c’era già l’esperienza mia personale, che è quella di una persona che lavora nel campo della musica elettronica ancora dal 1993. Sentivo che si poteva creare la combinazione giusta, in questo modo, per dare vita ad una piattaforma che realmente fosse in grado di supportare il talento di un artista. Dopo tanto tempo passato a lavorare come dj, producer, promoter, manager e anche agente ho sentito che era il momento di sdebitarmi con la scena, sia con la sua parte imprenditoriale che in generale con le nuove generazioni pronte ad affacciarsi dopo di me. Burn mi ha offerto la possibilità di farlo: mi sento molto fortunato.
Quali sono gli errori e gli sbagli che volevi assolutamente evitare, al momento di costruire e definire la “architettura” della Burn Residency?
Ti rispondo in questo modo: il mio primo obiettivo è sempre stato far sì che chiunque partecipasse alla Burn Residency, da vincente o meno, venisse alla fine fuori da questa esperienza con l’orgoglio di sé e con la consapevolezza di aver vissuto qualcosa che lo aiuterà moltissimo nel prosieguo della propria carriera. Ecco, sotto questo punto di vista credo che abbiamo lavorato bene.
Come definiresti la “mappa musicale” legata alla Burn Residency? Quali sono i generi che ne fanno parte?
Ufficialmente, la Burn Residency non ha nessuna limitazione per quanto riguarda i generi musicali e negli anni ci sono stati dj legati ai suoni più disparati. Però effettivamente se consideri che negli anni i mentor sono stati Carl Cox, Pete Tong, John Digweed e Dubfire è inevitabile che il genere preponderante fra i partecipanti alla Residency sia stato quello più o meno collegabile a quello che fanno (e apprezzano) questi grandissimi artisti.
Negli anni, hai visto qualche evoluzione significativa nell’attitudine e nella qualità media dei partecipanti?
E’ molto bello vedere come la qualità dei partecipanti anno dopo anno sia in continua crescita. Credo che i dj, lì fuori, ormai vedano chiaramente come noialtri si stia facendo un buon lavoro con la Burn Residency. Ci sono partecipanti che fanno l’application che hanno dalla loro davvero un CV importante: anni di lavoro, molte date in giro, release di un certo peso… Chiaro che lavorare con gente così è stimolante! Ma anche trovarsi fianco a fianco con ragazzi giovani, che hanno appena iniziato ad affacciarsi in questo mondo ma fanno già intravedere un talento importante, è una gran bella sfida. Prendiamo l’esempio di Javi Row, vincitore tre anni fa: quando ha fatto l’application era appena diciottenne e aveva giusto iniziato a fare il dj. Ma nel Bootcamp si è battuto talmente bene e si è impegnato così tanto che, insomma, è stato chiaro fin da subito che aveva alte probabilità di finire nella rosa dei migliori, come in effetti poi è stato. Conta molto anche il carattere e il modo in cui ti poni, attenzione: essere spesso musoni e negativi non aiuta nessuno, né quelli accanto a te né te stesso.
So che spiegarlo a parole non sempre può essere semplice, ma quali sono le qualità che un mixato deve avere per catturare la tua attenzione?
Il mix caricato è solo uno degli elementi che formano la nostra scelta, al momento di decidere chi ammettere in gara e chi no. In realtà diamo anche un occhio molto attento ai social di chi si candida. Vogliamo capirne la personalità, e il modo in cui la comunicano: parlano solo di musica o anche della loro vita personale, del loro partner, di dove amano andare a mangiare? Sono inseriti bene nella loro scena d’appartenenza? Suonano in giro? Non basta il talento, ci vuole anche la capacità di farlo emergere, di spiegarlo, di raccontarlo. Questo per noi è fondamentale.
Quanto è difficile far convivere onestà dal punto di vista artistico e creativo e, dall’altro lato, voglia di farcela e di sfondare?
Molto, molto difficile. Riesce raramente. Ma tutti noi siamo unici – ognuno con le proprie forze e le proprie debolezze. Ecco: alla Burn Residency cerchiamo, nelle persone che selezioniamo, di valorizzare ancora di più le forze e al tempo stesso di far lavorare sulle proprie debolezze. Prendiamo il caso di Samanta: si capiva fin da subito che aveva un potenziale immenso, un gran talento unito ad una presenza scenica potentissima, ma in lei c’era grande scetticismo verso tutto ciò che era “business”, nel campo del deejaying. Ci sono voluti due mesi di scambi e confronti molto fatti per farle capire che in realtà era fondamentale padroneggiare il lato “business” della faccenda tanto quanto l’avere talento, se voleva davvero affrontare nel modo giusto questo mondo esprimendo al 100% le sue potenzialità. Ecco, penso che il contributo migliore che la Burn Residency possa dare sia proprio una preparazione solida su questo tipo di questioni, spesso sottovalutate.
Qual è il consiglio migliore che tu abbia mai dato ad un giovane dj/producer? E qual è il consiglio migliore che hanno mai dato a te?
Ai ragazzi dico sempre: siate onesti, siate quello che siete davvero. Non copiate qualcuno o qualcuna solo perché vedete che ha successo: all’inizio magari funzione, ma alla lunga non è per nulla un buon affare. Essere originali è fondamentale, distinguersi dalla masse è necessario. Al tempo stesso, bisogna essere consapevoli che arrivare ad un buon livello in questo campo comporta molta pazienza e spesso molti anni di lavoro, prima che davvero le cose girino nel modo giusto. Altro consiglio importantissimo: siate sempre sorridenti, amichevoli e mai troppo pressanti ed invadenti. Ancora: abbiate sempre in testa un piano ben preciso, non fate le cose a caso, cercate di capire subito a cosa puntate e in quale modo e in quanto tempo volete arrivarci, passo dopo passo. Si chiama “music business” non a caso: bisogna avere anche un bel po’ di strategia imprenditoriale, non fare passi azzardati, cercare di massimizzare le risorse a disposizione senza inutili sprechi. Questo per quanto riguarda i consigli che darei io; per quanto riguarda invece quelli che ho ricevuto negli anni, beh, sono tantissimi. Non si smette mai di imparare. Spesso consigli importantissimi arrivano proprio dai mentor della Burn Residency, penso ad esempio a Carl Cox, o magari proprio dai finalisti della competizione: sono di un’altra generazione rispetto alla mia, possiamo imparare molto l’uno dall’altro proprio per questo, e devo dire che accade di frequente.
Ibiza è ancora il cuore del music business legato al clubbing. Credi che continuerà ad avere questo ruolo anche negli anni a venire? Se sì (oppure anche se no!), per quali motivi?
Credo che resterà sicuramente l’hub più importante per la musica elettronica anche nei prossimi anni – almeno per quanto riguarda l’Europa. Le cose cambiano e quindi cambia anche Ibiza, è inevitabile, ma questo è comunque un bene. Sarebbe tutto troppo noioso se tutto restasse sempre uguale, no? Se i cambiamenti sono per la maggior rivolti verso lo sviluppo e verso una crescita, allora è ok. Non sempre è così? Vero. Ma mi sembra che il grosso si muova nella giusta direzione. La gente si lamenta che Ibiza sta diventando un posto posh e che la gente lì sta cambiando ma sai che c’è, ci sta: le cose cambiano, non possono restare sempre uguali. Se vuoi ritrovare un feeling alla “vecchia Ibiza” allora forse devi andare altrove, tipo in Croazia o in Romania. Tutto qui. Di sicuro il 2017 si prospetta come una stagione molto interessante per l’Isola, piena di cambiamenti: questo mi appassiona parecchio, non vedo l’ora che arrivi l’estate.
Da italiani, abbiamo avuto la soddisfazione di aver “dato” noi il vincitore dell’ultima edizione, Lollino. Come lo descriveresti? E intendiamo sia come dj che come persona.
Lorenzo è un gran bel personaggio e un artista molto versatile che sa quello che vuole. Lui ha sempre vissuto, e lo fa tutt’ora, con l’idea di fare il dj nella vita. La sua storia personale è un esempio perfetto di cosa succede e cosa devi fare se vuoi che i tuoi sogni si avverino sul serio! Arrivare a vivere senza una lira, praticamente senza nemmeno un letto (dormendo infatti sul divano dello studio di registrazione…): per diventare un dj spesso capita di passare anche da queste cose. La passione, quando è bruciante, ti porta anche in situazioni così. Ma non è solo questo che apprezzo di Lollino, attenzione: anche il suo stile e il suo gusto musicale sono ottimi, e si “ritagliano” perfettamente sulla sua persona. Insomma, è uno di quegli artisti che ha trovato il modo migliore per emergere, per distinguersi dalla massa. E poi, beh, se lo incontri non puoi che convenire sul fatto che il suo sorriso e la sua energia positiva arrivano praticamente da un altro pianeta… Davvero: nessun dubbio che lui abbia strameritato di essere il vincitore della scorsa edizione della Burn Residency e nessun dubbio nemmeno sul fatto che abbia un grande futuro davanti a sé. Sono veramente felice ed onorato che la Burn Residency ci abbia permesso di conoscerci e di lavorare assieme, diventando col tempo veri e propri amici – infatti continuiamo a sentirci regolarmente. Viva Italy!