L’articolo fatto un po’ di tempo fa sui nuovi CDJ-3000 aveva radunato un’attenzione veramente notevole: sì, l’argomento è “caldo”, ancora oggi, e non è confinato ai soli nerd. Ci sta, perché in fondo oggi molte persone più di prima “…vogliono fare il dj”: un fenomeno che denunciamo magari pure con fastidio, adesso che il dj è quello che era il calciatore di qualche anno fa in quanto ad appeal e nazionalpopolarità (e che vale quanto vale l’infuencer), ma che in realtà ha varie sfaccettature. Di questo e di molto altro abbiamo parlato in una lunga intervista senza filtri con Luca Desina, country manager di Pioneer Dj Italia, col contrappunto di Elena Grassi, responsabile marketing e comunicazione per il mercato italiano. Ve l’assicuriamo: questa intervista non è uno spottone promozionale in cui ci si limita a dire “Anvedi che belli i nostri prodotti!”, controllate voi stessi. Ci sono un sacco di notazioni interessanti, posizioni anche non del tutto concilianti, giudizi netti. E’ davvero interessante capire come vede il mondo del clubbing uno dei suoi player principali: non quello che vende artisti, non quello che organizza eventi, ma uno che attraverso le fortuna di artisti ed eventi costruisce le sue. E viceversa, anche. Per musica e tecnologia, sempre di più, vanno di pari passo. Con tutte le conseguenze del caso. Adesso che Pioneer Dj cammina con le proprie gambe (non solo si è staccata, già tempo fa, dalla casa madre Pioneer, ma si è anche affrancata dal fondo d’investimento KKR PDJ per finire definitivamente sotto le cure della Noritsu Koki Co. Ltd), e che sul mercato italiano si è stabilizzata con una struttura specifica e con un piano di sviluppo a più voci, è interessante fare il punto, ora più che mai. Se poi lo si fa con la franchezza che potete leggere, beh, il valore è doppio.
Allora: nell’anno più complicato da un sacco di decenni a questa parte dal punto di vista del consumo e degli eventi, almeno per il “nostro” mondo, Pioneer Dj lancia alcune delle sue novità più importanti. Com’è questa storia? Scelta suicida? O rischio calcolato?
Luca: Eh, buona domanda. Sicuramente, è un modo per dare un segnale al mercato che l’azienda c’è, che non si ferma, che è un’azienda grossa: la strategia non può e non vuole essere quella di strategie e vendite a breve periodo, qualcosa insomma che si misuri nell’arco di tre, sei mesi massimo. No: il nostro arco temporale va almeno fino ai quattro, cinque anni. Come giusto per i player più importanti. Anche perché la vita media di un nostro prodotto come protagonista è più o meno di quella durata lì. Coi Nexus, ad esempio, è andata in questo modo. Quindi la cosa è coerente. D’altro canto poi era lo stesso mercato a chiedere dei prodotti innovativi, ad “aspettarli”: era quasi un anno che si rincorrevano rumors, fra gli addetti al settore, di una novità in arrivo che abbracciasse in modo più convinto il mondo digitale. In fondo anche guardando ai Nexus l’impressione era quella di un prodotto ormai con una certa età, no? Il design, la grandezza della schermo… Una cosa è certa: tutti quelli a cui avevamo detto “Ok, usciamo coi 3000” hanno avuto come prima reazione “Davvero? Ma sicuri sicuri? Ne venderete? Pensate di riuscire a venderne?”…
E?
Luca: E, li abbiamo bruciati, i 3000. Abbiamo riordini per tutto dicembre. Chiaro, il comparto in generale CDJ un po’ un calo l’ha avuto, se analizziamo i dati complessivi dell’annata che sta per chiudersi includendo gli altri prodotti. Il mancato svolgimento dei festival e di molti eventi ci ha penalizzato – considera che il solo Kappa FuturFestival vale per almeno cinquanta unità di prodotto, e quest’anno non si è svolto. Diciamo che il calo è stato attorno al 5% massimo, complessivamente, per il settore CDJ. Ma la performance del 3000 è stata sorprendente. Decisamente oltre le migliori aspettative.
Non solo 3000, comunque: mi pare di capire che sempre più siete attenti ad accogliere la richiesta “sociale” del voler fare il dj. Un tempo il sogno era fare il calciatore, negli ultimi anni invece è diventato fare il dj, con tutte le conseguenze del caso: un sacco di gente che inizia a provarci, o almeno ci si vuole dilettare… E in qual caso – a parte strane eccezioni o spese dissennate a fondo perduto – non vai a prenderti il top assoluto di gamma.
Luca: Vero. Negli ultimi due anni abbiamo lavorato molto per avere una forte presenza nella fascia entry level, questa è stata una novità forte. Siamo sempre stati un riferimento per vari segmenti di mercato: in quella alta, il riferimento assoluto; in quella medio-alta qualche competitor c’è, ma diciamo che non ci ha mai dato troppo fastidio; l’entry level invece è solo da un paio d’anni che lo stiamo seguendo con attenzione – vedi ad esempio un prodotto importante come il DDJ-400, e altri ancora che sono in arrivo. Quindi sì: vogliamo soddisfare i desideri di chiunque voglia fare il dj. Che si tratti di hobby, lavoro, o i livelli più alti. E tutto questo partendo, te lo confermo, dai “wannabe dj”.
Elena: Ora si chiamano “new generation dj”.
Luca: Vero, vero, hai ragione Elena. E’ che ogni anno mi cambiano la definizione! (ride, NdI)
Elena: Il fatto di ampliare la gamma su più fasce e tipologie di utenti è un percorso iniziato ancora nel 2017, con la nascita di una categoria di prodotti entry level (entry level a partire proprio dal prezzo). L’idea è proprio quella di far entrare fin da subito le persone in un “ecosistema Pioneer” a partire dalle ultimissime generazioni, dai più giovani. Non è solo questione di vendere unità di prodotto insomma, ma proprio di far capire che acquistando Pioneer Dj si entra a far parte di un ecosistema ben preciso, sviluppato, soprattutto via via modificabile a seconda delle proprie esigenze, dalle necessità basic a quelle dei top mondiali.
Ma questi “wannabe dj” – pardon, “new generation dj” – come hanno reagito questa svolta, a questa vostra apertura nei loro confronti? Hanno fin da subito soddisfatto le vostre aspettative e previsioni di mercato?
Luca: No: sono andati molto, molto oltre. Tanto che ad un certo è diventato quasi un problema. Il riordino sul DDJ-400 in particolare è stato stupefacente. Che poi si tratta di un prodotto che va ad affiancarsi, anzi, a sostituire il DDJ RB, che a lungo è stato il nostro unico prodotto entry level; ma appunto, come dice Elena, l’RB non ti dava questa idea di entrare in uno specifico “ecosistema Pioneer Dj”. Ora invece attorno al DDJ-400 abbiamo messo anche delle cuffie adatte (non troppo costose), ci sono dei precisi tutorial su come approcciarsi ad esso, ci sono precise campagne di marketing ben mirate. Capisci la differenza? Per noi è stata una svolta, anche perché abbiamo iniziato a vendere tramite canali su cui prima semplicemente non eravamo presenti: quelli dell’elettronica di consumo. Quello per intenderci che in Italia è presidiato dai vari Media World, Euronics, Unieuro. La risposta del mercato è stata semplicemente spaventosa, i riordini sul DDJ-400 sembrano non finire mai, e come conseguenza correlata va detto che anche gli utenti di Rekordbox sono aumentati tantissimo… Capisci che quindi la situazione si è evoluta: prima compravi la console, convertivi un po’ di tracce, suonavi e amen; mentre adesso proprio decidi di iscriverti a Rekordbox, vuoi proprio entrare in una gestione evoluta del prodotto tramite quello che ti offre l’ecosistema Pioneer Dj.
Elena: In tal senso è stato importantissimo quello che abbiamo fatto con la nuova release di Rekordbox, la 6, ad aprile. E’ stato tutto completamente ripensato a livello gestionale. Prima avevi bisogno della licenza e stop; adesso invece ci sono diverse fasce di abbonamento a seconda delle necessità, da quelle basic fino a quelle a livello 100% professionale. Ma Luca, ascolta, possiamo dire qualcosa a livello di aumenti percentuali per quanto riguarda le vendite? So che le cifre assolute non si possono dire, ma…
Luca: Tutto è più o meno in positivo, e con un anno così è un risultato davvero notevole. La parte più professionale è inevitabilmente in flessione, per quanto lieve; ma tutto ciò che è la parte controller è pressoché esplosa. Tutta la serie XDJ ha i propri prodotti fra i best seller assoluti (XZ, RX2, RR). E attenzione, parliamo di un anno in cui per almeno un po’ di mesi i nostri dealer tradizionali sono stati chiusi. Beh, qui ci sarebbe un discorso da fare…
Vai.
Luca: Durante le chiusure di marzo ed aprile ci sono nostri dealer di riferimento che, a negozio forzatamente chiuso, non si sono portati nemmeno il laptop d’ufficio a casa, ti rendi conto? “Eh, ma siamo in lockdown, cosa vuoi che faccia…”. Io gli dicevo: e le vendite on line? Non le segui? Risposta: “Boh, l’on line…”. Sono stati lungimiranti solo in tre, in Italia, su tutti Strumenti Musicali, e guarda caso si sono presi tutta la richiesta del mercato – che c’era, non è che sia scomparsa durante il lockdown. Anzi, sottolineo: nazioni più evolute e che hanno una rete di vendita on line molto più consolidata della nostra, nei mesi della prima ondata pandemica hanno fatto in qualche caso fino a un + 30% di fatturato. Capisci? Noi, invece, a parte qualche eccezione, proprio non siamo pronti. E quel che è peggio, non vogliamo esserlo. Da molti ancora l’on line è visto come una entità sconosciuta, se non proprio direttamente come un nemico. Sai quante volte mi hanno detto, con fastidio, “Eh, ma la gente viene qua, prova i prodotti e poi compra on line…”: come se questo fosse un problema. Diventa un problema sì nel momento in cui tu non sai e non vuoi intercettare la clientela che acquista on line! Perché magari pensi sia ancora residuale, poco significativa. Sbagliando di grosso. Perché l’acquisto in questa modalità sta diventando sempre di più una abitudine per tutti: io sono convinto che moltissimi di noi, se andassero a vedere il proprio storico di acquisti su Amazon o piattaforme simili, rischierebbero di restare molto sorpresi. E’ che è diventata proprio un’abitudine, comprare on line, e come tutte le abitudini quasi non ci accorgiamo di portarla avanti. Insomma, i negozianti di settore dovrebbero capire che la parte on line non per forza va a danneggiare quella che è la vendita in un negozio fisico. Chiaro: un prodotto come il CDJ-3000 non lo vendi on line, quello lo vendi in un negozio. Va bene. Ma c’è tutta una fascia di prodotto che oggi si vende tantissimo via web.
In fondo quello che conta è vendere, non dove lo vendi, no?
Luca: Bisognerebbe capire che l’on line non è un nemico, ma uno strumento di aiuto ulteriore alle vendite. Però no, in Italia no, siamo ancora abituati a “vedere” un unico tipo di vendita: quella del tipo che arriva in negozio coi soldi in mano, e acquista. E se invece non acquista, fanno pure gli offesi, “Uff, ho passato un’ora a spiegargli il prodotto, poi se n’è andato e non ha comprato nulla”. Se lo hai trattato bene, tornerà; se lo hai trattato bene e gli hai spiegato bene il prodotto, magari non vorrà comprarlo lì in contanti, ok, ma a casa via web lo farà – e in quel caso sta a te essere presente come canale di vendita. Se non ci sei è colpa tua, non di chi acquista. E per vendere, si vende: lo ripeto, durante il lockdown tutto l’entry level ha avuto per noi una esplosione clamorosa, a livello di numeri.
(Luca Desina; continua sotto)
Come avete adeguato il vostro marketing a questo scenario in mutamento?
Luca: Ti posso rispondere per quello che abbiamo fatto in Italia, prima di tutto. Un passo fondamentale è stato far partire il nostro canale YouTube: finalmente abbiamo dei tutorial ufficiali. Non che prima mancassero, i tutorial in rete, alcuni anzi erano fatti da persone in gamba, ma erano tutti non ufficiali. Ora invece, dopo un eccezionale lavoro di Micheal (Corradi, NdI) durato mesi, siamo finalmente pronti con tutti i tutorial ufficiali, chiari e precisi. E’ un modo in più per farci sentire vicini al cliente. Chiaro che se dai un CDJ-3000 a Capriati lui non ha bisogno di un tutorial: gli spieghi giusto due cose, e per il resto si diverte ad esplorare e scoprire lui, orientandosi benissimo. Ma non tutti sono Capriati, come ovvio. Questo è stato insomma un passo fondamentale per noi, questo dei tutorial. Per il resto: non abbiamo di certo lasciato soli i nostri dealer anche in un anno complicato come questo, e per quanto possibile abbiamo rinnovato una serie di attività con loro sempre molto apprezzate. Poi ci sono altre cose: ma magari te le spiega meglio Elena.
Elena: Effettivamente la pandemia ha scombinato un sacco di progetti, e abbiamo dovuto ritarare le nostre strategie marketing in molti casi. Abbiamo implementato parecchio l’attività sui social: non solo coi tutorial, ma anche con situazioni di vera e propria interazione. Abbiamo costruito assieme a Red Bull una grandissima operazione di seeding rivolta alla fascia entry level, ed è stato un bel modo per far capire che la musica era qualcosa che poteva tenerci davvero “uniti” anche in una fase storica complicata come questa. Nel complesso le operazioni di seeding hanno coinvolto circa 150 dj e una cinquantina di influencer, per darti un po’ di numeri. Fra i target, in generale, grande attenzione è stata rivolta alle ragazze. Abbiamo ad esempio scelto cinque influencer italiane che sono state coinvolte in un progetto di giveaway, coinvolgendo il loro pubblico. Al di là di questo, parecchia attenzione è stata posta proprio in generale su come tornare a fare una narrazione approfondita su tutto ciò che è club culture in senso lato. Abbiamo attivato una bella collaborazione con Magma, in primis con W-Lab, una serie di cui andiamo molto orgogliosi perché le protagoniste sono femminili ma lo sono non in quanto donne che stanno lì a sottolineare il loro rapporto difficoltoso con l’industria, ma semplicemente perché brave, e con belle storie da raccontare. Delle role model, insomma. Per il 2021 stiamo già lavorando ad un progetto con shesaid.so, per avvicinare le ragazze in modo sempre più diretto e naturale alla tecnologia. Insomma: le nostre stelle polari saranno sempre più inclusività ed educazione, oltre alla collaborazione con le varie scuole per dj sparse in giro per l’Italia. Allargando l’obiettivo ed uscendo dall’Italia, per parlare di operazioni più a vasto raggio, abbiamo organizzato webinar gratuiti per mille partecipanti con artisti come Roger Sanchez (…è bello poter spiare nella sua library mentre tiene una lezione su Rekordbox!); ma ci sono stati anche collaborazioni notevoli con artisti di casa nostra, penso a Luca Agnelli con cui siamo entrati in una delle sue famose dirette del lunedì, mentre Joseph Capriati ha realizzato per noi un video dove racconta le feature del V10. Insomma, anche se a livello di eventi era tutto fermo, noi non abbiamo certo tirato i remi in barca, anzi.
Quanto è importante il mercato italiano, per Pioneer Dj?
Luca: Siamo fra i primi cinque d’Europa. Un passo indietro magari rispetto ad Inghilterra e Germania, quasi appaiati alla Francia, superiori alla Spagna. Negli ultimi cinque anni è stato fatto un buon lavoro. Ma ti dirò, se l’Italia avesse una efficace vendita on line potrebbe fare ancora di più. I dati di altri paesi sono infatti molto aiutati dai canali web di vendita, noi coi soli dealer diretti facciamo dei numeri notevolissimi, altri invece hanno degli outlet digitali con cui vendono un po’ in tutta Europa – penso a Thomann ed altri tre, quattro. Da noi, nulla. Nemmeno Strumenti Musicali. E’ lì che dobbiamo migliorare, per quanto riguarda il nostro paese. Come festival ormai abbiamo invece quasi recuperato il gap, penso al Kappa ad esempio che è una eccellenza a livello globale ma anche tante altre realtà interessanti che si sono sviluppate in questi anni. Sai, nel nostro settore c’è tanta “voglia d’Italia”; o meglio, diciamo che tutti si ricordano di Rimini e Riccione negli anni ’80 e ’90, quando la Riviera era l’ibiza di adesso. La reputazione del “brand Italia” è ancora forte.
Beh, mi viene da chiederti allora come vedi tu, Luca, la “crisi del clubbing” che sta attraversando ormai da un po’ di tempo il nostro paese…
Luca: Da noi c’è effettivamente un grosso problema; e da persona che è nel business direttamente da cinque anni ma che già da prima era un frequentatore di club, ti posso dire che la spiegazione è semplice: c’è troppa corsa all’incasso. Questo è. Non ci poniamo il problema di cosa stiamo offrendo, e di come lo stiamo offrendo – l’importante è incassare. Ma così non si va avanti e lungo, e i risultati infatti si vedono. Per dire: a Londra, al Fabric, l’impianto lo cambiano ogni tre, quattro anni, perché la gente pretende di sentire la musica bene, lì la musica sta al primo posto, per tutti. Da noi? Io sono andato a parlare con club che spendevano uno, due milioni di euro in ristrutturazioni; ma quando c’era da pensare all’impianto audio, beh, figurati se non si tenevano quello che era già in sede, anche se vecchio di trent’anni. Da noi un impianto, come dire?, “…finché si accende va bene“. Un altro problema è che non si è mai pensato di fare fronte comune, per trent’anni si è pensato quasi solo esclusivamente a fregarsi l’uno con l’altro: “Ti prendo dieci PR”, “E io allora ti rubo i tuoi cinque migliori”. Quanto lontano si pensa di andare, con questo atteggiamento? Cosa si costruisce, come categoria? Hai voglia poi di andare anche tu ad affiancarti ai bauli in Duomo, se poi torni ad operare con questo spirito e queste modalità…
In effetti.
Luca: Poi un altro autogol è stato quando, con scarsa lungimiranza, come categoria si è andati – o almeno qualcuno è andato – a rivendicare una serie di numeri e cifre sulle dimensioni e la portata del settore che, in realtà, non facevano altro che far saltare all’occhio come per anni l’elusione fiscale fosse stata regola. Autolesionismo. Del resto, se per trent’anni non c’è mai stata nessuna idea di coesione razionale e ultimamente manco di lavoro qualitativo, non è che ti puoi aspettare molto altro se non comportamenti un po’ scomposti, sbaglio? Basta che guardi ai festival, come esempio contrario: hanno fatto tutti un salto di qualità negli ultimi anni, perché è sulla qualità dei contenuti che hanno lavorato, scegliendo oculatamente ospiti, ambientazioni, partner. In molte discoteche invece siamo ancora al “Va il reggaeton? E allora vabbé, mettiamo il reggaton”, “Quello ha tanti like su Instagram, bookiamolo!”. Però quando fai così alla lunga la paghi, perché non crei nulla di nuovo, di vivo, di personale, di appassionante. Ti provincializzi sempre di più, al ribasso.
Mentre un tempo le discoteche italiane erano un esempio per l’Europa.
Luca: Ora stanno provando a ritirare su la Riviera. Sarò sincero: non ho mai creduto troppo nei “secondi amori”. Però boh, spero di sbagliarmi. D’altro canto, se non credessi in nessun modo nella rinascita della Riviera non starei già investendo già da anni nella nostra presenza al MIR, quindi non sono del tutto negativo e pessimista. Ma dobbiamo cambiare marcia. Tutti. E dobbiamo capire che l’evoluzione della tecnologia va di pari passo con l’evoluzione della musica. Sono due binari paralleli, che proseguono nella stessa direzione. Separarli è poco intelligente.
Per voi come Pioneer Dj sono interlocutori più importanti i club o i singoli artisti?
Luca: Beh. Parlando proprio di tecnologia, prepariamoci perché la prossima generazione di artisti sarà pazzesca: io ogni tanto faccio dei salti per dire alla SAE, e chi ci studia fa paura da quanto è preparato, parlano di onde del suono, parametri, di ingegneria con una preparazione assurda. Io vedo un futuro dove i club e le discoteche non sono più dei luoghi indistinti dove vai, ti prendi da bere, fai quattro salti e finita lì, ma saranno invece dei posti con persone realmente preparate ed appassionate, delle comunità. Questa mi sembra l’unica via sensata. Oggi quando vado a parlare coi gestori dei club, mah, sono quasi sempre degli ex PR, con tutto quel che ne consegue: pensi che puoi parlare con loro di ingegneria, di tecnologia, di evoluzione? No: mentre sei lì con loro, loro passano il tempo a chattare sul telefonino per controllare quanti rientri faranno, quante persone arriveranno alla porta, ed altro non gli interessa. Ma davvero si pensa che questo porti a qualcosa, sul lungo periodo? Domanda: perché il Kappa FuturFestival è diventato così grosso, così importante?
Perché?
Perché è guidato da una persona, che si chiama Maurizio Vitale, che è profondamente preparata. Uno che ogni volta che parla, credimi, io ho solo da ascoltare e da imparare e così faccio. Lui è uno che merita il successo che sta avendo, il Futurfestival merita il successo che sta avendo: un evento dalla organizzazione complessissima, dove però chi lo porta avanti ti dice “Io ogni anno potrei far entrare almeno 10.000 persone in più, ma non lo faccio: so che rinuncio ad un incasso maggiore, ma se non ponessi questo limite l’esperienza che do a chi mi viene a visitare sarebbe molto peggiore”. Capisci?
Il fatto di avere la schiera dei PR-dj “dozzinali” che si assottiglia può essere un vantaggio pure per voi: sul lungo periodo potrebbero essere degli acquirenti più fedeli ed entusiasti dei prodotti vostri…
Elena: Questo è vero. Oggi peraltro ciò che è undeground è diverso da ciò che era dieci anni fa. Dieci anni fa “underground” era una nicchia che lì voleva stare, un po’ statica, mentre oggi “underground” è più facilmente l’appassionato di musica vero, curioso, che vuole approfondire, e che però non si fa problemi a passare anche dal mainstream per poi tornare in contesti più specifici. E’ anche per questo che noi dobbiamo essere bravi nel presentarci, nel costruire una filosofia a tutto tondo attorno alla musica e al modo sia di fruirla che di crearla. Tant’è che i nostri prodotti, a partire dai top di gamma, sono comunque frutto di una stretta collaborazione con gli artisti. Nella progettazione del CDJ-3000 sono stati coinvolti quasi duecento dj negli ultimi anni, chiedendo loro pareri, opinioni, suggerimenti.
Ah, a proposito di opinioni e suggerimenti: quando si passerà definitamente al cloud? Ci siamo? Manca poco?
Luca: Ti dico molto tranquillamente: noi siamo già pronti. I 3000 sono già predisposti per futuri aggiornamenti che portino tutto in questa direzione. Il problema non siamo noi; il problema è l’infrastruttura. Ce lo vedi un club italiano oggi in grado di garantire una connessione stabile e ad alta qualità via fibra?
Fibra da portare pure fino alla console, di solito se c’è al massimo finisce nell’ufficio della direzione…
Luca: Noi, togliendo il cd, col 3000 abbiamo lanciato un grosso segnale: siamo consapevoli che la tecnologia sta cambiando, è in una fase importantissima di evoluzione, e ci stiamo comportando di conseguenza. Il futuro definitivo sarà arrivare davanti a un CDJ, inserire le proprie credenziali, ritrovarsi tutta la propria collezione di dischi sopra. Noi per certi versi a tutto questo siamo già pronti; i locali, non ancora. Ma prima o poi succederà. Vediamo anche quanto cambierà le cose l’avvento del 5G, potrebbe dare una grossa mano in tal senso.
I feedback più interessanti che vi sono arrivati sui CDJ-3000 in questa prima fase di lancio?
Elena: Beh, è molto divertente la quantità di meme che è stata creata (risate, NdI)…
Luca: Beh, diciamo che io cerco di non leggere mai i commenti sul web, quelli un po’ indistinti. Perché quando vedo delle castronerie, poi faccio fatica a frenarmi. Mi innervosisco. Vedo cazzate su di noi, “Mi hanno detto che…”, “Sono vicini alla bancarotta”, cose così: bene, e chi te l’ha detto? Se non te l’ho detto io, se la cosa non parte da me, stai sicuro che è una cazzata. Un altro commento che sempre mi fa sorridere è “Uh, costa troppo”. Più seriamente: nei commenti più tecnici, devo dire che è stato molto apprezzato del 3000 il display più grosso e la rapidità del firmware, insomma, la velocità e l’efficienza con cui puoi gestire le cose via display.
Elena: Parlando con gli addetti ai lavori, l’opinione diffusa più significativa è: con questi CDJ finalmente i dj tornano a suonare. Ed è effettivamente così. Le funzionalità sono tante, stiamo cercando di ispirare i dj a fare performance sempre più creative, sempre più originali. Se prendi il 3000 e ti limiti ad infilarci la chiavetta è suonare stai, sinceramente, sbagliando tutto. Per certi versi ora come mai prima i dj possono “tornare al passato”: tornare cioè a fare la differenza, creando qualcosa di particolare, speciale, non alla portata di tutti.
(Set up possibili sempre più vari; continua sotto)
Luca: Che poi in realtà non è che abbiamo fatto una rivoluzione totale. Il Nexus 2000 era stato una rivoluzione, molto più del 3000. Il nostro vero game changer oggi probabilmente potrebbe diventare il V10. Non a caso c’è stato un piccolo terremoto nella scena techno: lì, se parlavi di mixer pensavi subito ad Allen Heath. Oggi grazie al V10 non più, a partire da alcuni degli artisti più popolari – Lens, De Witte, Capriati – che sono passati ad usarlo. E l’hanno fatto non perché siano stati obbligati per contratto. Zero. Ecco, ci tengo a dirlo: è proprio policy aziendale Pioneer Dj non obbligare nessuno in alcunché: noi i prodotti li facciamo provare, poi si vede…
Elena: Ah sì, diciamolo chiaramente: noi non regaliamo prodotto.
Luca: Per carità, non voglio dire che a Capriati o alla Lens il V10 l’abbiamo fatto pagare: quello sarebbe troppo e la gente non è scema, sa che sarebbe una cosa molto improbabile. Però ti assicuro che funziona che questi artisti li invitiamo da noi, gli facciamo vedere il prodotto, li invitiamo a provarlo, poi se il prodotto piace – e solo se piace – allora magari decidiamo di regalarglielo e di iniziare una collaborazione. Non facciamo insomma gli errori dei nostri competitor che, in passato, pur di strapparci degli endorser, li coprivano di oro; poi però scaduto il contratto di endorsement, gli artisti in questione tornavano all’ovile da noi. O, peggio ancora, facevano gli endorser di un marchio, sì, poi però nelle schede tecniche mandate in giro a club e festival chiedevano il prodotto nostro. Tornando però un attimo al V10 nello specifico…
Vai.
Luca: Purtroppo è un prodotto che ha patito molto il CoVid. Si sono fermati i festival e gli eventi più importanti, e quello è un prodotto di fascia altissima, è lì che entra in gioco. Lì avremmo capito se il prodotto era quello “giusto”, se target di riferimento l’aveva definitivamente adottato e riconosciuto come valore aggiunto ineludibile (a maggior ragione adesso che abbiamo fatto uscire la versione LF, ovvero coi fader allungati, come molti artisti ci hanno chiesto). Invece questa controprova è mancata, per cause di forza maggiore.
E’ un problema?
Luca: Nessun problema: aspetteremo l’anno prossimo.