Ormai è un pattern ben definito: piazzi un paio di buoni successi da chart danzereccia di qualità, ti fai un po’ di nome, ti pigli un’etichetta e/o un mentore che ti dà un po’ di carta bianca per realizzare un lp e provi a dimostrare che sei un artista completo, in grado di andare – ehm – oltre ai luoghi comuni del dancefloor. Indubbiamente meglio, molto meglio questo di quando l’lp per gli artisti di taglio più danzettaro era giusto un modo per radunare gli ep usciti precedentemente ed incrementare così il fatturato spremendo il limone fino in fondo, no? E’ che si sta diffondendo la percezione che non è da un 12” o da un file su Beatport che si misura il valore di un produttore, e va bene, a cui però è associata l’idea – non necessariamente corretta – che bisogna per forza dimostrarsi eclettici e soprattutto bisogna saper flirtare col pop (quindi: con le melodie, i ritornelli, le parti cantate) al momento di licenziare un album. La nostra impressione è che Pitto, protegé di Joris Voorn, abbia effettivamente un bel talento dalla sua. La sua house usa soluzioni molto contemporanee ed interessanti, la sua ricerca di suoni è intrisa di gusto così come di cura nella realizzazione produttiva (non basta scegliere dei suoni interessanti, bisogna farli suonare bene!). Insomma, il suo album d’esordio “Objects In A Mirror Are Closer Than They Appear” è di sicuro materiale convincente ed è senz’altro sopra le media delle uscite degli ultimi anni. Segnatevelo, dateci assolutamente un ascolto. Siamo però convinti che se non avesse avuto l’ansia di dimostrare che è a) bravo, quindi b) eclettico, ovvero c) capace di lavorare con dei cantati, avrebbe potuto tirare fuori un lavoro ancora migliore. Tipo, un albumone quasi tutto strumentale, molto mentale, pieno di raffinatezze che risaltano meglio quando non sono al servizio di (o coperte da) un cantato. Qualcosa ci dice che una cosa del genere è (sarà?) nelle corde di Pitto, e la traccia che l’ha fatto diventare famoso, “Sexvibe”, ne è la dimostrazione. Per intanto comunque un buon acquisto per la Green di Joris Voorn, questo senz’altro sì.
Damir Ivic
Scrive di musica a trecentosessanta gradi (con predilezione per l’elettronica). Storica firma del Mucchio. Punto di riferimento negli anni per Red Bull Music Academy in Italia. Autore di libri editi per Arcana. Collaboratore di vari festival. Occasionalmente copywriter. Oggi, tra le varie cose, stretto collaboratore di Rolling Stone e TRX Radio. Inspiegabilmente tifoso dell’Hellas Verona.
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