Regola vuole che, quando si tratta di aspettative, sarebbe sempre meglio non averne troppe, altrimenti il risultato più frequente è quello di vederle disattese in toto o in parte. Quando però il soggetto di queste è la prima edizione di Polifonic, il discorso non vale, abbattendo quindi tutte le regole del caso, perché il festival, costruito sull’asse Milano-Puglia, che ha preso piede in Valle D’Itria nel weekend tra il 7 e 9 luglio, ne portava davvero tantissime con sé. In primis grazie ad una line-up costruita in maniera muscolare e con altissimo profilo artistico, poi per la pletora di sponsor importanti che hanno creduto nel progetto ed infine per il luogo nel quale è stata ospitata la rassegna. La Puglia, difatti, è divenuta una regione importante nelle rotte del clubbing europeo durante il periodo estivo rappresentando un’alternativa interessante ai richiami della Isla e della dirimpettaia Croazia.
Comunque andiamo con ordine…
L’incantevole “Masseria Del Turco”, già casa di diversi party invernali ed estivi e famosa per le sue terrazze, sedi di due degli stage del festival – il Valley Terrace (di profilo techno) e il Sunrise Terrace (di profilo house) – è stata la cornice di questa prima edizione di Polifonic.
L’atmosfera è unica: mare in lontananza, cielo stellato, una serie di saliscendi da percorrere per raggiungere la zona del Main Stage, chiamato per l’occasione Botanic (di Dekmanteliana memoria se pensate alla Greenhouse) e la zona adibita al food e alle esposizioni artistiche. Insomma c’è tutto, forse anche troppo, perché qua e là vediamo dei tavoli con prenotazione e questo, lasciatecelo dire, ad un festival stona e non poco. È una necessità e lo abbiamo capito strada facendo, non tanto dipendente dalle volontà del festival, quanto dell’audience, ma di questo ne parliamo più avanti.
Siamo a venerdì, ingolliamo IPA e Tripel di fattura artigianale, ci saziamo con crepes e burrate e ci aggiriamo tra i diversi stage del festival iniziando a vedere che qualcosa non va esattamente come ci aspettiamo: molti act come quello dei RuDan, Limo, Piseztky e la stessa Sassy J stanno portando a casa egregiamente i loro set, ma davanti ad una pista scarica e davvero poco gremita. Questo sarà un refrain che verrà accentuato ancor di più nella giornata di sabato. La “Situazione” come si dice in questa zona della Puglia e come aveva messo in pellicola Alessandro Piva, non si è ancora creata e il primo vero accenno lo abbiamo solo in tarda serata con il set di Hunee nel Botanic Stage: il crate-digger non ha più bisogno di presentazioni, ci accompagna attraverso un viaggio euforico, lasciando una pista compatta ad un altro maestro – ed headliner – come Theo Parrish, mentre sulla Valley Terrace, il live di Regis lascia spazio al set di DVS1.
Chi bazzica spesso tra festival e club sa bene cosa aspettarsi da Parrish: blackness in tutte le salse, distorsioni di suono quasi da dare la colpa all’impianto ed un excursus mai banale, ma anche tremendamente personale. Dopo un po’ quindi, abbiamo deciso di ammirare l’alba sul mare sulla Valley Terrace, mentre DVS1 ci mostrava la sua quadratura e incazzatura regalandoci un set monumentale. Abbiamo poi chiuso questa prima giornata di festival con il live sognante di Âme. Wiedemann mette in campo tutta l’eleganza e la semplicità che hanno contraddistinto negli anni il suono suo e del collega Kristian e quello di Innervisions in generale.
Sabato sera qualcosa subito salta all’occhio: ci rendiamo infatti subito conto che rispetto al giorno prima alla stessa ora, c’è molta meno gente di quello che ci saremmo aspettati e che anche in questa giornata, esibizioni pregevolissime come quella di Dona aka Dj Plant Texture, Hiver, Dcdj Soulmind e Zippo ce le siamo godute davvero in pochi.
Anche il live dei Terraross, pensato per un nuovo stage nel food court, non è partito nell’orario prestabilito, avendo luogo solo dopo parecchie ore, creando però una specie di stortura evidente rispetto all’ambiente: ecco, insomma, un live di pizzica mentre le casse dei Boston 168 ti stanno bombardando a cinquanta metri in linea d’aria non è esattamente la cosa migliore.
Rispetto al giorno prima, inoltre, notiamo una maggiore slegatura di vibe tra gli stage, sicuramente per il problema di quella “situazione” di cui parlavamo prima, ma anche per aver creato un po’ di confusione rispetto ai percorsi segnati il giorno prima e su cui vigeva una gerarchia cromatica di braccialetti, alla fine poi lasciata perdere per favorire una migliore logistica.
Piccoli problemi di mobilità a parte, il resto fila tutto molto liscio. Attese molto alte nella Sunrise Terrace per il set di Lakuti prima e di Volcov dopo ed entrambe assolutamente ricompensate. Nel Botanic Stage invece, tutte le aspettative che avevamo su Mike Servito sono state disattese: il set dell’americano sembra un compito in brutta copia e mal scritto, piatto e carente nella lettura della pista. Ah, queste maledette aspettative…ma proprio perché è bello riprendersi da quelle disattese ecco che la festa ritrova tutto il suo vigore grazie ad un Levon Vincent in grandissima forma nonostante una caviglia slogata ed un Ancient Methods chirurgico, che hanno murato i dancefloor del Botanic e Valley stage con i loro diversi riferimenti musicali.
Successivamente invece ci siamo fatti trasportare da Tom Trago ed un improvvisato back-to-back con Pisetzky che ci hanno mandato a casa con una delle più belle e gigione chiusure a cui potevamo partecipare: “The Sun Can’t Compare”, sorrisi e tutti a casa.
L’ultima giornata di Polifonic si è invece spostata sul litorale monopolitano per seguire il flusso post-mare. Qui, oltre ad una serie di act locali, abbiamo avuto modo di ascoltare un’altra performance magistrale come quella che ci ha donato Jackmaster: chirurgico nei passaggi, bravissimo a riassettare una pista che gli era stata data con la miccia accesa e generoso nel regalarci flash-back italici come “Visnadi – Racing Tracks – Indianapolis Drive Mix” e dando a quest’ultimo atto di Polifonic quel gusto agrodolce che contraddistingue la fine dei festival.
A mente fredda, ora, è possibile fare una disamina completa e dare conferma del nostro titolo: è vero, la strada tracciata è quella giusta. Il groove s’è fatto e non era affatto semplice. Come prima edizione era fondamentale rivolgersi all’audience locale che gioco forza nel momento in cui arriva “la stagione” ha ben poca voglia di presentarsi ad un festival alle 21 e qui da parte del festival non vediamo nessuna colpa, anzi! Scontrarsi con le abitudini non è mai facile, anche perché il risultato alla fine è stato raggiunto: una volta calata la notte, la venue si è riempita in entrambe le giornate. Se l’anno prossimo dovesse esserci una nuova edizione di Polifonic (e noi speriamo vivamente ci sia) siamo quasi sicuri che si starà molto più stretti tra i vari spazi della “Masseria del Turco” e un’altra location potrebbe quindi essere considerata.
Forse una formula “alla croata” – il festival organizzato sul mare, si inizia alle 18 si finisce alle 2 per poi spostarsi in altra location vicina o lontana che sia – avrebbe tracciato un solco ancora più profondo e ci avrebbe lasciato un retrogusto meno “da serata” e più “da festival”. Questa però non è la Croazia, ma la splendida Puglia e, probabilmente, vista anche la forte presenza di stranieri, ci viene da pensare che Polifonic sia stato pensato così, anche in virtù del forte richiamo turistico che la zona della Valle D’Itria e la Puglia in generale stanno riscontrando da alcuni anni a questa parte verso la clientela non italiana, che al mattino va al mare e la sera vuole trovare un divertimento adeguato con la assoluta certezza che di soldi in token ne cambierà e molti.
La line-up è stata disegnata in maniera impeccabile ed è da apprezzare lo sforzo di progettazione e convogliamento di un numero così elevato di artisti in due uniche serate, cosa difficile da realizzare in estate proprio per la concomitanza di tanti festival e serate sparse per il resto dell’Europa. Insomma Polifonic 2017 ci ha regalato momenti importanti e ne vediamo tutte le potenzialità per diventare un fiore all’occhiello nella programmazione europea e soprattutto per avere in casa un vero e proprio festival di matrice clubbing. Speriamo quindi di rincontrarci tra una terrazza e l’altra, con in mano un panzerotto e nell’altra una birra, magari la prossima volta senza vedere quella piccola nota stonata che sono stati i tavoli.
(Ha collaborato Costanza Antoniella)